2020-09-27
L’unica speranza per salvare i giovani è la strada delle autonomie locali
Le Regioni possono opporsi allo statalismo romano e risolvere i problemi del lavoro e della scuola per le nuove generazioni.Al lavoro, comunque. Quasi tutte le Regioni hanno ormai governatori convinti che occorra uscire dal politichese statalista e ripartire dalla realtà dei territori, chiedendo e applicando autonomia. Bisogna cambiare perché l'Italia viva ed esca dalla stagnazione romana, amatissima (con relative poltrone) dall'attuale governo che vorrebbe fermare il mondo pur di restare. Lo hanno chiesto gli elettori andando a votare e rimettendo al centro del gioco i territori, con i loro governatori e le loro richieste. Il «lavoro» che ci aspetta a tutti è ora molto diverso dai soliti discorsi della politica. Ce lo fa capire la cronaca quotidiana, con le sue violenze vuote e insensate e l'esibizionismo dei suoi protagonisti, assillati dalla propria non esistenza. Il popolo di giovani che «né studiano né lavorano» più vasto d'Europa, così come il consumo giovanile di droga più elevato del continente, svelano con chiarezza come il nostro sia un Paese che taglia da subito le gambe ai pochi figli che riesce a fare. È questo il problema più urgente dell'Italia e dei suoi territori produttivi: il risanamento e la ricostruzione di una speranza per la sua gioventù, che è poi il futuro del Paese. Senza di questo si possono fare e disfare governi, partiti e leggi elettorali, ma nulla cambierà e tutto continuerà a sprofondare. Come moltissimi genitori sanno non si tratta di una passeggiata, anche perché i problemi dei figli raramente sono del tutto slegati da quelli di madre e padre. Il «mollate gli ormeggi» in Italia, l'allontanamento sia familiare che sociale da una solida e positiva base di realtà, risale almeno agli anni Settanta e l'hanno realizzato loro, i genitori dei nati verso la fine del millennio. Rimediare al disastro attraverso un forte sforzo educativo e affettivo è oggi il problema più urgente per la sopravvivenza del Paese, e la politica (tutta la politica, di destra come di sinistra), deve occuparsene al più presto, o sarà l'Italia a finire.È infatti in atto una selezione automatica che fa sì che i ragazzi più vitali e psicologicamente a posto se ne vadano, e almeno la metà di chi rimane sviluppi gravi disturbi psicologici, affettivi e cognitivi. Le spiegazioni che le forze politiche di governo hanno finora dato della situazione sono superficiali e sbagliate. Quella delle forze tardo marxiste, secondo le quali il degrado giovanile è dato dalla disparità tra ricchi e poveri, è negata dalla realtà. Nei fatti le manifestazioni del disturbo, pigrizia, narcisismo, ricerca di dipendenze, rifiuto di responsabilità personali, sono identiche e diffuse tra i giovani ricchi come fra i poveri. Entrambi sono debilitati da un modello educativo edonista e deresponsabilizzante, che di fatto toglie energia, e anche gusto e piacere per la vita, rendendola «svuotata di senso», come spesso i giovani sia ricchi che poveri dichiarano e raccontano. A fare la differenza, indipendentemente dalla posizione sociale, è invece l'impegno personale dei genitori nell'educazione dei figli. A cominciare dal padre, indispensabile perché il figlio si affermi positivamente nell'esistenza, ma per nulla supportato in questo dal sistema politico. L'Italia si distingue anzi tra i Paesi avanzati come quello che più ostacola la presenza e il ruolo paterno, come mostra l'arretrata legislazione sull'affidamento dei figli dopo la separazione e divorzio, diretta a indebolire il più possibile il genitore maschio. Anche qui però le regioni più avanzate dal punto di vista produttivo e culturale possono influenzare notevolmente l'amministrazione della giustizia. Quando l'autorità politica locale, partendo dalle esigenze delle persone, riconosce nei suoi atti e nelle sue posizioni la dignità formativa e sociale del ruolo paterno, anche i giudici ne tengono poi conto quando applicazione le leggi.Il fatto è che, come ha ripetuto Simone Weil, la filosofa moderna più ricca di intuizioni educative, perché i figli si sviluppino e vivano occorre dare loro degli obiettivi, delle mete dove dirigere le proprie forze. Non si può entusiasmarli solo con aspirazioni burocratiche: il «pezzo di carta» del diploma o della laurea. L'umanità della persona esige molto di più. I pezzi di carta avevano un significato forte nell'Italia del dopoguerra perché corrispondevano effettivamente a formazioni reali, con un riscontro preciso nel mondo del lavoro e nella società. Ma oggi di solito non è così: i diplomi ufficiali, in sé, non garantiscono nulla sul piano del lavoro, anche perché nel frattempo la scuola è stata svuotata di personalità ed efficacia da una gestione politica culturalmente inesistente, poco interessata al tema, e del tutto priva di obiettivi e di visioni di ampio respiro, che sono poi le uniche in grado di motivare dei giovani.È questo un ambito dove l'autonomia regionale ha già dato ottimi risultati. Il rapporto più vicino e diretto della regione da una parte con il territorio e le sue vocazioni professionali e imprenditoriali, e dall'altra con il mondo giovanile locale, consente iniziative di formazione e avviamento al lavoro più efficaci e partecipate dei presuntuosi e vuoti «piani» e modelli formativi calati dall'alto, lontani dalla realtà. Il Trentino Alto Adige, ad esempio, ha in questo un'esperienza piuttosto positiva e consolidata.Occorre in ogni caso uscire dalla visione ristretta e utilitaristica che ha informato le ultime riforme scolastiche: una scuola che punti solo (e in modo comunque astratto) al lavoro e all'affermazione personale, non fa trovare il lavoro e sviluppa depressione e frustrazione. Ogni vera formazione è generativa: non si limita a dare conoscenze subito invecchiate, ma crea una persona. Questa però non è un'esperienza dolce e tranquilla, ma (come il parto) violenta e dolorosa, come hanno ricordato all'alba della nostra civiltà il filosofo greco Socrate (che in quanto educatore si considerava una levatrice, abituata a lavorare tra il sangue e le urla) e Platone. Le riforme burocratiche della scuola hanno voluto negare il volto forte, trasformativo della scuola. Ma questa o ha il coraggio di creare individui e mondi nuovi, oppure è un'inutile perdita di tempo, per tutti. Ora bisogna ritrovare il coraggio, e recuperare il tempo perduto.