2021-10-16
La cabina di regia è una farsa: ricomparsi il reddito grillino e pure blocco dei licenziamenti
Andrea Orlando (Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images)
M5s e Pd cambiano il testo nella notte e il consiglio dei ministri approva. Beffa al centrodestra, Lega irritata. Ma l'Ue è contenta. La cabina di regia di giovedì sera è filata liscia. Presenti i rappresentanti dei vari partiti di governo. Le due ore scarse di discussione sono state dedicate quasi interamente ai temi fiscali. Dalle cartelle, alla ridefinizione dei termini della rottamazione ter, fino al rinnovo dei congedi parentali e al rifinanziamento dei bonus per l'auto elettrica. Tutti d'accordo anche nel rimpolpare il fondo da 900 milioni che permette di pagare i lavoratori dipendenti costretti alla quarantena fiduciaria in caso di contatto con un positivo. Insomma, tutto sembrava filare liscio anche perché i due temi potenzialmente bollenti sono stati sfilati dal tavolo di discussione. La Lega si era preventivamente detta contraria a mettere altri soldi nel reddito di cittadinanza (già rialimentato la scorsa estate con un miliardo circa di extra budget). Al contrario i 5 stelle nei giorni precedenti alla cabina di regia si erano mossi per rafforzare il loro cavallo di battaglia. L'assenza del provvedimento sul tavolo della cabina di regia sembrava dunque tirare una linea definitiva. Stop ad altri 200 milioni e vittoria leghista. Invece, nella bozza di decreto circolata già nella tarda serata di giovedì sono magicamente spuntati i fondi per l'Rdc. Un articolo interamente dedicato al rifinanziamento. Una scelta tanto smaccata da suscitare le reazioni leghiste e spingere a una nuova versione: quella poi finita sul tavolo del cdm. Qui l'articolo specifico è sparito, ma il tema è rimasto nascosto tra le pieghe. Con una beffa bella e buona. Tanto che fonti leghiste, appena terminato il Consiglio dei ministri, hanno fatto trapelare il malumore di Giancarlo Giorgetti. Nel decreto fiscale «hanno rifinanziato il reddito di cittadinanza levando risorse a quello di emergenza (90 milioni), all'accesso anticipato al pensionamento per lavori faticosi e pesanti (30 milioni), accesso al pensionamento dei lavoratori precoci (40 milioni) e ai congedi parentali (30 milioni)», avrebbe fatto sapere il titolare del Mise secondo le indiscrezioni riportate dall'Ansa, sottolineando il concetto “meno soldi per chi ha lavorato e più per chi è sussidiato". Il motivo? Il reddito di cittadinanza serve a mantenere buoni i 5 stelle, ma soprattutto risponde agli input europei di perimetrazione delle politiche di welfare passivo. Bce, Fmi e altre istituzione hanno benedetto il Rdc ritenendolo fondamentale per mantenere la pace sociale e per spingere l'economia verso misure ancor più stataliste. Poco importa che aggiungere fondi ai sussidi significhi toglierli al potenziale taglio di tasse. Tanto più che ormai si assiste a una coazione a ripetere. Perché così come è avvenuto per il reddito di cittadinanza lo stesso schema è stato adottato dalla filiera di Andrea Orlando. Nella riunione precedente al cdm non sono state messe in cantiere le 13 settimane extra di cassa integrazione. L'estensione, che invece è finita direttamente nel testo del decreto, causerà nei fatti anche la proroga del blocco dei licenziamenti. La scorsa estate il governo era già inciampato su questo tema esplosivo. Il ministero del Lavoro e Orlando stesso erano riusciti a portare avanti la propria linea ingarbugliando le carte e dopo i litigi in sede di cdm avevano anche riscritto le procedure dei tavoli tecnici rendendo - salvo rarissime eccezioni - impossibile licenziare e quindi avviare le ristrutturazioni societarie. Giovedì si è usato il medesimo schema. L'obiettivo è tenere un profilo basso e cercare di non comunicare apertamente scelte così invasive per la vita delle aziende italiane. Viene da chiedersi però chi decida veramente e che senso abbia approntare tali cabine di regia se poi nottetempo si scrivono i provvedimenti senza alcuna mediazione tra le parti politiche. Vale per il Rdc così come per la proroga allo stop dei licenziamenti. È stata da poco pubblicata la legge delega sul fisco. Dentro quel perimetro ci sarà da definire la legge finanziaria. Tutte le scelte rientreranno in un deficit da 22,5 miliardi. Se passo dopo passo i fondi vengono stanziati per iniziative decise dalla sinistra o dal premier in ottemperanza agli input Ue si arriverà ad affrontare i decreti attuativi della riforma fiscale senza budget degni di tale nome. E allora il taglio del cuneo sarà irrilevante o peggio la revisione dell'Irpef diventerà un semplice maquillage. Ed è ancora meno democratico assistere al prolungamento di vincoli così invasivi da storpiare il mondo del lavoro, senza un minimo di discussione. In nessun altro luogo al mondo esiste una legge che cristallizza l'attività delle risorse umane. Osservatori come Bankitalia ci hanno spiegato che non c'è stato alcun boom nei licenziamenti perché forse volutamente ignorano che il divieto è rimasto nei fatti e che con l'attuale proroga per tornare alla normalità pre Covid bisognerà attendere fino al prossimo aprile. Lungi da noi incentivare i licenziamenti, ma chi governa deve trovare un giusto punto di caduta. Altrimenti ci sarà il boom di fallimenti o di aziende messe in liquidazione. In futuro scopriremo che in tutto questo tempo non si è fatto nulla per trovare altri sostegni al lavoro che non fossero lo strumento anacronistico che si chiama cassa integrazione. A quel punto anche i lavoratori scopriranno che le loro tutele sono state costruite sulla sabbia.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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