2025-01-14
L’ultimo scatto del fotografo della sinistra avvolta nel cachemire
Oliviero Toscani (Getty images)
Si è spento a 82 anni per l’amiloidosi. Le sue campagne con Benetton su Aids e pena di morte stravolsero il mondo della pubblicità. Mito radical chic, firmò la lettera contro Calabresi e definì Wojtyla «assassino».L’uomo dei colori è uscito di scena in bianco e nero, avvolto per la prima volta dal silenzio. Prosciugato dal male dentro una fotografia che avrebbe voluto scattare lui, Oliviero Toscani se n’è andato lentamente, in dissolvenza, nell’ospedale di Cecina dov’era ricoverato dopo l’ultima crisi. Ha voluto scandire il finale l’estate scorsa, quando in un’intervista shock ha fatto sapere: «Sto morendo». Da due anni era afflitto da una malattia rara e degenerativa, che corrode gli organi e prosciuga la persona, l’amiloidosi. Ha perso 40 chili in poco tempo e con coraggio ha voluto mostrarsi larvale nell’ultima fotografia; non poteva mentire allo strumento cardine della sua vita. Aveva 82 anni.Esce di scena così, tenendo la mano alla moglie (l’ex modella norvegese Kristi Moseng alla quale era legato da mezzo secolo), un artista a suo modo geniale, che ha saputo rinnovare il concetto di messaggio visivo legato alla pubblicità. E al tempo stesso ci lascia un uomo controverso che si è atteggiato a rivoluzionario cavalcando l’onda del successo dentro l’ampio alveo del pensiero unico progressista. Comodamente avvolto dal cachemire del mondo radicale della sinistra milanese, Toscani è riassumibile in una sua frase-testamento: «Nella vita ho detto delle banalità e, come tutte le banalità, questo impressiona la gente. Se dici la verità, fai sempre paura. Ho avuto una vita molto privilegiata e fortunata. Ho vissuto tutto quello che uno può sognare di vivere e adesso è così. Devo pagare tutto quello che ho preso prima».Nato nella Milano nel 1942 sotto i bombardamenti angloamericani, il giovane Oliviero aveva la fotografia nel Dna di famiglia. Suo padre Fedele era fotoreporter del Corriere della Sera, sua sorella Marirosa avrebbe fondato con il marito Aldo Ballo uno dei più importanti studi fotografici di architettura, interni e design d’Italia. Lui pubblicò il primo scatto a 14 anni sul Corriere, il ritratto di donna Rachele a Predappio durante la tumulazione di Benito Mussolini. Poi la specializzazione nella pubblicità con la campagna Algida (tre ragazze su un tandem con il cornetto gelato) e lo sbarco nella moda per la ditta Facis. Grintoso e nevrile, non faticò a farsi largo in un ambiente in rampa di lancio, anche perché a Parigi aveva imparato l’arte del concept. Lavorò per Valentino, Fiorucci, Chanel, Prénatal e pubblicò su tutte le riviste di punta: Vogue, Esquire, Gq, Elle, Stern, Harper’s Bazaar.Nel 1982 arriva l’incontro che crea la simbiosi e cambia la vita: la famiglia Benetton, i pullover United Colors. Da qui la rivista Colors, il centro Fabrica, lo sbarco a New York, la fama internazionale, le fughe in Harley Davidson sulla Route 66. La carriera, le passerelle e le molte famiglie: Oliviero ha avuto tre mogli e sei figli, Alexandre, Olivia, Sabina, Rocco, Lola e Ali. Non tutto è filato liscio, qualche anno fa Olivia ha rilasciato un’intervista shock: «Sin dalla separazione dei miei genitori l’ho sempre sentito imprecare contro di noi, bestemmiando, fino ad arrivare al limite inaudito di imprecare contro la nostra vita stessa (noi ancora bambine). Il nostro riavvicinamento non sarà mai possibile senza un profondo e sentito atto di amore e conversione. Oggi Oliviero è un estraneo con un grosso debito umano e morale».Toscani ha avuto un’idea e nessuno può togliergliela: ha saputo portare la vita e il dolore dentro il mondo più ipocrita, quello degli spot. Ne sono scaturite