2019-02-19
L’ultimo show del Bullo in televisione finisce battuto da «Paperissima»
I telespettatori non gradiscono il monologo dell'ex premier Matteo Renzi su Rai 1. Mediaset vince la gara dell'audience anche con una fiction intitolata, ironia della sorte, Non mentire. Un'altra strada è il titolo del nuovo libro di Matteo Renzi. Dev'essere quella che hanno precipitosamente imboccato molti telespettatori, l'altra sera, non appena l'hanno visto comparire al tavolo di Fabio Fazio su Rai 1. Una fuga, anzi un fugone per trovare il telecomando e cambiare canale (per la cronaca, nello stesso giorno neanche Silvio Berlusconi ha sfavillato, in termini di share, nel telesalotto di Barbara D'Urso). Già provato dall'apparizione di Roberto Saviano (con l'annuncio, anzi la minaccia, di Fazio: Saviano tornerà anche domenica prossima), e ammorbato per mesi (da qualche settimana almeno questo supplizio è stato sospeso) dalle soporifere lezioni di Carlo Cottarelli, il pubblico della rete ammiraglia Rai deve aver pensato a una specie di complotto: pure Renzi! Così, nella sua funzione di «sfollagente», l'apparizione del capo del Giglio tragico è stata efficacissima. Negli ultimi tempi, a meno di nostri errori, Fazio aveva perso una sola volta rispetto alla concorrenza: e invece l'altroieri (con il suo 14,9%) è stato battuto da Canale 5, che ha schierato prima Paperissima (non esattamente un prodotto freschissimo, eppure il risultato è stato un ottimo 17,2%) e poi la nuova fiction Non mentire (nessun riferimento a Renzi, possiamo garantirlo) che ha centrato un buon 15,5%. L'ex premier conferma dunque una specie di tocco inverso a quello di Re Mida e, dopo i risultati non spettacolari (ehm) del docufilm su Firenze, si ripropone in tv con effetto respingente. Abito scuro, camicia bianca, faccione rosso lampadatissimo (impressionante il confronto tra il viso da Sioux e le mani bianchissime), consueto apparato di smorfie e faccine che gli rende tragicamente difficile assumere una maschera drammatica anche quando parla di cose serie, Renzi ricompare uguale a sé stesso, una specie di eterno ritorno del sempre uguale. Su Twitter, è stato impietoso ma chirurgico il giudizio di Paolo Madron, il direttore di Lettera 43: «La cosa drammatica di Renzi è che non c'è un momento del suo inesausto monologo (anche nel tono della voce) che preluda a un minimo di introspezione critica».Proprio così. Fazio osa chiedergli non un'autocritica, ma almeno un minimo di analisi politica («quello che lei dice non è bastato, Salvini ha un consenso come nessun altro: quindi evidentemente risulta più convincente dei vostri governi…»). E lui? Come il Fonzie che non riusciva a dire «ho sbagliato» e farfugliava «ho sb…ho sb…»), Renzi trova parole critiche per tutti, tranne che per sé. Sui governanti attuali e su quelli del passato, Renzi è feroce: «Quando vado all'estero, vedo l'Italia tornata a livelli di scarsa credibilità. Ma ai tempi di Berlusconi, ridevano del bunga bunga, ora invece piangono…». Chissà invece che facevano quando ascoltavano i suoi interventi in inglese (con l'indimenticabile «shish…shish»). A seguire, un'interminabile pagina sull'immigrazione. La commovente storia del piccolo migrante annegato con la pagella cucita addosso alla camicia (raccontata però senza chiari riferimenti temporali: l'episodio risale al 2015, ma un telespettatore distratto può forse aver associato la cosa a chissà quale volontà o scelta di Salvini), poi l'affermazione categorica sul nostro «dna valoriale che sta cambiando»: «Provate a chiedere a una persona di colore come si sente in Italia oggi su un autobus?». Battuta dalla quale si evince che Renzi non deve prendere molti autobus, che sono frequentati proprio da italiani di ceto medio e medio basso e da immigrati. E infine il prevedibile predicozzo sugli «immigrati che un tempo eravamo noi…», con battutaccia spiacevole su Ellis Island dove, secondo Renzi, ci sarebbero 247 registrazioni del cognome Salvini («Se erano 248 era meglio, evitavamo un problema oggi», chiosa: quindi sui migranti di nome Salvini si può fare sarcasmo…). E proprio a Salvini, Renzi dedica gli attacchi più velenosi, di fatto la responsabilità morale di un clima per cui «qualsiasi persona di colore diverso diventa un potenziale pericolo o è vissuta come un potenziale stupratore». Per il resto, il monologo è sembrato una specie di remake del film di Alessandro Blasetti del 1966 Io, io, io e gli altri. Con gli «altri» che compaiono, nella sceneggiatura renziana, solo per essere criticati. Letta? «Enrico non ha mai digerito un passaggio…». Gentiloni? «Sullo ius soli serviva più coraggio: io sui diritti ho messo la fiducia…». Il resto del partito? «Io sono alla pace dei sensi: ho vinto due volte le primarie con il 70%, e subito è partito il fuoco amico per tirarmi alle gambe». I grillini? «Se vanno a casa, l'80% dei parlamentari del M5s devono trovarsi un lavoro, e non avranno nemmeno il reddito di cittadinanza…».Tutto così, per 27 lunghissimi minuti. Un interminabile Renzi pride: «14 trimestri di crescita», «sono amico di Obama e Macron», «Aiuti ai poveri? Già fatti con il reddito di inclusione». Resta da chiedersi come mai, avendo a disposizione un fenomeno simile al governo, gli italiani se lo siano lasciati sfuggire. Ma anche su questo la versione di Renzi è totalmente autoassolutoria: «Da 25 anni, chiunque abbia governato poi ha perso le elezioni». E gli ultimi minuti? In un'atmosfera surreale, Renzi li ha usati per dire che il libro non è «un insieme di rancori», e subito dopo per minacciare una raffica di querele. C'è anche una data già segnata con il circoletto rosso sul calendario renziano: il 22 febbraio, quando querelerà a destra e a manca, ci fa sapere. Perché - spiega - «buono sì, ma a un certo punto c'è un limite». È quello che devono aver pensato anche i telespettatori, cambiando canale.