2019-03-31
L’Ue ci frega ancora e dice a Berlino che può rimandarci chi è sbarcato qui
La Corte di giustizia respinge il ricorso di un africano arrivato in Italia e poi andato in Germania: ce lo dovremo riprendere.Il sig. A.J. è un cittadino gambiano nato nel 1992, lo stesso anno di Maastricht. Dopo aver lasciato la terra natia nell'autunno del 2012, A.J. raggiunge via mare l'Italia dove presenta una prima domanda d'asilo. Poi, decide di proseguire il suo viaggio verso la Germania. Quivi giunto, l'antivigilia di Natale del 2014 A.J. inoltra una seconda domanda di asilo alle autorità tedesche. Per tutta risposta, l'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati di Germania chiede all'Italia di riprendersi in carico A.J. Allora, l'interessato presenta ricorso sostenendo, grossomodo, che nel Belpaese non si sta mica tanto bene e che il suo respingimento è illegittimo perché in Italia sussisterebbero «carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti». Volete sapere come finisce questa storia? Avete presente tutto l'armamentario retorico della propaganda europeista, e in particolare teutonica, pro migranti? Quello dell'Italia che non sarà lasciata sola, della doverosa solidarietà tra stati, dell'equa ripartizione delle quote, del diritto degli extracomunitari di poter scegliere dove vivere onde ottenere un trattamento dignitoso, dell'alzata di ingegno di proporre per il Nobel Angela Merkel per la sua dichiarazione d'amore ai siriani? Ecco, tutta quella roba lì è finita appallottolata in un cestino. E non per colpa di qualche sovranista xenofobo, ma per effetto di un paio di solenni pronunce della Corte di giustizia dell'Unione Europea. Il 19 marzo 2019, i giudici lussemburghesi hanno emesso due sentenze (una delle quali riguardante il caso di A.J.) che potrebbero avere un impatto assai significativo in materia di movimenti migratori secondari, e cioè interni alla Ue. La regola aurea, in materia, è il cosiddetto Regolamento di Dublino III secondo il quale deve farsi carico delle richieste di asilo il Paese di prima accoglienza. Come noto, l'Italia è stata il terminal principale, se non unico in certi periodi, dei viaggi della disperazione organizzati dai trafficanti di uomini. Tuttavia, una porzione non piccola degli «sbarcati» provenienti dalla penisola (e da altri paesi di primo approdo) ha poi raggiunto il territorio dell'ambitissima Germania presentando una nuova domanda di asilo. Che fare di queste donne e di questi uomini e delle loro illusioni? Con un celeberrimo messaggio su twitter, nel 2015, Angela Merkel aveva manifestato l'intenzione di spalancare i confini ai profughi siriani in barba ai cavilli di Dublino e si erano versati fiumi d'inchiostro, soprattutto tra i progressisti di casa nostra, a rimarcare la dimensione di vero «uomo di Stato» della Cancelliera rispetto alle paure retrive e populiste di gran parte dei nostri connazionali. Forse anche sull'onda di quegli entusiasmi, è maturata un po' alla volta l'idea che si possa legittimare pure sul piano giuridico, aggirando così Dublino III, la volontà di un migrante di preferire – rispetto al Paese di arrivo – quello raggiunto in seguito. Dopotutto, basterebbe un'interpretazione estensiva delle norme vigenti basata sul seguente assunto, perfettamente in linea con il buonismo oggi imperante: il migrante deve avere comunque diritto di ottenere l'asilo nel Paese di secondo approdo laddove desideri usufruire del miglior tenore di vita e della più elevata qualità di servizi e assistenze di quest'ultimo. Ebbene, proprio su tale questione è stato sollecitato l'intervento della Corte di giustizia della Ue. E, guarda caso, di fronte a una prospettiva assai poco allettante per i tedeschi, dal Lussemburgo è arrivato il pronto soccorso. Con le pronunce di cui sopra, la Corte ha messo i puntini sulle «i» in una maniera non più equivocabile. Della serie: i migranti non facciano i furbi e gli altri stati (tra cui l'Italia) neppure. Non conta nulla la volontà del richiedente e neanche il fatto che costui debba adattarsi a contesti fortemente disagiati. E non importa affatto che nel Paese dell'Unione di primo approdo le condizioni offerte siano disastrose. La Corte, in proposito, è stata perentoria, ai limiti della brutalità: il migrante non può confidare nella tanto sbandierata accoglienza tedesca neppure se la situazione del paese europeo di provenienza è «caratterizzata da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni di vita dell'interessato», ma non tali da implicare «una estrema deprivazione materiale». Insomma, il tapino di turno eviti pure di piangere il morto e veda bene di far fagotto e di tornarsene da dove è venuto: cioè nelle terre di frontiera della civilissima Unione europea. Ciò significa che, d'ora in poi, la Germania e la Francia avranno un motivo in più per giustificare il rigetto delle domande di asilo di chi arriva da altri Stati della Ue, rispedendoli così al mittente. E senza passare per il via. Nel senso che francesi e tedeschi non dovranno neppure impegnarsi – come invece siamo costretti a fare noi – in estenuanti (e quasi sempre inutili) negoziazioni con le nazioni d'origine onde ottenere la disponibilità di queste ultime a riabbracciare i loro cittadini esodati. Curioso notare che, il 31 maggio del 2018, in un caso analogo – in cui però era la Germania a figurare quale destinatario degli obblighi di Dublino a cui sarebbe toccato riprendersi un migrante – la Corte di giustizia diede ragione ai tedeschi ricorrendo alla seguente sottigliezza: non si può respingere nessuno verso il Paese di primo approdo senza il consenso di quest'ultimo. Bisognerebbe chiedere a lorsignori perché questo principio non è stato applicato al caso di A.J. dove l'Italia non aveva dato alcun assenso alla ripresa in carico del giovane gambiano. Ma forse ci arriviamo da soli. Per parafrasare, dal football alla politica, quella famosa battuta del calciatore Gary Lineker: la Corte di giustizia della UE è quella cosa dove tutti gli Stati europei possono far valere le loro istanze, ma alla fine vince sempre la Germania.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi