
L'ex onorevole Dc, presidente della Link university, da cui arrivano diversi ministri del governo gialloblù: «Le critiche a Matteo Salvini non le capisco. Quando ero ministro degli Interni rimpatriai 30.000 albanesi con aerei e navi».Onorevole Vincenzo Scotti, l'aveva mai visto un tale conflitto tra Quirinale e Viminale? «A dire il vero, no. Questa crisi rivela una particolarità del nostro sistema istituzionale che molti - persino tra i costituzionalisti! - non hanno mai avuto ben chiara». Quale? «Nella nostra Repubblica il ministro dell'Interno ha un potere enorme. Ha la parola ultima sull'ordine pubblico. È l'autorità nazionale dell'ordine e sicurezza pubblica. Ha l'ultima parola su tutto». Si spieghi.«Il ministro dell'Interno, secondo la Costituzione, risponde personalmente dell'ordine e della sicurezza. “Personalmente": non deve ascoltare nessuno nel prendere le sue determinazioni. Ci rifletta». Lei ne sa qualcosa? «Sono stato al Viminale in anni terribili. Se c'è un clima di conflitto istituzionale, il potere dell'Interno è decisivo». Addirittura? «Il caso Salvini, con la crisi “dei porti", è la dimostrazione di un rapporto che è codificato fin dall'età liberale».Dove i governi erano ricordati con il nome del ministro dell'Interno e del presidente del Consiglio? «Esatto. Spesso il primo ministro era anche ministro dell'Interno. Penso ad esempio all'era fascista». Mi racconti un aneddoto. «Un decreto contro le mafie e i poteri criminali: il testo che propongo serve a rimettere in carcere i mafiosi condannati all'ergastolo in primo grado attraverso un'interpretazione autentica dei termini di carcerazione preventiva. È l'anticipo di norme pesanti, quasi sospensione di diritti civili. L'anticamera del 41 bis».E che succede? «Il presidente della repubblica Cossiga mi dice: “Sono misure che non abbiamo preso neanche negli anni di piombo!". È un mandato di cattura per decreto legge».E lei?«Gli dico: “Lo so, presidente. Ma ho letto i rapporti, ne abbiamo bisogno, mi creda". Erano gli anni in cui Cosa nostra era in guerra contro lo Stato con bombe e tritolo». E Cossiga? «Sospira: “Il ministro dell'Interno sei tu". Mette la mano sul foglio, coprendo il testo, e mi dice: “Lo firmo così. Senza guardare"». Vincenzo Scotti è l'ultimo dinosauro dc ancora in servizio permanente attivo, l'unico che abbia attraversato tre repubbliche. La definizione gli piace. Si sono versati fiumi di inchiostro sulla sua Link University da cui sono usciti tre ministri ombra del governo Di Maio e la futura ministra degli Esteri del governo gialloblù, Elisabetta Trenta (che era una sua docente). Incontro Scotti nella sua università, in un palazzo regale di via Gregorio VII. Lui è una sorta di miracolo vivente: 85 anni e una memoria mostruosa. Si aggiorna con le chat sul telefonino, manda sms, controlla Whatsapp: «Proprio perché sono nato con il calamaio, amo approfittare delle tecnologie». Come ha fatto a sopravvivere politicamente così a lungo? «(Sospiro divertito). Io non c'entro nulla. Un regalo del Padreterno. Persistenza biologica e divina provvidenza». Cosa ha provato giovedì scorso quando i deputati hanno brindato in piazza al taglio dei vitalizi, compreso il suo? «Ero arrabbiatissimo, ma non contro di loro. Contro me stesso. Contro di noi».In che senso? «È colpa della vecchia classe dirigente se siamo diventati Casta nella opinione pubblica. È solo colpa nostra se vince la rabbia». E cos'altro le dispiace?«A pagarne il prezzo saranno dei novantenni e tanti che hanno servito la Repubblica. Sono bollati come “parassiti da punire" i più anziani, che hanno costruito l'Italia». Lei si sente ancora un dc?«Lo ero e lo sono. Sono un degasperiano del terzo millennio». Ha fatto in tempo ad incontrare Alcide. «Pasqua 1954: ero un giovane dirigente nazionale dell'Azione cattolica con Carretto e Mario Rossi. Eravamo stati allontanati per deviazione ideologica».Di che tipo? «Una forma di deviazione ideologica di tipo marxista».Lei catto-comunista?«Figurarsi. I nostri riferimenti erano don Milani, Dossetti, La Pira, ma eravamo antiggeddiani».Nel senso di Luigi Gedda. E voi incontrate De Gasperi per dirgli cosa? «Avevamo problemi economici. Montini e De Gasperi ci fecero avere una busta con alcune banconote. Soldi che venivano credo dal Vaticano e arrivavano così e ci consentirono di laurearci». Di nuovo la provvidenza.«In formato bustarella». Lei nasce povero. Come è riuscito a studiare? «Grazie ai gesuiti. Il direttore dell'istituto Di Canio a Brescia disse a mia madre: “Iscriva i tre figli, pagherete una retta sola"». Altre figure? «Aldo Moro, il più degasperiano dei politici italiani».Si laureò con magna laude, anche grazie alla busta del Vaticano e nel 1958 è al governo.«Divento segretario generale nel comitato dei ministri. Ho imparato da persone come Sylos Labini, Saraceno, De Rita e tanti altri. Eravamo nel pieno della Guerra fredda ma in questi luoghi del potere dc, come vede, non c'erano muri». Cosa rimpiange di allora? «È scomparso il dialogo, le grandi scuole, i maestri».Lei ha fatto da levatore al nuovo potere, ma non lo ha votato.