2024-09-19
L’ultima giravolta della sinistra: «È un voto su Ursula, non su di lui»
Stefano Bonaccini e Elly Schlein (Imagoeconomica)
Il Pd per silurare il rappresentante dell’Italia fa finta di non aver sostenuto la tedesca. Stefano Bonaccini: «Sarà valutato, come gli altri, sulle risposte che darà». Elly Schlein: «Spostamento a destra, non faremo sconti».In fondo, fairplay a parte, basterebbe avere un minimo di memoria. «Noi sosteniamo Gentiloni come italiano nella Commissione […] avendo come primo input gli interessi dell’Italia». Parole e fatti di Silvio Berlusconi il giorno dell’elezione di Paolo Gentiloni come commissario Ue agli Affari economici. Forza Italia e Fdi diedero semaforo verde all’ex premier del Pd, mentre la Lega gli votò contro. Adesso, a parti invertite, ecco che nel Pd devono decidere se appoggiare o meno la nomina di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della seconda Commissione Von der Leyen. C’è un mese di tempo e alla fine sarà difficile che da Largo del Nazareno non arrivi l’indicazione di un voto a favore, ma intanto è partito un giochetto al massacro stucchevole, fatto di silenzi e messaggi ambigui, il cui succo è questo: prima di dire sì o no a Fitto, bisogna vedere un po’ com’è questa Commissione e ci vuole la consueta «valutazione interna». Insomma, una sorta di possibilismo peloso. Quanto durò il «giallo» sulla designazione e sulla conferma di Gentiloni come commissario Ue? Non ci fu e basta. Del resto, un dibattito insensato su una poltrona di prima classe per l’Italia sarebbe stato stroncato dal Quirinale, dove già all’epoca (era l’autunno del 2019) sedeva Sergio Mattarella. Il 3 ottobre di cinque anni fa, dopo aver ascoltato le parole di Gentiloni in commissione al Parlamento Ue, il Cavaliere in versione eurodeputato diede indicazioni chiare: «Una prestazione buona, noi sosteniamo Gentiloni come italiano nella Commissione, che può essere riguardoso dei problemi dell’Europa, ma avendo come primo input gli interessi dell’Italia». Il commissario italiano, come scrisse l’Ansa di quel giorno, «è stato promosso senza fare domande aggiuntive e senza bisogno di voti, con un consenso ampio e «solo la sinistra Gue e Id, di cui fa parte la Lega, si sono espressi contro». Anche il gruppo Ecr dei conservatori, al quale aderisce Fratelli d’Italia, appoggiò la nomina tricolore. L’aria che si respira oggi, tuttavia, è stranamente diversa. Almeno dalle parti del Pd, dove la segreteria guidata da Elly Schlein ancora non si sbilancia sul voto, ma dove fioriscono i distinguo. Un interprete di questa linea è Stefano Bonaccini, eurodeputato di peso e tra i colonnelli della Schlein. L’ex presidente dell’Emilia Romagna sostiene che prima di parlare di Fitto bisogna vedere bene bene com’è questa Commissione e che progetti ha. «Fitto dovrà, al pari degli altri commissari, rispondere alle domande che porremo. Dipenderà da lui, non da noi», ha raccontato Bonaccini al Corriere della Sera. Capito? Fitto è sotto esame. E Bonaccini ha aggiunto: «Sarà misurato nel concreto sul suo tasso di europeismo e sulle risposte che darà rispetto all’agenda che la maggioranza del Parlamento europeo ha fissato. Non ho pregiudizi personali, anzi, con lui ho collaborato davvero positivamente da presidente della mia Regione. Spetta a lui dare garanzie». Garanzie di cosa? Di non aver messo la bomba alla stazione di Bologna o di volere il cappotto termico anche per gli stadi? Anche Schlein, almeno finora, non riesce ad annunciare lo scontato voto a favore della nomina di un italiano e in una conversazione assai amichevole con la Stampa attacca, legittimamente, la nuova Commissione, che ritiene più spostata a destra di quella precedente e fa notare che le deleghe economiche più importanti vanno a «Valdis Dombrovskis, considerato un falco», tanto è vero che «dovremo batterci molto per difendere la prospettiva di investimenti comuni europei». È la stessa posizione del centrodestra italiano, quella sugli investimenti Ue con debito comune, e la nomina dell’ex premier lettone non piace a nessuno in Italia, ma Schlein si guarda bene dall’attaccare direttamente Dombrovskis, limitandosi a riportare che è «considerato» un falco. Poi arriva a Fitto e anche lei usa l’escamotage delle audizioni da trasformare in una mezza ordalia: «Useremo le audizioni senza fare alcuno sconto per verificare la sua adeguatezza al compito». In realtà, tutte le indiscrezioni che filtrano dai piani alti del Pd sono concordi: alla fine gli eurodeputati dem voteranno per Fitto. Anche perché nessuno vuole aprire fronti con Mattarella o farsi sgridare come bambini da Romano Prodi. E tuttavia il giochino di queste ore sul «sacro giudizio della commissione» è di scarsa eleganza e di ancor meno coraggio. Per la cronaca, la commissione apposita che deve confermare le designazioni è composta da 41 membri: 11 sono del Ppe, otto Socialisti, cinque dei Patrioti, quattro ciascuno per Ecr e Renew, tre Verdi e tre di The Left, uno dei cosiddetti Sovranisti, mentre due non sono iscritti a nessun gruppo. Però ogni gruppo è un blocco di voti unico, visto che a esprimere la posizione di ognuno saranno i rispettivi coordinatori. Questo toglie parecchio pathos alla faccenda, perché le spaccature interne e le pressioni sui singoli sono praticamente impossibili. Sarà anche per questo, ma uno come Enrico Letta, che di Ue capisce più di Schlein e Bonaccini, invece, non ha dubbi. Ieri l’ex premier del Pd, presentando il suo libro Molto più di un mercato, ha spiegato (ai compagni): «Sicuramente la Commissione creata da Von der Leyen è piena di aspettative e con delle buone missioni. E dentro questa Commissione sono convinto che Raffaele Fitto farà un buon lavoro e terrà alta la tradizione italiana che è una tradizione di grandi commissari europei». Non è che ci volesse tanto a dirlo.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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