2023-01-24
Luciano Magrini: «I corazzieri non fanno solo rappresentanza»
Il generale Luciano Magrini (Ansa)
Il generale a capo del reggimento: «Francesco Cossiga ha voluto creare il reparto di sicurezza che si occupa dell’incolumità del presidente con artificieri e tiratori scelti. Per stare immobili due ore di fila servono allenamento e dieta, così si evitano le emergenze toilette».Per gli italiani, quella dei corazzieri, guardie d’onore del presidente della Repubblica che garantiscono la sua sicurezza personale e servizi di alta rappresentanza, è un’immagine familiare. Tuttavia, dietro quegli uomini di statura imponente, almeno 1 e 90, con divise dai colori eleganti, elmo e corazza del peso complessivo di 10 chili, c’è un complesso microcosmo di regole, selezioni, addestramento, organizzazione. E una lunga storia, con origini nel 14° secolo. All’epoca i Savoia già disponevano di un corpo di sicurezza di arcieri e scudieri. Dal 1868, quando scortarono il corteo per le nozze tra il principe Umberto e Margherita di Savoia, appartengono all’Arma dei carabinieri. A contribuire simpaticamente alla loro popolarità fu anche una canzone-macchietta di Renato Rascel, Il piccolo corazziere, il quale, scherzando sulla sua bassa statura, 1 e 57, immaginava di essere diventato guardia del presidente, costringendo i commilitoni a muoversi in ginocchio. Molte sono le curiosità poco note di questo reparto d’élite. Abbiamo chiesto di illustrarcele al generale di brigata Luciano Magrini, classe 1969, originario del Grossetano, sposato, 3 figli, dal 2019 comandante del reggimento Corazzieri, carica raggiunta dopo una lunga carriera nei carabinieri iniziata nel 1988. Comandante, da quanti uomini in servizio è composto il reggimento corazzieri?«Indicativamente, da circa 200 unità, nei vari gradi, gli stessi di quelli dell’Arma dei carabinieri, quindi abbiamo corazzieri, appuntati, brigadieri, marescialli e ufficiali».Età media? Quanti anni ha il più giovane e quanti il più anziano?«L’età media è di 45 anni, il più giovane è nato nel luglio 2000. Abbiamo anche corazzieri che hanno fatto tutta la carriera nel reggimento. Qualche giorno fa si è congedato un nostro luogotenente arrivato nei corazzieri nel 1982, 41 anni di servizio».È richiesto un titolo di studio specifico? «I nostri corazzieri li prendiamo dai Carabinieri. Per entrare nell’Arma bisogna superare un concorso che richiede un diploma di scuola superiore, frequentare la scuola allievi e un corso di 6 mesi al nostro reggimento. Alcuni stanno prendendo la laurea. La statura minima richiesta è di 1 e 90».Lei, comandante, quanto è alto? «Per gli ufficiali non vale il limite di altezza. Ciononostante abbiamo ufficiali particolarmente alti. Io sono alto 1 e 83». Il corazziere più alto quanto misura?«Il più alto è di 2 metri e 08, è un brigadiere, ha circa 45 anni e fa servizio presso il reparto sicurezza, che assicura la protezione del presidente all’interno del Quirinale».Circa la loro provenienza geografica c’è un’area italiana a prevalere?«Oggi è rappresentato un po’ tutto lo stivale, compresa la capitale. Prevale la provenienza dal Sud ma sono rappresentati anche Centro e Nord». Un corazziere può essere un cittadino straniero?«Per entrare nei corazzieri, come in tutte le forze armate, bisogna essere cittadini italiani. Abbiamo due ragazzi di origine straniera, uno di origine brasiliana e l’altro paraguaiana, ma hanno cittadinanza italiana». Quali sono i compiti specifici dei corazzieri?«Abbiamo una doppia anima. Una svolge servizi di alta rappresentanza e l’altra servizi di sicurezza ravvicinata nei confronti del presidente, dei suoi famigliari e ospiti, quando si trova all’interno del Quirinale e nei suoi confini perimetrali, anche ambienti all’aperto, e nelle sue residenze ufficiali temporanee».E per quanto riguarda l’estero?«Normalmente il Reggimento corazzieri non segue il presidente all’estero se non nel caso di particolari ricorrenze, come accaduto nel 2003 per ricordare l’attentato alle Torri Gemelle a New York. All’estero, i corazzieri non svolgono funzioni di sicurezza ma solo di alta rappresentanza».Fu Francesco Cossiga a volere l’istituzione del reparto dei corazzieri specializzato nella sicurezza del capo dello Stato.