«È vero: non l'ho mai detto, ma ho votato Zingaretti».Possibile? «Certo. Mi piace essere presente al battesimo del nuovo, ma riconosco la necessità della conservazione». Si sente scisso in due? «No, perché è una necessità. Se uno non guarda ai cambiamenti, invecchia». Cosa direbbe a Salvini? «Sei un ottimo centometrista. Ma se vuoi durare, prima o poi, devi imparare a governare in nome di tutto il Paese». Come descriverebbe la ministra Trenta, che era in questa università con lei? «Grande fermezza e grandi capacità. Capace di costruire canali di relazione nei posti più difficili e pericolosi».Lei ha votato gialloblù o Zingaretti, come lei? «Non lo so. È l'unica cosa che chiedo. A lei come a tutti gli altri che lavorano con me». Il suo vitalizio è tagliato da 8.000 euro lordi a 6.000.«Davvero? Me lo dice lei, non mi ero interessato alla mia posizione personale».O sta prendendosi gioco di me o è tanto ricco da potersi disinteressare dal denaro. «Terza possibilità: il mio conto alla Camera è in profondo rosso. Mille euro in più o in meno non cambiano molto». Lei guadagna anche con la Link!«Solo i rimborsi spese e una piccola indennità».Come spende i soldi? «In una vita decente. Ho avuto tre figlie disoccupate. Hanno lavorato sodo e anche sofferto per il nome del padre. La mia ultima, Lucrezia, ha 33 anni e lavora in Fox, dopo essere partita da una sostituzione per maternità. Se solo avessi provato a raccomandarla mi avrebbe “decapitato"».La vita le ha dato, ma le ha anche tolto. «La mia figlia grande Chiara: il suo compagno si è suicidato. Mio figlio Paolo è morto ventenne in un incidente. Sono cose di cui non parlo. Anche Giulia ha avuto un percorso duro. Devo a coloro che mi sono stati vicino tantissimo e sono riuscito a tenerle lontane dalla mia vita irregolare. Insieme abbiamo pagato i nostri tributi e siamo felici insieme».Lei si imbufalisce se le ricordano quel nomignolo, «Tarzan», per la capacità di destreggiarsi nella Dc. «Mi arrabbio quando vedo trasformato in un giudizio una battuta da giornalisti che non sanno di che parlano. Lo inventò Proietti, del Corsera, giornalista che allora aveva simpatie demitiane».Addirittura. «Mi ero presentato al congresso del 1984 sfidando Ciriaco con il 3%, arrivai al 36%». E se avesse vinto lei? «Non si fa la storia con i se. Ma Ciriaco, nonostante la sua grande intelligenza, non capiva il cambiamento». Lei allora gli diceva: «Io guardo il palazzo dalla società e tu la società dal Palazzo».«Ed è ancora così. Se avessimo combattuto allora l'arroganza della politica non saremmo finiti così. Al governo non c'è nessuno dei due partiti che ha governato per settant'anni il paese. E nemmeno il principale di quelli che li hanno sostituiti». Niente Pci, niente Dc, socialisti, laici, né Fi. «L'unica forza sopravvissuta, la Lega, è nata poco prima dell'inizio dei 90: ma ha subito una mutazione genetica».Chi vuole attaccarla dice che lei blandisce il nuovo potere e ha una università finanziata da Malta e frequentata da «spioni». «Accusa ridicola oltre che falsa. Non esisteva in Italia un master di intelligence. Lo abbiamo fatto così bene che vengono a studiare qui!».Anche gente dei servizi.«Se il corso è di panificazione ci saranno i migliori fornai, se è di intelligence... Forse una prova di successo?».La trattativa Stato-mafia ci fu? «Diciamo che ci fu un problema di divaricazione di linee». Che mirabile esempio di democristianese per dire sì!«Non spetta a me dirlo. Sono stato zitto per senso dello Stato».La spaventa il decisionismo di Salvini? «Certe critiche non le capisco. Io ho rimpatriato 30 mila albanesi con un doppio ponte navale ed aereo». Mi sta raccontando uno Scotti proto-salvinino?«È diverso. Dissi al presidente albanese: il giorno dopo in cui riporteremo l'ultimo emigrante, inizieremo un piano pluriennale di aiuti : Operazione pellicano. Quando facemmo l'ultimo ponte aereo per gli irriducibili, duemila circa, dopo averli distribuiti in tutta Italia la stampa fu informata dell'operazione solo dopo che erano partiti gli aerei da una decina di aeroporti».Non ha fatto tweet.«Purtroppo allora non disponevo di questo utile strumento». Ma un degasperiano del terzo millennio può apprezzare Twitter? «Nella mia università i valori più importanti sono: fantasia, curiosità e creatività».Lei dice che vota Zingaretti ma fa il «consigliere del principe» di Salvini e Di Maio. «Non sono consigliere di alcuno dei principi. Salvini non lo conosco neppure».E quindi? «Le pongo la questione in nodo diverso. Una università non deve capire le trasformazioni del tempo presente? E cosa deve fare? Deve dare il suo piccolo contributo di pensiero e di uomini per aiutare o ostacolare il cambiamento? La risposta è sì».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.