2019-08-23
L’ultimatum del Colle ai grillini: «Fate presto»
Sergio Mattarella dà solo cinque giorni per trovare una nuova maggioranza: tra martedì e mercoledì bisogna decidere. Se non c'è un programma serio si andrà alle elezioni. Il presidente vuole impedire che si ripetano i balletti che seguirono il voto del 4 marzo.Tempi supplementari e ogni soluzione aperta, fino a martedì. Dopo un'altra giornata di ballo in maschera e negoziati incrociati; dopo la grande bugia pronunciata da Luigi Di Maio alle 17.30 (testuale: «Il Movimento 5 stelle non ha paura del voto»); dopo l'illustrazione grillina di un programma in dieci punti (ma senza citare esplicitamente il Pd e senza chiudere definitivamente alla Lega: Di Maio ha genericamente parlato di «interlocuzioni in vista di una maggioranza solida»); dopo la dichiarazione del capogruppo grillino al Senato, Stefano Patuanelli, che, poco prima delle 20, ha aperto a un incontro con gli omologhi del Pd sul tema del taglio dei parlamentari; dopo tutto questo, alla fine di una giornata estenuante, è stato il presidente, Sergio Mattarella, a presentarsi alle 20 davanti a cronisti e telecamere, concedendo a tutti un extra time. Un Mattarella cupo in volto ha ricordato che «sono possibili solo governi che ottengano la fiducia del Parlamento su un programma per governare il Paese. In mancanza di queste condizioni, la strada da percorrere è quella di nuove elezioni. Decisione - quest'ultima - da non assumere alla leggera, dopo un solo anno di legislatura. Il ricorso agli elettori è tuttavia necessario se il Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza». Dopo di che, Mattarella è arrivato al punto: «Mi è stato comunicato da parte di alcuni partiti che sono state assunte iniziative per un'intesa politica, e mi è stata avanzata la richiesta di avere più tempo». Subito dopo, il presidente ha aggiunto di aver ricevuto la richiesta «di svolgere verifiche anche da parte di altre forze politiche». Di tutta evidenza, nel primo caso Mattarella si riferiva a Pd e M5s, e nel secondo caso alla Lega, che dunque resta ancora in gioco. E allora ecco la conclusione: «Ho il dovere di non precludere l'espressione di una volontà del Parlamento, ma al contempo anche di richiedere nell'interesse del Paese decisioni sollecite. Svolgerò dunque nuove consultazioni che inizieranno martedì prossimo per trarre le decisioni necessarie». Insomma, tutto resta aperto. E se non emergerà una soluzione tra martedì e mercoledì, pare inevitabile lo scioglimento delle Camere.Dalle parti del Quirinale, dove si preferisce consegnare ai quirinalisti un'immagine del capo dello Stato serena, olimpica, imperturbabile, nessuno lo ammetterebbe. Ma la verità è che Sergio Mattarella rimase choccato dalle lunghe settimane post 4 marzo 2018. Allora, con una scelta ostinata che a tanti parve assai discutibile, Mattarella non consegnò a un esponente del centrodestra uscito dalle urne (Lega, Fi, Fdi) un mandato pieno per cercare i pochi voti mancanti nelle due Camere. Al contrario, dedicò molto tempo ed energia, con ampio accompagnamento dei giornali mainstream, all'ipotesi di accordo tra Pd e 5 stelle. Ma com'è noto, quell'intesa non giunse in porto: Luigi Di Maio aprì a sinistra e però alla fine concluse a destra, spiazzando anche il Colle. Ecco, stavolta Mattarella era determinato evitare il bis di quell'esperienza. Di qui la sua scelta dei giorni scorsi di rendere esplicita la prospettiva delle urne: per un verso per impedire a Di Maio di alimentare due forni; e per altro verso per indurre i grillini a dire sì al Pd. Usando un avverbio caro alla tradizione comunista, si potrebbe dire che «oggettivamente» Mattarella abbia provato a compiere, dal suo punto di vista, un'operazione convergente con quella tentata dal Pd: condurre i grillini sull'orlo del baratro (cioè far vedere loro le elezioni), mostrare ai pentastellati il baratro di una decimazione parlamentare, e poi ripeter loro la domanda: in alternativa alla morte certa, lo volete l'accordo con il Pd? È questo che ha indotto Zingaretti a un rilancio continuo, ad alzare la posta, a passare dai laschi e vaghi cinque punti approvati dalla Direzione del Pd due giorni fa alle condizioni perfino umilianti e provocatorie per i grillini precisate (e aggravate) ieri. Un'autentica richiesta di abiura per Di Maio & C: cancellare i decreti Sicurezza (l'ultimo approvato con tanto di fiducia un paio di settimane fa) e rinunciare alla misura simbolo del taglio dei parlamentari. Tutte contraddizioni in cui Salvini si è inserito ieri pomeriggio, rinfacciando ai 5 stelle un eventuale tradimento di quegli impegni politici. E tentando fino alla fine di rendere possibile un colpo di scena, e cioè un nuovo negoziato Lega-M5s, addirittura prospettando per Di Maio l'offerta di Palazzo Chigi. Così, per lunghe ore, si è assistito a una quadrupla prova di forza: quella del Pd verso i grillini (con la minaccia delle urne); quella dei grillini verso il Pd (rivendicando come condizione imprescindibile il taglio dei parlamentari); quella di Salvini verso Di Maio (ricordando che la Lega, diversamente dal Pd, ha già votato tre volte per il taglio di deputati e senatori); e infine quella tutta interna al Pd tra zingarettiani e renziani. Mattarella, a fine giornata, ha dovuto prendere atto di questa impasse. Salvini non è ancora fuori dai giochi, né - dall'altra parte - è maturata un'intesa piena Pd-M5s. Altri cinque giorni di passione, e poi, forse, capiremo se gli italiani potranno andare a votare.
Caterina Interlandi, presidente vicario del tribunale di Tempio Pausania (Imagoeconomica)
Julius Evola negli anni Venti (Fondazione Evola)