2022-08-14
Ma quale democratico, è il Partito dei disonesti
Enrico Letta (Imagoeconomica)
Ma quanto sono ipocriti Enrico Letta e il suo partito? Da due giorni il segretario e i capi corrente del Pd si agitano, denunciando un assalto alla democrazia. Tutto perché Silvio Berlusconi si è permesso di dire che, nel caso di una riforma in senso presidenziale della Costituzione, Sergio Mattarella dovrebbe avere la sensibilità di farsi da parte.Il Cavaliere non ha detto che il capo dello Stato ha l’obbligo di dimettersi, né che se non lo facesse verrebbe rimosso manu militari. Semplicemente, ha osservato che se si passasse da un presidente della Repubblica nominato dai partiti a uno eletto dal popolo, l’attuale inquilino del Quirinale dovrebbe avere il garbo e il senso di responsabilità di lasciare. Tutto qui. Un’osservazione ovvia, quasi scontata, che in un Paese normale non dovrebbe dare adito ad alcuno scandalo e nemmeno essere motivo di preoccupazione per la tenuta democratica delle istituzioni. Altrove il capo dello Stato è scelto dal popolo, non dalla nomenclatura politica, e tuttavia nessuno strilla come Letta e i suoi compagni.Ma a dimostrazione di quanto siano false e in malafede le preoccupazioni del segretario del Pd e dei suoi corifei, ci sono alcuni disegni di legge che esponenti del Partito democratico hanno presentato in Parlamento durante l’ultima legislatura. Uno di questi porta la data del 23 marzo 2018 ed è firmato da Stefano Ceccanti, Andrea Romano, Lia Quartapelle e altri tre deputati del Pd. La proposta di legge si intitola «Modifiche alla seconda parte della costituzione per l’introduzione dell’elezione diretta del presidente della Repubblica». Si tratta di due paginette in cui i proponenti, tutti compagni di Letta, sostengono l’urgenza di «allineare» il mandato del capo dello Stato al modello francese, riducendolo da sette a cinque anni e ponendo limiti alla rielezione. Mattarella, all’epoca, era in carica da tre anni e se fosse stata approvata la proposta, molto probabilmente sarebbe stato costretto a dimettersi, ma allora nel Pd non si pensò che la riforma costituisse un attentato alle sue prerogative. Nessun dubbio in tal senso fu esposto anche quando un analogo disegno di legge fu presentato in Senato da altri onorevoli del Pd, ossia Tommaso Cerno e Dario Parrini, quest’ultimo titolato a discutere di modifiche alla Carta in quanto presidente della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. I due non solo sollecitarono una riforma costituzionale in senso presidenziale, come i loro colleghi alla Camera e come Berlusconi, ma addirittura introdussero un articolo che prevedeva espressamente la nomina di un nuovo capo dello Stato entro 70 giorni dalla riforma. In altre parole, Cerno e Parrini misero per iscritto che se la loro legge fosse stata approvata, Mattarella avrebbe dovuto fare le valigie. Allora, né Letta né altri si preoccuparono della mancanza di tatto con cui si dava il ben servito al presidente della Repubblica, interrompendone anticipatamente il mandato. E dentro il Pd non si alzarono allarmi di alcun tipo circa lo stravolgimento delle istituzioni democratiche. Anzi, la modifica suggerita venne ritenuta un importante passo in avanti verso una compiuta democrazia, per consentire all’elettore di scegliere il presidente della Repubblica. E che fino allo scorso anno il Partito democratico non si curasse di come l’attuale inquilino del Quirinale avrebbe preso le modifiche che riguardavano il suo ruolo, lo dimostra un altro disegno di legge, il cui primo firmatario è il già citato Dario Parrini, presidente della Commissione Affari costituzionali, in accoppiata con Luigi Zanda e Gianclaudio Bressa. Il terzetto in quota Pd, mise la firma su un disegno di legge che addirittura prevedeva la non rieleggibilità di Mattarella, con alcune limitazioni ai suoi poteri. Il compagno Letta, già segretario del Pd, tuttavia, non ritenne assolutamente pericolosa la proposta, né dichiarò come nei giorni scorsi di voler difendere il presidente della Repubblica. Vi chiedete la ragione di un tale voltafaccia e del perché, dopo aver presentato disegni di legge a iosa in favore di una riforma in senso presidenziale della nostra costituzione, oggi il Partito democratico abbia cambiato idea? La risposta è semplice. Nel 2018 erano convinti che se le modifiche fossero state apportate, un altro esponente della sinistra si sarebbe seduto sulla poltrona quirinalizia, mentre oggi temono che, con la riforma, sul Colle si insedi un rappresentante del centrodestra. Tutto qui. L’alto senso delle istituzioni nasconde ragioni di bottega. Se fino a ieri mettere alla porta Mattarella per piazzare un altro esponente della parrocchietta rossa non era un problema, oggi rimuovere il capo dello Stato è un attentato alla democrazia. Più che per Partito dei democratici, Pd sta per Partito dei disonesti.
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