«Il presidente Cossiga, nel 1990, volle costituire, similmente ai reparti speciali delle forze di polizia come il Gis dei carabinieri e il Nocs della polizia di Stato, un’unità, nel reggimento corazzieri, l’attuale reparto sicurezza, con personale altamente specializzato e presenza anche di artificieri, anti-sabotatori, tiratori scelti». È accaduto che i corazzieri siano intervenuti per minaccia all’incolumità del presidente?«Fortunatamente in epoca repubblicana non abbiamo avuto episodi di questo tipo. In epoca monarchica sono accaduti due casi, uno nel 1878 a Napoli per un attentato a re Umberto I, e un altro nel 1912 a Roma nei confronti di re Vittorio Emanuele III, in cui i nostri corazzieri sono intervenuti tempestivamente per impedire che la minaccia, nel primo caso con un coltello e nel secondo con una rivoltella, interessasse la figura del re». Quanto dura un turno di guardia di un corazziere in piedi e immobile? «Normalmente, per l’ordinarietà al Quirinale i nostri corazzieri si alternano ogni 30 minuti nei servizi di rappresentanza agli ingressi del palazzo. Nel caso di servizi come l’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Cassazione possono durare anche oltre 2 ore. Il corazziere resta immobile per tutta la durata della cerimonia. Ciò si raggiunge attraverso l’addestramento anche fisico e la formazione».E se qualcuno gli desse fastidio? E se avesse bisogno della toilette? «Nei compiti di rappresentanza il corazziere ha sempre attorno a sé una cornice di sicurezza, quindi non ci si può avvicinare facilmente a lui. Corretta alimentazione e idratazione devono consentire la perfetta esecuzione del servizio».Un corazziere conosce anche le arti marziali.«Il corazziere, come gli altri militari dell’Arma è in grado di mettere in atto tecniche di difesa personale, come disarmo e ammanettamento». E sa cavalcare... È vero che i vostri cavalli devono avere un’altezza minima al garrese? «Tutti i corazzieri sono in grado di montare a cavallo. I nostri cavalli, in passato, erano prevalentemente di origine irlandese perché di grande mole e indole collaborativa. A essi si sono affiancati cavalli di razze autoctone italiane, murgese e maremmana, preservate negli allevamenti dei Carabinieri forestali. I nostri cavalli, circa 50 in organico, devono avere un’altezza minima al garrese di 1 metro e 75». Quando dura la carriera di un cavallo?«Normalmente i cavalli che giungono al nostro reggimento hanno intorno ai 3-4 anni. Il cavallo più anziano in attività, «Indomito», di razza irlandese, è del 1999, dunque ha 23 anni». E dopo il loro pensionamento?«Al termine del servizio i nostri cavalli si godono anche un periodo di riposo, presso la tenuta presidenziale di Castelporziano, in cui questi silenti soldati sono curati e coccolati».Esistono casi in cui un corazziere abbia avuto papà e nonno pure loro corazzieri? «I casi non sono molti, ma abbiamo qualche corazziere in servizio che ha seguito le orme paterne. E un corazziere con papà e nonno corazzieri». Qual è la dotazione di armi da fuoco di un corazziere?«Come per ciascun militare dell’Arma, al corazziere è assegnata individualmente una pistola d’ordinanza. I militari del reparto di sicurezza hanno un armamento speciale. Un tiratore scelto dispone di armi di precisione che non hanno tutti i corazzieri, normalmente non assegnate al corazziere ma al reparto dove presta servizio».La caserma principale dei corazzieri, in via XX settembre 12, è visitabile dal pubblico? «Per volere del presidente Mattarella, la nostra caserma, in prossimità del Quirinale, nel 2015 è stata aperta al pubblico. I cittadini la possono visitare il sabato mattina, prenotandosi on line sul sito del Quirinale. I gruppi sono accompagnati dal personale in congedo dei corazzieri, e la caserma sorge in un’area di grande interesse archeologico».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.