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2024-09-01
Non solo Elon Musk, Luiz Inácio Lula da Silva imbavaglia i brasiliani
Elon Musk, miliardario statunitense, è proprietario della piattaforma social X (Getty)
«In Brasile non abbiamo più la X da mezzanotte. Sto twittando questo tramite Vpn. Questo tweet potrebbe costarmi quasi 10.000 dollari, secondo la decisione del tiranno Alexandre de Moraes, amico di Lula: ogni brasiliano che da ora in poi pubblicherà su X verrà multato di 50.000 reais, secondo la sua “sentenza” illegale. La mia dignità vale molto di più. In realtà, non ha prezzo. Continuerò a twittare nonostante le persecuzioni o le minacce dello Stato perché credo nella libertà di espressione, nella democrazia e nella vera giustizia. I brasiliani scenderanno in piazza. Il 7 settembre faremo sentire la nostra voce molto chiaramente. Chiederemo che Moraes venga messo sotto accusa dal Senato e mandato in prigione dopo un giusto processo, che Moraes crudelmente e incostituzionalmente non concede alle persone che perseguita». Lo ha scritto ieri su X Marcel van Hattem, ex giornalista, oggi deputato conservatore brasiliano, ringraziando poi Elon Musk per battersi «contro la censura e l’autoritarismo». Il blocco di X in Brasile è infatti scattato alla mezzanotte locale. Lo ha stabilito la decisione del giudice della Corte suprema federale (la Stf), de Moraes, perché Musk non ha rispettato l’ultimatum di 24 ore ricevuto due giorni fa e non ha nominato un rappresentante legale nel Paese. L’accesso al sito del social media non è più possibile per gli utenti, che incontrano un messaggio che chiede loro di ricaricare il browser quando entrano nel portale, senza però mai riuscire ad accedere con successo.
De Moraes ha anche imposto multe giornaliere di 50.000 reais, equivalenti a 8.027 euro, per chi userà la Vpn (la rete virtuale privata che consentirebbe al dispositivo usato di fingersi in un altro Paese) per aggirare il blocco. Limitando la libertà di tutti i brasiliani, dunque. Non solo di Musk. Il presidente dell’Anatel (Agenzia nazionale delle telecomunicazioni), Carlos Baigorri, ha inoltre dichiarato che i principali operatori di telecomunicazioni del Brasile - Vivo, Claro e Tim - sono già stati informati della decisione della Corte suprema federale per mettere X offline. Il paravento del governo è la guerra alla «disinformazione» in Rete che fa intravedere sullo sfondo il clima politico, a un mese dalle elezioni municipali in Brasile, con la sfida tra il presidente in carica Luiz Inacio Lula da Silva - il «democratico» Lula (copyright della sinistra italiana) - e l’ex leader di destra Jair Bolsonaro.
Moraes è un persecutore storico di Bolsonaro sul quale ha guidato diverse inchieste (tra cui quella sul presunto tentativo di golpe dopo la sconfitta elettorale del 2022). È stato segretario della sicurezza dello Stato di San Paolo, dove è stato accusato di usare la mano pesante nella repressione dei movimenti sociali. È arrivato alla Corte nel 2017, nominato dall’ex presidente conservatore Michel Temer (2016-2018), per il quale era stato ministro della Giustizia. «Anche se la sua folgorante carriera ha un aspetto legale, ciò che lo ha portato nella Corte suprema è la politica. È un animale politico», ha detto alla Afp l’esperto costituzionale Antonio Carlos de Freitas. E «si muove bene in diversi ambienti, comprese le forze armate». Ai vertici della magistratura Moraes potrà restare per legge almeno fino ai 75 anni, ma il magistrato, sposato con tre figli, «ha pretese politiche». Come quella, ad esempio, di diventare presidente del Brasile, anche se non ne ha mai parlato pubblicamente.
Sulla sua piattaforma Musk è scatenato da giorni contro de Moraes e contro lo stesso Lula. «La libertà d’espressione è il fondamento della democrazia e, in Brasile, uno pseudo giudice non eletto la sta distruggendo per motivazioni politiche», ha sottolineato ieri il magnate sudafricano. Poi ha aggiunto: «L’attuale governo brasiliano ama indossare il mantello della libera democrazia, mentre schiaccia il popolo sotto il suo stivale». Annunciando che da oggi inizierà a pubblicare la «lunga lista dei crimini» commessi dal giudice, accompagnata dall’elenco delle «leggi brasiliane che ha infranto» con la sua sentenza.