foto (e campagne profumatamente pagate soprattutto da Benetton) che hanno fatto la storia: il malato di Aids, i bambini denutriti dell’Africa, il condannato a morte negli Stati Uniti. Temi come l’uguaglianza razziale, la mafia, la lotta all’omofobia, l’abolizione della pena di morte grazie a lui sono finiti per la prima volta sui cartelloni stradali e sulle pagine pubblicitarie di riviste patinate.Fotografi «sociali» giganteschi come Sebastiao Salgado, Tina Modotti, Henri Cartier Bresson, Robert Doisneau continuano a giocare un altro campionato, non c’è dubbio. Ma lui ha avuto la capacità di fare surf sulla lunga età dell’oro del fashion ribaltando un concetto: se prima la fotografia di moda era solo il pretesto per lanciare un marchio, con Toscani il marchio diventava il pretesto per lanciare campagne di sensibilizzazione sociale. Con qualche ambiguità che oggi le prefiche preferiscono nascondere, come l’accusa di frode da parte dello Stato del Missouri per avere ritratto alcuni condannati alla sedia elettrica senza specificare che le foto sarebbero servite per una campagna commerciale. Ne scaturì un intrigo internazionale, Benetton fu costretta a chiudere 400 punti vendita, a scusarsi con i parenti dei condannati. E lo licenziò.«Se dici la verità fai solo paura», ha detto mentre diventava prigioniero del personaggio e dell’ego ipertrofico, segnali inequivocabili del declino. Quella verità era soltanto sua, spesso trasformata in provocazione, invettiva, vessillo morale a uso di una platea militante che da sempre gioca a stupire i borghesi dal pulpito più borghese di tutti, quello del conformismo. Ed ecco il Toscani che negli anni Settanta firmava sull’Espresso la lettera degli intellettuali contro il commissario Luigi Calabresi (nel 2022 ha ribadito «Non lo rinnego, era la cosa giusta»). Ecco il grillo parlante che definiva i veneti «un popolo di ubriaconi alcolizzati»; che rifiutava un selfie con un ragazzo calabrese «perché potresti essere un potenziale mafioso».Non si sarebbe più fermato. Definiva la Chiesa «un club sadomaso» e papa Wojtyla «un assassino»; ribadiva di «essere contento perché Berlusconi non c’è più». Municipio uno in purezza, come Gae Aulenti e Inge Feltrinelli che brindarono quando Indro Montanelli fu gambizzato dalle Br. Al culmine dell’autoreferenzialità, per difendere i suoi datori di lavoro dopo il crollo del ponte Morandi, Toscani disse a Radio1: «Ma in fondo a chi interessa se cade un ponte? Smettiamola». Quarantatré morti e 600 sfollati. Licenziato per la seconda volta. Da Buddha pop della fotografia, ha vinto tutti i premi alla carriera che non si negano a nessun Vip. Ancora laboratori, workshop, riconoscimenti internazionali. E polemiche, come quella che lo vide protagonista nel 2007 quando realizzò una campagna contro l’anoressia fotografando la modella malata Isabelle Caro; le immagini scandalizzarono il pubblico, lui fu accusato di sciacallaggio e si difese con il consueto vigore. Isabelle morì tre anni dopo. In politica nessuno sconto: diede del cretino a Matteo Salvini, portò il tribunale Fratelli d’Italia per l’uso di una sua foto. Querelò e fu querelato altre volte fra gli applausi meccanici del démi monde. Routine. Prima della malattia si è trasferito nella tenuta di campagna in Toscana, ha continuato a pontificare diventando un ospite prezioso del chiacchiericcio da talk show. Rincorso e forse spaventato, come tutti, dalle nuances del tramonto. Basta chiacchiere, ora l’uomo dei colori ha chiuso gli occhi per sempre. Tuta nera e Harley Davidson, lo immaginiamo su un’autostrada che porta ai confini delle galassie, eterno Easy Rider che non ha bisogno di Dio, perché convinto di esserlo stato lui.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi