2022-03-18
Ma ai profughi non chiedono il certificato
Malgrado le assicurazioni di Draghi e le promesse tardive di Pierpaolo Sileri, un documento della presidenza del Consiglio del 6 marzo spiega che fino alla fine del mese gli ucraini accolti possono andare in bus o in hotel senza obbligo di carta verde rafforzataIl nuovo libro dell’immunologa dedicato alle radici biologiche della differenza sessuale.Lo speciale contiene due articoliAlla fine, la versione buonista del sottosegretario al ministero della Salute, Pierpaolo Sileri, ovvero che lo status di rifugiato «non prevede l’obbligo del super green pass», corrisponde al trattamento riservato ai profughi ucraini. Che discrimina gli italiani, tenuti ancora ad osservare le restrizioni.Dopo questa affermazione, una decina di giorni fa Sileri fece marcia indietro, probabilmente tirato per le orecchie da Speranza e intuendo che si sarebbe scatenato il finimondo. Sul lasciapassare rafforzato, «in quanto requisito necessario per poter svolgere specifiche attività, o fruire di determinati servizi con minor rischio di diffusione del virus, non vi sarà alcuna differenza tra i cittadini italiani e i profughi ucraini», dichiarò in seconda battuta. Precisò meglio: «È vero che altri Paesi hanno regole diverse in merito, ma questo vale anche per altri ambiti: chi è ospite di un Paese, anche se da rifugiato di guerra, deve rispettare le regole di quel Paese». Niente affatto: per i quasi 50.000 ucraini arrivati non c’è obbligo di super green pass. Martedì sera, alla trasmissione Fuori dal coro di Mario Giordano su Rete4, abbiamo visto profughi alloggiati in hotel, che affermavano di non essere vaccinati e di non avere il super green pass. Altri viaggiavano su autobus, con vaccinazione scaduta o nessuna dose in corpo. Allora è vero, per chi arriva dalla guerra la nostra emergenza sanitaria è l’ultimo dei problemi e il governo italiano ha deciso di soprassedere sulla carta verde rafforzata. Così, però, dopo aver dato ascolto al ministro della Salute, Roberto Speranza, e alla sua corte di presunti tecnici del Covid, spaccando il Paese in nome del certificato verde, da una parte gli immunizzati con tre o quattro dosi, dall’altra chi si è fermato a due, o nemmeno può o vuole vaccinarsi con questi farmaci, adesso si è creata un’altra frattura. Quella tra coloro che sono stati calpestati in diritti e libertà, esclusi dal lavoro, dai trasporti pubblici, dalla vita sociale, e i profughi in arrivo dall’Ucraina. Questi ultimi, infatti, possono muoversi su autobus e treni, così pure alloggiare in hotel, senza obbligo di super green pass. Ci mancherebbe altro, saranno pronti ad esclamare i buonisti dell’accoglienza, invocando sacrosante tutele di poveretti che scappano da una guerra. Vanno aiutati e protetti, non c’è dubbio, ma non mettendo contro di loro i cittadini. Se il lasciapassare «ha rappresentato un pezzo fondamentale della strategia italiana del contrasto al Covid» come continua a sostenere Speranza, e non sparirà in quanto legato alla «situazione epidemiologica», non si comprende perché i profughi arrivati nel nostro Paese non possano rappresentare un problema di salute pubblica. Nell’ipocrisia che circola, gli unici dati forniti sono quelli sulle strutture messe a disposizione, sulle tante brave persone che ospitano in casa ucraini, sulla retta (già ritenuta insufficiente), messa a disposizione di chi gestisce i Centri temporanei di accoglienza (Cas) per conto delle prefetture e i posti affidati ai Comuni, ma nulla viene detto sul rispetto della normativa anti Covid. Eppure c’è un’ordinanza precisa della presidenza del Consiglio dei ministri, in data 6 marzo, con la quale dopo le prime misure urgenti di protezione civile di due giorni prima, furono state date ulteriori disposizioni anche di carattere sanitario. Nel provvedimento, a firma del capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, e redatto d’intesa con i ministeri dell’Interno, della Salute, delle Infrastrutture e con il presidente delle Regioni, si stabilisce che fino al 31 marzo i cittadini ucraini che arrivano in Italia possono usare i mezzi di trasporto esibendo il risultato di un test molecolare o antigenico. Per cinque giorni, dopo il tampone negativo cui sono sottoposti entro le quarantott’ore dal loro ingresso nel nostro Paese, quindi per sette giorni, possono circolare senza super green pass. Questo significa che sullo stesso bus, o treno, precluso a studenti e lavoratori non vaccinati o senza terza dose, nemmeno se si fanno un tampone, accanto ai passeggeri col Qr code viaggiano e attraversano l’Italia persone prive di vaccinazione anti Covid, o vaccinate molti mesi fa. Se gli italiani privi della super carta verde non possono mettere piede sui medesimi mezzi, per contenere i contagi a detta di Speranza, che cosa dovremmo aspettarci da 50.000 poveretti che si muovono con mascherina e nulla più? Ma non è