Intanto, un altro giudice, Cristiano Zanin, membro della Corte suprema brasiliana (Stf), ha respinto il ricorso di Starlink contro la decisione di de Moraes, che ha bloccato in Brasile anche i conti della società di Internet satellitare di Musk. Il magistrato di origini italiane ha spiegato che Stf ha una posizione definita secondo la quale, per contestare la decisione di un altro ministro, la procedura dev’essere differente. Zanin non avrebbe, inoltre, ravvisato alcun abuso nella decisione di Moraes che, il 18 agosto scorso, aveva ordinato il blocco dei conti di Starlink per garantire il pagamento delle multe inflitte a X e mai pagate, che ammontano a circa 3 milioni di euro.
Nel frattempo, Musk ha scritto su X che «sarebbe utile» limitare i suoi viaggi all’estero dopo l’arresto in Francia del fondatore di Telegram, Pavel Durov. «Forse dovrei limitare i miei viaggi ai Paesi in cui la libertà è protetta dalla Costituzione», ha risposto a un utente che lo invitava a pensare alle conseguenze.
Dal Sudamerica agli Usa, fino all’Ue: è nata l’internazionale della censura
Una mannaia, in Brasile, si è abbattuta su X. Il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, ha decretato il blocco della piattaforma nel Paese. Una misura assai controversa, che è stata appoggiata dal presidente brasiliano, Lula da Silva. Il togato ha giustificato la sua ordinanza, accusando X di non avere una rappresentanza legale nel Paese: rappresentanza che Elon Musk aveva ritirato ad agosto, dopo che Moraes aveva preteso, dietro minaccia di arresto, che la piattaforma bloccasse degli account, da lui tacciati di diffondere fake news e incitamento all’odio. Non solo. Giovedì, il giudice ha anche decretato il congelamento dei conti finanziari di Starlink in Brasile, come garanzia per il pagamento delle multe. Ricordiamo che, in loco, X conta circa 40 milioni di utenti. Tutto questo offre lo spunto per un paio di considerazioni. Innanzitutto, oltre a essere uno storico avversario di Jair Bolsonaro, Moraes è una figura non poco controversa. Già a gennaio 2023, il New York Times si chiedeva se i suoi metodi spregiudicati fossero «buoni per la democrazia». In secondo luogo, i fatti brasiliani sembrano far emergere una sorta di inquietante rete internazionale a favore della censura. Una rete individuabile proprio a partire dai rapporti politici che Lula intrattiene a livello globale.
Partiamo dall’amministrazione Biden-Harris. Pochi giorni fa, Mark Zuckerberg ha ammesso di aver subito pressioni dall’attuale Casa Bianca per censurare contenuti non allineati sul Covid. Documenti interni, pubblicati a maggio dalla commissione Giustizia della Camera statunitense, hanno inoltre mostrato che il funzionario principalmente attivo in queste pressioni fu Rob Flaherty, che è attualmente vice manager della campagna elettorale di Kamala Harris. Sarà un caso, ma, a luglio, alcuni ministri di Lula hanno espresso sostegno alla candidatura della vicepresidente statunitense. «La possibilità che una donna nera possa diventare presidente degli Stati Uniti potrebbe ispirare e spingere il Brasile a seguire un percorso simile, promuovendo ulteriormente l’uguaglianza razziale e di genere nella nostra politica», ha per esempio dichiarato Anielle Franco, che è attualmente ministro per l’Uguaglianza razziale nel gabinetto di Lula. Non solo. Pochi giorni prima delle elezioni in Brasile del 2022, Lula ebbe un incontro con l’incaricato d’affari americano nel Paese, Douglas Koneff. Addirittura, a febbraio 2023, il presidente brasiliano fu ricevuto da Joe Biden alla Casa Bianca.
