2022-03-26
L’Ue s’impegna a comprare gas Usa. Ma non basterà a sganciarci dallo zar
Patto Stati Uniti-Bruxelles: Joe Biden promette subito forniture per 15 miliardi di metri cubi, poi per 50 fino al 2030. Così, sarebbe arduo liberarci dell’import da Mosca. E la Germania è «scettica» sul tetto ai prezzi dell’energia.L’anticipazione del giorno prima sul Financial Times si è rivelata precisa e fondata, e comunque è stata confermata pari pari da uno statement di ieri della Casa Bianca significativamente intitolato così: «Gli Stati Uniti e la Commissione europea annunciano una task force per ridurre la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili russi». Nel testo, si fa riferimento all’impegno comune assunto da Joe Biden e Ursula von der Leyen: questa task force sarà co-guidata da un rappresentante della Casa Bianca e da uno della Commissione Ue, e avrà l’obiettivo di «garantire la sicurezza energetica per l’Ucraina e per l’Ue in preparazione per il prossimo inverno e per il successivo, oltre a supportare l’obiettivo europeo di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi».Si badi bene: i due inverni da preparare (due montagne da scalare in termini di difficoltà di approvvigionamento energetico) danno il senso di una missione ad alto rischio, e insieme a elevatissimo livello di ambizione strategica: tentare di sganciare l’Ue dall’energia russa nel tempo più accelerato possibile, e dare avvio al processo di «disaccoppiamento» (energetico, ovviamente non ancora produttivo per ciò che riguarda la Cina) dell’Occidente dai giganti asiatici. Attenzione ai due passaggi chiave del testo. Ecco il primo: «Gli Stati Uniti lavoreranno con i partner internazionali e si sforzeranno di assicurare volumi addizionali di gas naturale liquefatto per almeno 15 miliardi di metri cubi nel 2022». Ed ecco il secondo: «La Commissione europea lavorerà con gli Stati membri verso l’obiettivo di garantire, fino almeno al 2030, una domanda per circa 50 miliardi di metri cubi aggiuntivi l’anno di gas naturale liquefatto Usa». E poco dopo, significativamente ma un po’ vagamente, si aggiunge che «ciò sarà anche fatto sulla base dell’intesa che i prezzi dovranno riflettere i fondamentali di mercato di lungo termine e la stabilità dell’offerta e della domanda».In parole povere, le notizie sono due. Per un verso, un impegno Usa - da subito - a una fornitura aggiuntiva significativa (15 miliardi di metri cubi) ma pur sempre piuttosto limitata rispetto al fabbisogno complessivo europeo: basti pensare che solo l’Italia, che insieme alla Germania è il soggetto più esposto, acquista mediamente dalla Russia circa 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Per altro verso, un impegno Ue a garantire una domanda aggiuntiva di gas americano, e cioè a promettere - in sostanza - di essere consumatori massicci di gas naturale liquefatto Usa. Più che accordi aziendali, si tratta dunque di patti politici, di impegni tra Stati. E - inutile girarci intorno - il punto vero sarà quello del prezzo. Come vorranno gli Usa, per così dire, «spartire il costo» dell’unità transatlantica contro la Russia? Per parte americana, com’è noto, non c’è alcuna dipendenza energetica da Mosca, mentre per buona parte d’Europa, invece, sì: e non si può certo chiedere al sistema produttivo europeo o alle famiglie europee, e complessivamente alle opinioni pubbliche interne di Paesi alleati degli Usa, di disporsi a sacrifici insostenibili: sarebbe la via (catastrofica) per allontanare pezzi di opinione pubblica Ue dalla linea occidentale, e di scatenare inevitabili (e comprensibili) dissensi sociali. Si pone dunque il tema, sollevato da questo giornale già nei giorni scorsi, di una sorta di «Piano Marshall energetico» a favore dell’Europa, o, se vogliamo, di un accordo transatlantico che, in cambio della nettezza della scelta di campo politica dell’Ue, garantisca i Paesi europei rispetto a rischi letteralmente non sopportabili. Naturalmente non mancano tensioni e competizioni (e rischi di sgambetto) tra i «partner» europei. La Germania, per bocca del cancelliere Olaf Scholz, si è detta «molto scettica» sul tetto ai prezzi (richiesta su cui Mario Draghi aveva insistito). Mentre Spagna e Portogallo hanno ottenuto nel documento conclusivo un «trattamento speciale» legato alle condizioni peculiari della penisola iberica. In più, incredibilmente, la proposta della Commissione Ue per scollegare il prezzo dell’elettricità dal prezzo del gas arriverà solo a maggio, come se ci fosse tempo da perdere. Venendo alla situazione italiana, non rassicura la considerazione attribuita a Francesco Giavazzi, ascoltatissimo consigliere di Palazzo Chigi, secondo cui, iniziata la primavera, avremmo davanti mesi tranquilli, e al limite sarebbe a rischio «solo» lo stoccaggio estivo. Invece sta proprio qui il cuore del problema: l’Italia deve usare la primavera-estate per preparare un inverno difficilissimo, attivando una panoplia di strumenti. Il peggiore degli scenari possibili, e cioè la sostituzione integrale - già dal prossimo autunno - dei 30 miliardi di metri cubi di gas russo, appare come una mission impossible. Sarebbe già moltissimo attrezzarsi per sostituirne la metà. Come? Con una pluralità di mosse: una quota di gas naturale liquefatto Usa (parte appunto dell’accordo europeo); una quota assai aumentata rispetto a oggi delle forniture di gas algerino; una quota assai maggiorata delle forniture dall’Azerbaijan attraverso la Tap; una ripresa acceleratissima delle estrazioni di gas su territorio italiano; un potenziamento rilevantissimo dell’uso delle nostre centrali a carbone (da Civitavecchia a Monfalcone, da La Spezia a Brindisi); oltre a un contributo aggiuntivo pure dalle rinnovabili. Ma tutto ciò richiede non un mero «atto» politico»; impone invece mesi massacranti di attività su ognuno di quei versanti, ciascuno incerto nei suoi esiti. Il governo non può né deve adagiarsi sulle altisonanti dichiarazioni europee. Altrimenti, lo spettro del razionamento (e, con esso, di crisi industriali devastanti) è destinato a materializzarsi alla fine della prossima estate.
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