finita. Al comma 6 dell’articolo 2 dell’ordinanza 873, viene disposto che «fino al 31 marzo 2022, nelle more dell’emissione del certificato verde cosiddetto rafforzato […] le medesime persone sono autorizzate a permanere nei centri di accoglienza, nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) o nelle altre strutture ricettive ove sono ospitate o presso abitazioni private». Perciò anche negli hotel, mezzi a disposizione in tutta Italia. Alberghi dove un cittadino italiano non può mettere piede, senza super green pass, anche se avrebbe un tampone negativo da mostrare. C’è una logica sanitaria in tutto ciò? Perché non dimentichiamoci che la super carta verde, odiosa misura per imporre una vaccinazione in assenza di obbligo legislativo, a tutt’oggi viene fatta passare come lo strumento decisivo per arginare i contagi. «È stato un grande successo», l’ha definito ieri in conferenza il premier Mario Draghi. Non c’è discorso umanitario che regga, dunque, di fronte alla scelta di tenere in un hotel profughi che non sottostanno al lasciapassare e possono sviluppare focolai. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ma-ai-profughi-non-chiedono-il-certificato-2656980527.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-viola-molla-il-virus-e-ci-azzecca-uomini-e-donne-diversi-per-natura" data-post-id="2656980527" data-published-at="1647552399" data-use-pagination="False"> La Viola molla il virus e ci azzecca. «Uomini e donne diversi per natura» Sul tema della pandemia seguita a rilasciare dichiarazioni quasi ogni giorno, ma le va dato atto, a differenza di altri suoi colleghi, d’essersi spinta non solo oltre, il che è già apprezzabile, ma perfino in un terreno rischioso. Sì, perché l’immunologa Antonella Viola, docente all’Università di Padova, è autrice di un testo da ieri in libreria che, a ben vedere, ha tutte le caratteristiche per risultare scomodo. Fin dal titolo, Il sesso è (quasi) tutto (Feltrinelli), risulta infatti un volume coraggioso, visto e considerato che, non più tardi di qualche mese fa, per aver appunto solo sostenuto l’esistenza dei due sessi, la filosofa inglese Kathleen Stock, travolta da polemiche e minacce, è stata costretta a fare le valigie dall’ateneo dove insegnava, l’università del Sussex. Che il nuovo lavoro di Viola si occupi indirettamente, ma neppure troppo, delle implicazioni della differenza sessuale è altresì suffragato dal suo sottotitolo - Evoluzione, diversità e medicina di genere -, che richiama quel ramo della ricerca che prende le mosse proprio delle differenze di genere come riflesso, anzitutto, di quelle biologiche. Queste ultime sono talmente rilevanti che ancora un anno fa, sul quotidiano La Stampa, l’immunologa le richiamava a proposito del Covid. Più precisamente, nel suo intervento la docente lamentava il fatto che i vaccini fossero e siano messi a punto, per lo più, senza considerare in modo adeguato la popolazione femminile. Una omissione grave e non senza conseguenze. «Ancora oggi la maggior parte degli studi pre-clinici, quelli che si effettuano sugli animali», scriveva infatti Viola, «coinvolgono prevalentemente maschi, perché le femmine danno risposte più variabili e quindi complicano le analisi. E spesso anche negli studi clinici le donne sono poco rappresentate, con la conseguenza che si arriva nelle fasi più avanzate di sperimentazione senza dati solidi sull’efficacia o sugli effetti collaterali». Rispetto a ciò, Il sesso è (quasi) tutto contiene molte altre informazioni. Ma per quanto nella sua stessa presentazione inviti a non esasperare le differenze («nel passato le abbiamo trasformate in dogmi»), il libro segnala apertamente non solo la loro importanza, ma perfino l’urgenza di approfondirle meglio dato che «il corpo femminile è stato poco studiato, poco considerato e, di conseguenza, curato male». Ecco che allora, da qualunque angolatura si scelga di guardarla, l’intera impalcatura su cui fin dalla presentazione poggia l’ultima fatica dell’immunologa si regge sulla constatazione che, per quanto certo da non esasperare, delle differenze tra i sessi vi siano, eccome. Che è però la medesima tesi che, nel mondo occidentale, sta costando a chiunque la sollevi (si pensi alla citata Stock, come pure alla scrittrice di Harry Potter, J.K. Rowling) alluvioni di critiche, in particolare da parte del movimento Lgbt, che bolla come «transfobico» chiunque osi proferire pensieri che odorino di dimorfismo sessuale. Va quindi dato atto alla professoressa Viola, che pure, al pari di molti suoi colleghi, durante tutta la pandemia non si è fatta mancare qualche uscita a vuoto ed è incappata in qualche inconveniente da eccessivo presenzialismo, di aver avuto il coraggio di prendere una posizione scomoda. Ed è anche la dimostrazione che i medici danno il meglio di sé quando si svincolano dal ruolo di star dei talk show.
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