Ma non è finita qui. Sì perché Lula ha recentemente rafforzato i legami di Brasilia con Emmanuel Macron. A marzo, il presidente francese si è recato in Brasile, per consolidare i rapporti nel settore Difesa. Vale ricordare che proprio Macron sponsorizzò, nel 2019 la nomina di Thierry Breton a commissario europeo per il mercato interno: quel Breton che, il mese scorso, ha inviato una controversa lettera a Musk, in cui, alla vigilia della sua intervista a Donald Trump su X, intimava al Ceo di Tesla di rispettare il Digital services act. Una missiva che aveva il sapore della minaccia. Tanto che, a fronte delle polemiche, la stessa Commissione Ue aveva fatto marcia indietro.
Ora, queste attività di censura fanno emergere due problemi interconnessi: uno di principio e l’altro geopolitico. Innanzitutto, è chiaro che la demonizzazione del dissenso non ha nulla a che vedere con la democrazia liberale. In secondo luogo chi oggi sta brindando al blocco di X in Brasile dovrebbe rammentare che questa piattaforma è vietata anche in Russia, Cina e Iran. Non solo si tratta di autocrazie ma sono anche, come lo stesso Brasile, membri dei Brics. Il cortocircuito è servito. Chi oggi è favorevole alla censura di X in nome della salvaguardia della democrazia sta paradossalmente elogiando gli stessi metodi usati da Pechino, Mosca e Teheran. D’altronde, nell’ultimo anno e mezzo, sia Macron che Lula hanno rafforzato i loro legami con la Cina. Senza dimenticare il pernicioso appeasement dell’amministrazione Biden-Harris nei confronti del regime khomeinista. Il paradosso dei paradossi è, infine, il congelamento dei conti di Starlink, che fa a sua volta capo a Space X: società che vanta vari contratti d’appalto con il Pentagono. Nel frattempo, Musk ha aperto alla possibilità di sostenere un disegno di legge californiano volto a contrastare la manipolazione di contenuti tramite IA.
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Riduci
Nel Paese scatta il blocco di X dopo la decisione del giudice della Corte suprema. Ma Alexandre de Moraes multerà anche tutti quei cittadini che utilizzeranno la Vpn per navigare fingendo di essere in un altro Paese. Il padre di Twitter: «Popolo schiacciato dal governo».Il leader carioca realizza i sogni di Thierry Breton e ricorda le pressioni di Joe Biden su Facebook.Lo speciale contiene due articoli«In Brasile non abbiamo più la X da mezzanotte. Sto twittando questo tramite Vpn. Questo tweet potrebbe costarmi quasi 10.000 dollari, secondo la decisione del tiranno Alexandre de Moraes, amico di Lula: ogni brasiliano che da ora in poi pubblicherà su X verrà multato di 50.000 reais, secondo la sua “sentenza” illegale. La mia dignità vale molto di più. In realtà, non ha prezzo. Continuerò a twittare nonostante le persecuzioni o le minacce dello Stato perché credo nella libertà di espressione, nella democrazia e nella vera giustizia. I brasiliani scenderanno in piazza. Il 7 settembre faremo sentire la nostra voce molto chiaramente. Chiederemo che Moraes venga messo sotto accusa dal Senato e mandato in prigione dopo un giusto processo, che Moraes crudelmente e incostituzionalmente non concede alle persone che perseguita». Lo ha scritto ieri su X Marcel van Hattem, ex giornalista, oggi deputato conservatore brasiliano, ringraziando poi Elon Musk per battersi «contro la censura e l’autoritarismo». Il blocco di X in Brasile è infatti scattato alla mezzanotte locale. Lo ha stabilito la decisione del giudice della Corte suprema federale (la Stf), de Moraes, perché Musk non ha rispettato l’ultimatum di 24 ore ricevuto due giorni fa e non ha nominato un rappresentante legale nel Paese. L’accesso al sito del social media non è più possibile per gli utenti, che incontrano un messaggio che chiede loro di ricaricare il browser quando entrano nel portale, senza però mai riuscire ad accedere con successo. De Moraes ha anche imposto multe giornaliere di 50.000 reais, equivalenti a 8.027 euro, per chi userà la Vpn (la rete virtuale privata che consentirebbe al dispositivo usato di fingersi in un altro Paese) per aggirare il