Nella folle risoluzione approvata dall’Europarlamento si invitano i governi ad abbandonare ogni remora a colpire il territorio russo. E a sviluppare «prove di stress per la legislazione». La piazza di Michele Serra lo sa?
Nella folle risoluzione approvata dall’Europarlamento si invitano i governi ad abbandonare ogni remora a colpire il territorio russo. E a sviluppare «prove di stress per la legislazione». La piazza di Michele Serra lo sa?L’Europa ripudia la pace come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e sostiene la guerra come strumento di riconquista della libertà di altri popoli. Sì, lo so che quello che ho appena scritto è l’articolo 11 della nostra Costituzione al contrario. Ma mentre nella nostra Carta si dice che i conflitti armati non servono a sbrogliare le contese fra i Paesi, e dunque si mette al bando ogni proposito bellicoso, nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo si sostiene l’opposto. Leggere per credere. Al punto 18, là dove si esortano l’Ue e gli Stati membri a stare fermamente dalla parte dell’Ucraina, il paragrafo prosegue con la seguente affermazione: «Ricorda (il Parlamento, ndr) la sua convinzione che è sui campi di battaglia ucraini che si decide il futuro dell’Europa». Non al tavolo di una trattativa di pace, per quanto complessa sia, ma in trincea, armati di cannoni, missili e carri armati. Non è finita. Dopo aver dichiarato che soltanto con la guerra si costruisce il futuro dell’Unione, i (n)europarlamentari sollecitano i Paesi che fanno parte della Ue a fornire più armi e munizioni a Kiev «prima della fine dei negoziati» e invita tutti, cioè sia i governi che la Nato, a revocare ogni restrizione all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti agli ucraini affinché siano usati «contro obiettivi militari in territorio russo». Cioè, la risoluzione approvata spinge gli Stati dell’Unione a rimuovere gli ostacoli che a oggi impediscono di colpire la Russia. Non le truppe russe che hanno invaso il Donbass, ma centri o strutture in profondità, con quel che ne consegue. In pratica, siamo alla dichiarazione di guerra a Mosca. E infatti, al punto 9 la risoluzione esorta la Ue, «a coordinare risposte congiunte (cioè tra Paesi membri, ndr) simili a quelle utilizzate in tempo di guerra». Al punto 39, si invitano gli Stati a prepararsi «per le evenienze militari più estreme» e si sollecitano (punto 32) a sviluppare «prove di stress per la legislazione esistente», sottolineando la «necessità di ridurre gli ostacoli presenti nell’attuale legislazione nazionale e della Ue che compromettono l’efficienza della difesa e della sicurezza europea». In altre parole, dalla nostra Costituzione va rimosso l’articolo 11, perché ritenuto d’impiccio qualora la Ue decida di attaccare la Russia o qualche altro alleato di Vladimir Putin. Non solo. Al punto 45 della risoluzione c’è un capitolo che riguarda le forze armate, per le quali bisogna passare dall’approccio basato sul flusso che ha prevalso in tempo di pace a un altro basato sulle scorte. Vale a dire che dobbiamo riempire gli arsenali, preparando anche, come recita l’articolo 51, piani di emergenza e cooperazione economica in caso di conflitto, accelerando la mobilità militare (punto 52), consentendo a carri armati, cannoni e munizioni di transitare tranquillamente, senza troppe formalità, attraverso i confini, senza che le dogane dei Paesi della Ue facciano storie. E consentendo pure la possibilità di una revoca centralizzata e giustificata «delle norme in materia di traffico stradale e ferroviario». Sì, insomma, se serve si chiudono al traffico ordinario le autostrade, si blocca la circolazione dei treni passeggeri per far passare i carri merce carichi di armi.La risoluzione in sostanza, fissa le regole che devono essere applicate in uno stato di guerra. Siamo cioè alla mobilitazione di massa, alle norme che precedono il coprifuoco. Non c’è ancora la legge marziale con cui Volodymyr Zelensky da tre anni ha reintrodotto la leva obbligatoria e l’arruolamento forzato e Ursula von der Leyen non ha ancora indossato la mimetica come quando faceva il ministro della Difesa di Angela Merkel, ma quanto al resto c’è tutto, compreso il clima prebellico. L’Europa non ripudia la guerra come risoluzione delle controversie internazionali: la prepara. E il Parlamento di Bruxelles, su richiesta di una Commissione che i cittadini non hanno mai votato e dunque scelto, sta impegnando 400 milioni di europei non soltanto a impugnare le armi, ma anche a cambiare le loro costituzioni per consentire l’entrata in guerra.Non so quante persone parteciperanno domani alla manifestazione sollecitata da Michele Serra in favore dell’Europa. A sinistra in tanti hanno dato la loro adesione. Mi chiedo e chiedo a quelli che scenderanno in piazza sventolando la bandiera blu con le stelline se sanno tutto ciò. Se sono a conoscenza che la Ue da loro sostenuta come garanzia di libertà e democrazia sta preparando una guerra. Se sono dunque favorevoli a un’Unione convinta che il futuro dell’Europa passi dai campi di battaglia e non da una trattativa di pace. Credo che questo, più di tante chiacchiere, faccia la differenza e aiuti a capire chi è per il cessate il fuoco e chi, invece, per attizzarlo.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






