2024-11-25
L’unico patriarcato che esiste è quello che piace alla sinistra
Comunità islamiche frutto di immigrazione selvaggia, utero in affitto, trans che usurpano i posti delle donne: aspetti denunciati da molte femministe. Che vengono attaccate: perché non è questione di genere, ma politica.«Il patriarcato esiste, se non lo vedi sei tu», gridano le militanti di Non una di meno prima di bruciare la foto del ministro Valditara. «Il patriarcato esiste, negarlo ne è la prova», ribadisce l’ex ministro delle Pari opportunità Anna Finocchiaro. Hanno ragione, infatti le prime a non vedere l’esistenza del patriarcato realmente esistente sono proprio loro. Vediamo innanzitutto di fare chiarezza sulle definizioni perché, a differenza di quanto scrivono Viviana Daloisio, Chiara Vitali e Antonella Mariani su Avvenire, qui le parole contano eccome, la terminologia fa tutta la differenza del mondo. In antropologia il patriarcato - così la Treccani - è un «tipo di sistema sociale in cui vige il diritto paterno, ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo». Più volgarmente, potremmo parlare del possesso - da parte del pater familias - delle donne e dei figli. Dove resiste questo sistema? Senz'altro in alcune nazioni africane e asiatiche, non soltanto a maggioranza musulmana, laddove il retaggio tribale preserva il potere pressoché assoluto dei patriarchi sulle donne e i figli. Potere esercitato con la complicità delle madri e a danno anche di altri maschi (vedi il caso terribile di Saman Abbas). In questi paesi in cui si organizzano ancora matrimoni combinati, si infibulano le bambine e si lapidano le adultere. E in Occidente? Oh, il patriarcato è presente anche qui, per esempio in alcune comunità religiose (tra cui i mormoni). Ma non solo. Ci sono anche segmenti della società che ritengono di possedere il corpo delle donne e di potersene servire a proprio piacimento. Ci sono maschi - etero e omosessuali - convinti di poter sfruttare il corpo di una donna, dietro pagamento, come incubatrice. Costoro sostengono addirittura che sia loro diritto farlo, e pretendono un riconoscimento sociale, accusando di bigottismo chiunque non accetti. Ci sono altresì uomini (cioè persone nate con sesso maschile) i quali ritengono di possedere la chiave della femminilità: pensano che si possa diventare donne pagando un percorso medico; pensano che anche senza questo percorso ci si possa autodefinire donne e occupare gli spazi delle donne; pensano che si possa trasformare in maschi ragazzine minorenni perché la tecnica lo consente e l’ideologia lo sostiene. Infine, ci sono maschi (supportati da donne) che impongono altre forme di disciplina del femminile economicamente produttive: propagandano ad esempio l’esibizione costante dell’intimità sulle piattaforme online, e l’esposizione continua del corpo non a fini «liberatori», ma soltanto per alimentare un desiderio che andrà soddisfatto tramite consumo. Che tutte queste siano forme di patriarcato non siamo noi a stabilirlo: lo dicono le donne. Molte e autorevoli attiviste e studiose femministe si battono contro l’utero in affitto e le derive trans. Ma, con tipico atteggiamento patriarcale, vengono insultate, minacciate, censurate e talvolta picchiate. Altre sedicenti femministe e altre donne (vittime della interiorizzazione del patriarcato da loro stesse denunciata) le sviliscono e le disumanizzano. Ancora peggio va alle donne che denunciano il patriarcato importato tramite immigrazione di massa: sono accusate di essere «femonazionaliste», di essere razziste e, in fondo, di non essere vere donne poiché non esercitano l’accoglienza. Nei loro confronti insulti e violenze sono concessi. Il che dimostra che le lotte contro la «violenza di genere» sono fasulle: se fosse realmente una questione di genere, tutte le donne dovrebbero essere ascoltate e esaudite, non solo quelle che si riconoscono in un particolare tipo di sinistra liberal e woke. In verità il genere conta poco: la politica è al centro di tutto. Le manifestazioni di piazza e le innumerevoli iniziative pseudo culturali e umanitarie che si organizzano sono per lo più volte a imporre un particolare modello femminile: quello della donna disponibile a rispondere con prontezza alle richieste del sistema economico dominante. A ben vedere, i progressisti italiani sono in prima fila nella promozione di tale modello, e sostengono attivamente tutte le manifestazioni residue di patriarcato: approvano l’immigrazione di massa, la gestazione per altri, la medicalizzazione dei corpi e il loro sfruttamento commerciale, e disprezzano le donne che battagliano per eliminarli. Quindi tutte (e tutti) coloro che, in previsione della odierna giornata mondiale contro la violenza sulle donne, hanno speso e spenderanno grandi parole contro il patriarcato dovrebbero cambiare bersaglio e foto da ardere. In ogni caso, il tema della violenza ai danni del sesso femminile è troppo serio per essere liquidato con qualche chiacchiera ideologica sul predominio maschile. Sul tema molto si è fatto, e qualcosa ha pure funzionato. Il punto è che nuove e più insidiose forme di violenza si sono manifestate negli ultimi anni. È vero che esiste una specifica violenza maschile contro le donne: del resto ne esiste una specifica anche contro i figli, ed esistono perfino specifiche forme di violenza esercitate dalle donne. Tale nuova violenza, tuttavia, non dipende dalla persistenza del patriarcato, come hanno spiegato nei dettagli studiosi autorevoli quali Massimo Cacciari, Luigi Zoja, Luca Ricolfi, Claudio Risé. Ricolfi suggerisce di concentrarsi sul maschilismo e sulle sue più perniciose manifestazioni. Ma a nostro avviso la faccenda è ancora più complicata. Il fatto che si continui a insistere su un patriarcato inesistente svela la natura profonda della nostra società, che ha identificato come nemico assoluto l’autorità, personificata dal Padre, della cui evaporazione si discute ormai da decenni. Se è vero che i padri nel passato hanno saputo anche essere autoritari e totalitari, ciò non significa che non esistano padri contemporanei migliori e attenti (e non sono certo quelli che hanno cancellato la forza maschile) o che sia consigliabile annientare assieme al Padre l’autorità in sé e per sé. Purtroppo, però, è proprio quel che è accaduto. È accaduto e continua ad accadere con la collaborazione delle neo femministe, che anche in questo modo svolgono il compito a loro assegnato dal sistema dominante. Cioè un sistema che ha sostituito la propria autorità caotica a quella ordinata del Padre. È da questo caos che deriva la violenza diffusa attualmente. La mancanza del Padre e la assenza di regole e limiti che essa comporta genera maschi deboli, fragili, e donne altrettanto ferite. Produce narcisismo diffuso e incapacità di sostenere il rifiuto, la fatica e la difficoltà. Se viene meno il Padre - cioè colui che genera per amore e gratuitamente - trionfa la legge del profitto cioè lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla donna. No, oggi non domina il patriarcato ma un ipermaterno patologico (molto studiato da autrici come la bravissima Laura Pigozzi) che si manifesta sotto forma di ipercontrollo, assenza di limiti e egoismo trionfante. Tutte caratteristiche che si ritrovano nei violenti e negli assassini. Un ritrovato equilibrio da maschile e femminile - tra regole e cura, tra libertà individuale e relazione - potrebbe migliorare la situazione. Ma a nessuno interessa ricostruirlo, soprattutto al sistema dominante e ai suoi troppi servi e serve sciocche.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.