
Il filosofo eretico è tornato: «L'Europa di Maastricht combatte libertà, storia e verità. Macron? Vuole il popolo in catene».Da poco uscito in Francia, l'ultimo libro di Michel Onfray è balzato subito in testa alle classifiche, sollevando al contempo un putiferio di polemiche. S'intitola Théorie de la dictature, e la dittatura - come chiarisce il saggio introduttivo «Orwell e l'impero di Maastricht» - è quella esercitata da Bruxelles. Con una ricostruzione insieme storica e filosofica, Onfray scandisce le tappe del progetto europeista in Francia, i suoi diversi padri. Onfray li fustiga tutti: da George Pompidou a Valéry Giscard d'Estaing, da François Mitterrand a Emmanuel Macron. Ma più ancora fustiga gli ex sessantottini (tra cui ricorda anche Pierre Moscovici) definiti «impostori», perché per conservare un barlume di coerenza intellettuale vollero vedere nell'Ue una sorta d'internazionale socialista: «in appena un quarto di secolo lo Stato di Maastricht è divenuto altrettanto tossico che i regimi sostenuti da questi vecchi sessantottini. In questo sono rimasti fedeli a loro stessi: amano forme politiche che tengono i popoli in catene». Se tali parole non bastassero, Onfray sostiene che la firma francese al trattato di Maastricht nel 1992, più che segnare la nascita dell'Ue, segnò la morte della Francia, sostituita appunto dallo «Stato totalitario di Maastricht». Ed è proprio George Orwell - «uno dei più grandi pensatori politici al pari di Machiavelli, Hobbes o Rousseau» - a indicargli i contorni di questo «nuovo tipo di totalitarismo». Per Onfray l'Ue realizza una dittatura che ha tratti orwelliani e le cui direttrici (che corrispondono ai capitoli del libro) sono: distruggere la libertà, impoverire la lingua, abolire il vero, sopprimere la storia, negare la natura, propagare il risentimento, aspirare alla società unica. «L'Europa di Maastricht è stata presentata come l'unica forma d'Europa possibile con la conseguente criminalizzazione di ogni pensiero critico. Chi non sottoscriveva tale progetto di abolizione della sovranità nazionale, era sociologicamente un incolto, un vecchio, un povero, un illetterato; mentre politicamente era un nazionalista, un bellicista, un razzista, uno xenofobo, e poi - più tardi - un populista». «L'Europa di Maastricht si serve di qualunque mezzo per sopravvivere: propaganda, menzogna, indottrinamento, calunnia, diffamazione e, più di recente, una presunzione di colpevolezza per gli oppositori». Di fatto quello di Onfray è un manifesto sovranista, antiglobalista, con l'aggiunta di censure al mondo Lgbt (accusato di aprire la via al transumanesimo, all'uomo tecnicamente modificato). «Oggi si persegue il progetto di abolire l'unione tra uomo e donna per fare un bambino». «Il corpo è diventato un archivio culturale, anziché un mezzo naturale; il che fa postulare che non si nasca né maschi né femmine, ma neutri; il genere sarebbe solo un fatto culturale, d'indottrinamento mediante stereotipi sociali». «Abolire maschio e femmina è il passo successivo all'abolizione delle razze». «Tale neutralità, voluta dai cosiddetti progressisti, disconosce la natura e prepara la via alla fabbricazione di umanoidi post umani». Mentre Onfray plaude ai gilet gialli che risuscitano la Francia dopo Maastricht: «I gilet gialli non ne possono più di uno Stato che rende la loro vita invivibile. Vedono che è un Moloch forte con i deboli e debole con i forti, ma essi hanno un'energia che promette più danni di quanti l'Europa ne possa immaginare». Polemiche a parte, si può parlare per Onfray di un momento d'oro. In Francia è in auge con raccolte antologiche e saggi sopra il suo pensiero. Qualcuno dei suoi estimatori l'ha definito «profetico», in quanto anticipatore di quei malesseri esplosi con i gilet gialli. Oggi è il filosofo anti Macron per eccellenza, quello che senza pietà denuncia la pochezza intellettuale del presidente tecnocrate venuto dal nulla. Per intenderci è l'opposto di Bernard Henri Levy, l'intellò da salotto tanto di casa all'Eliseo quanto estraneo alla Francia autentica, impoverita ed esasperata dal macronismo. Non a caso Onfray nel libro non lesina critiche a Levy: «Il re intellettuale di questa combriccola europeista fu incontestabilmente lui: non risparmiò sforzi, tempo, energie e nemmeno il suo denaro». «Levy è la negazione di tutto ciò che per me dovrebbe essere un filosofo». L'epilogo s'intitola «Il progressismo nichilista» e pare un monito posto al bivio tra due strade: «Ciò che ci viene presentato come progresso è una marcia verso il nichilismo, un'avanzata verso il nulla, l'ennesimo passo verso la nostra distruzione».
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.
Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.