blocco. Limitando la libertà di tutti i brasiliani, dunque. Non solo di Musk. Il presidente dell’Anatel (Agenzia nazionale delle telecomunicazioni), Carlos Baigorri, ha inoltre dichiarato che i principali operatori di telecomunicazioni del Brasile - Vivo, Claro e Tim - sono già stati informati della decisione della Corte suprema federale per mettere X offline. Il paravento del governo è la guerra alla «disinformazione» in Rete che fa intravedere sullo sfondo il clima politico, a un mese dalle elezioni municipali in Brasile, con la sfida tra il presidente in carica Luiz Inacio Lula da Silva - il «democratico» Lula (copyright della sinistra italiana) - e l’ex leader di destra Jair Bolsonaro. Moraes è un persecutore storico di Bolsonaro sul quale ha guidato diverse inchieste (tra cui quella sul presunto tentativo di golpe dopo la sconfitta elettorale del 2022). È stato segretario della sicurezza dello Stato di San Paolo, dove è stato accusato di usare la mano pesante nella repressione dei movimenti sociali. È arrivato alla Corte nel 2017, nominato dall’ex presidente conservatore Michel Temer (2016-2018), per il quale era stato ministro della Giustizia. «Anche se la sua folgorante carriera ha un aspetto legale, ciò che lo ha portato nella Corte suprema è la politica. È un animale politico», ha detto alla Afp l’esperto costituzionale Antonio Carlos de Freitas. E «si muove bene in diversi ambienti, comprese le forze armate». Ai vertici della magistratura Moraes potrà restare per legge almeno fino ai 75 anni, ma il magistrato, sposato con tre figli, «ha pretese politiche». Come quella, ad esempio, di diventare presidente del Brasile, anche se non ne ha mai parlato pubblicamente.Sulla sua piattaforma Musk è scatenato da giorni contro de Moraes e contro lo stesso Lula. «La libertà d’espressione è il fondamento della democrazia e, in Brasile, uno pseudo giudice non eletto la sta distruggendo per motivazioni politiche», ha sottolineato ieri il magnate sudafricano. Poi ha aggiunto: «L’attuale governo brasiliano ama indossare il mantello della libera democrazia, mentre schiaccia il popolo sotto il suo stivale». Annunciando che da oggi inizierà a pubblicare la «lunga lista dei crimini» commessi dal giudice, accompagnata dall’elenco delle «leggi brasiliane che ha infranto» con la sua sentenza. Intanto, un altro giudice, Cristiano Zanin, membro della Corte suprema brasiliana (Stf), ha respinto il ricorso di Starlink contro la decisione di de Moraes, che ha bloccato in Brasile anche i conti della società di Internet satellitare di Musk. Il magistrato di origini italiane ha spiegato che Stf ha una posizione definita secondo la quale, per contestare la decisione di un altro ministro, la procedura dev’essere differente. Zanin non avrebbe, inoltre, ravvisato alcun abuso nella decisione di Moraes che, il 18 agosto scorso, aveva ordinato il blocco dei conti di Starlink per garantire il pagamento delle multe inflitte a X e mai pagate, che ammontano a circa 3 milioni di euro.Nel frattempo, Musk ha scritto su X che «sarebbe utile» limitare i suoi viaggi all’estero dopo l’arresto in Francia del fondatore di Telegram, Pavel Durov. «Forse dovrei limitare i miei viaggi ai Paesi in cui la libertà è protetta dalla Costituzione», ha risposto a un utente che lo invitava a pensare alle conseguenze.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lula-imbavaglia-brasiliani-e-musk-2669110084.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dal-sudamerica-agli-usa-fino-allue-e-nata-linternazionale-della-censura" data-post-id="2669110084" data-published-at="1725153023" data-use-pagination="False"> Dal Sudamerica agli Usa, fino all’Ue: è nata l’internazionale della censura Una mannaia, in Brasile, si è abbattuta su X. Il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, ha decretato il blocco della piattaforma nel Paese. Una misura assai controversa, che è stata appoggiata dal presidente brasiliano, Lula da Silva. Il togato ha giustificato la sua ordinanza, accusando X di non avere una rappresentanza legale nel Paese: rappresentanza che Elon Musk aveva ritirato ad agosto, dopo che Moraes aveva preteso, dietro minaccia di arresto, che la piattaforma bloccasse degli account, da lui tacciati di diffondere fake news e incitamento all’odio. Non solo. Giovedì, il giudice ha anche decretato il congelamento dei conti finanziari di Starlink in Brasile, come garanzia per il pagamento delle multe. Ricordiamo che, in loco, X conta circa 40 milioni di utenti. Tutto questo offre lo spunto per un paio di considerazioni. Innanzitutto, oltre a essere uno storico avversario di Jair Bolsonaro, Moraes è una figura non poco controversa. Già a gennaio 2023, il New York Times si chiedeva se i suoi metodi spregiudicati fossero «buoni per la democrazia». In secondo luogo, i fatti brasiliani sembrano far emergere una sorta di inquietante rete internazionale a favore della censura. Una rete individuabile proprio a partire dai rapporti politici che Lula intrattiene a livello globale. Partiamo dall’amministrazione Biden-Harris. Pochi giorni fa, Mark Zuckerberg ha ammesso di aver subito pressioni dall’attuale Casa Bianca per censurare contenuti non allineati sul Covid. Documenti interni, pubblicati a maggio dalla commissione Giustizia della Camera statunitense, hanno inoltre mostrato che il funzionario principalmente attivo in queste pressioni fu Rob Flaherty, che è attualmente vice manager della campagna elettorale di Kamala Harris. Sarà un caso, ma, a luglio, alcuni ministri di Lula hanno espresso sostegno alla candidatura della vicepresidente statunitense. «La possibilità che una donna nera possa diventare presidente degli Stati Uniti potrebbe ispirare e spingere il Brasile a seguire un percorso simile, promuovendo ulteriormente l’uguaglianza razziale e di genere nella nostra politica», ha per esempio dichiarato Anielle Franco, che è attualmente ministro per l’Uguaglianza razziale nel gabinetto di Lula. Non solo. Pochi giorni prima delle elezioni in Brasile del 2022, Lula ebbe un incontro con l’incaricato d’affari americano nel Paese, Douglas Koneff. Addirittura, a febbraio 2023, il presidente brasiliano fu ricevuto da Joe Biden alla Casa Bianca. Ma non è finita qui. Sì perché Lula ha recentemente rafforzato i legami di Brasilia con Emmanuel Macron. A marzo, il presidente francese si è recato in Brasile, per consolidare i rapporti nel settore Difesa. Vale ricordare che proprio Macron sponsorizzò, nel 2019 la nomina di Thierry Breton a commissario europeo per il mercato interno: quel Breton che, il mese scorso, ha inviato una controversa lettera a Musk, in cui, alla vigilia della sua intervista a Donald Trump su X, intimava al Ceo di Tesla di rispettare il Digital services act. Una missiva che aveva il sapore della minaccia. Tanto che, a fronte delle polemiche, la stessa Commissione Ue aveva fatto marcia indietro. Ora, queste attività di censura fanno emergere due problemi interconnessi: uno di principio e l’altro geopolitico. Innanzitutto, è chiaro che la demonizzazione del dissenso non ha nulla a che vedere con la democrazia liberale. In secondo luogo chi oggi sta brindando al blocco di X in Brasile dovrebbe rammentare che questa piattaforma è vietata anche in Russia, Cina e Iran. Non solo si tratta di autocrazie ma sono anche, come lo stesso Brasile, membri dei Brics. Il cortocircuito è servito. Chi oggi è favorevole alla censura di X in nome della salvaguardia della democrazia sta paradossalmente elogiando gli stessi metodi usati da Pechino, Mosca e Teheran. D’altronde, nell’ultimo anno e mezzo, sia Macron che Lula hanno rafforzato i loro legami con la Cina. Senza dimenticare il pernicioso appeasement dell’amministrazione Biden-Harris nei confronti del regime khomeinista. Il paradosso dei paradossi è, infine, il congelamento dei conti di Starlink, che fa a sua volta capo a Space X: società che vanta vari contratti d’appalto con il Pentagono. Nel frattempo, Musk ha aperto alla possibilità di sostenere un disegno di legge californiano volto a contrastare la manipolazione di contenuti tramite IA.
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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