2022-03-20
Per stare dalla «parte giusta» la sinistra finisce in pezzi
Vecchi pacifisti, nostalgici anti Nato, improvvisati patrioti ucraini. Incapaci di decidere se il presidente russo è come Hitler, come Stalin o come lo Zar, interpretano il conflitto attraverso categorie obsolete. C’è un dramma nel dramma. Mentre osserviamo con orrore le case sventrate e le città ucraine fumanti di bombe, non possiamo certo distogliere lo sguardo dal conflitto che, parallelamente, si sta consumando in casa nostra, all’interno del mondo mediatico-culturale progressista. Non possiamo più chiudere gli occhi davanti alla sofferenza di chi sta vivendo la guerra come se fosse la svolta della Bolognina. No, davvero: tocca conservare un filo d’umana pietà per la sinistra dilaniata dalle correnti a grappolo. Si notano, nelle redazioni e nelle Ztl di tutta Italia, sinceri democratici con gli occhi cerchiati e le guance scavate. Di fronte alle edicole ci sono gauchiste in fila per acquistare l’ultimo numero di Limes: li vedi, nell’attesa, in preda al prurito feroce dell’astinenza, e quando finalmente mettono le mani sull’agognato fascicolo lo sfogliano selvaggiamente in cerca di una parola di verità. Qualcuno, più disperato degli altri, s’inginocchia in un lacrime davanti alla #maratonamentana pregando Dario Fabbri come un’esotica divinità: «Bel giovine, almeno tu, dicci che dobbiamo pensare!».Sono afflitti, tutti costoro, da un dubbio che perfora gli organi interni: da che parte stare? Con la Di Cesare o con Lerner? Con Recalcati o con Montanari? E poi: questo Putin è come Hitler, come Stalin, come lo Zar o semplicemente un amico di Berlusconi? E una voce solitaria, dal fondo dell’aula: «E se avesse ragione Stefano Cappellini?». Sirene in sottofondo.Un dramma nel dramma, dicevamo commossi. L’altro giorno, tentando di giustificare una malriuscita prima pagina in cui i morti civili di Donetsk venivano di fatto spacciati per vittime di una «carneficina» russa, il direttore della Stampa, Massimo Giannini, ha pubblicato un tweet molotov contro i «miserabili lacché di Santa Madre Russia (sedicenti storici, poveri webeti e pseudo-giornalisti)» colpevoli di «infangare La Stampa». Per smentire l’orda barbarica che lo accusava di aver scientemente manipolato i fatti, Giannini ha allegato un articolo del suo giornale contenente «ciò che abbiamo scritto sulla carneficina di Donetsk il 25 marzo». Qualcuno, con perfidia, gli ha fatto notare che il 25 marzo deve ancora venire. Errore in buona fede, con tutta evidenza, ma emblematico. Sembra infatti che a trovarsi in uno sfasamento spazio-temporale sia l’intero universo progressista e non soltanto lo sfortunato Giannini. Il punto è che la sinistra nostrana, da settimane, sta disperatamente cercando di interpretare il conflitto in Ucraina attraverso categorie novecentesche. Sembra di vedere un bambino che, giocando, si ostini a infilare la figurina di legno a forma di stella in uno spazio quadrato. Il risultato è un grottesco impazzimento generale in cui non conta il vero ma il verosimile (tipo la foto della bambina di 9 anni con fucile uscita sempre sulla Stampa). Piccoli esempi. Tra i «sedicenti storici» a cui fa riferimento Massimo Giannini c’è probabilmente pure Angelo D’Orsi, studioso di provata fede sinistrorsa, biografo di Gramsci, stimato collaboratore della Stampa. Uno che è sempre stato dalla parte giusta, uno che ai perfidi destroidi non le ha mai mandate a dire. Eppure, pensa un po’, oggi si ritrova in una situazione complicata. Con una lettera violentissima ha annunciato che sospenderà la collaborazione alla Stampa, che non comprerà più il giornale e che si rivolgerà all’Ordine dei giornalisti per chiedere una punizione esemplare per il direttore Giannini. Non ha tollerato, D’Orsi, la mistificazione sul Donbass (e ha fatto bene). Ma adesso si ritrova ridotto a putiniano di complemento.Un altro caso? Lo storico Tomaso Montanari su Left accusa l’Occidente di star combattendo una «guerra per procura» (verissimo), se la prende con i «militaristi da divano» e invita a non confondere i combattenti ucraini con la resistenza italiana. Nella divisione binaria tra buoni e cattivi applicata dalla sinistra nostrana negli ultimi trent’anni, Montanari sarebbe uno dei buoni, se non altro per gli attacchi feroci che ha rivolto nel tempo a Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Ma allora perché non si mostra fedele alla linea? Putiniano pure lui. Per smentire i vari Montanari, Repubblica interpella l’ex presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia, che a quasi cent’anni non ha perso un briciolo d’ardore e grida: «Gli Ucraini sono partigiani come eravamo noi, mandiamogli le armi». Solo che poi l’Anpi va in piazza contro la guerra e con i suoi comunicati stampa si fa sospettare dai compagni (tu quoque!) di filoputinismo.Per una Bombita De Gregorio che spara missili dai tacchi c’è un Michele Serra, pacifico coltivatore di lavanda, che invita a non sbertucciare troppo la «sinistra né-né» (il cui più autorevole esponente sarebbe Luciano Canfora: avercene). La spaccatura è anche generazionale, in fondo. I giovani leoni come Stefano Cappellini non tollerano le posizioni pilatesche dei vecchi arnesi «anti Nato». I quasi maturi in stile Massimo Recalcati - area sinistra renziana pensosa basta che convenga - non si spinge a definire Putin il nuovo Stalin, ma s’accende per la resistenza patriottica degli ucraini. Proprio lui che considerava il sovranismo una sorta di turba mentale. E intanto che Luciana Castellina infilza «Letta mitraglietta», al Manifesto non gradiscono poi troppo i filorussi.Il nazistologo Paolo Berizzi tuona contro Aleksandr Dugin - ai suoi occhi un fanatico fascistone - epperò gli tocca leggere sul suo giornale paginate a sostegno dei battaglioni ucraini, che qualche svastichella si peritano d’esibirla. Certo, l’Huffington Post ci ha informato che l’Ucraina «si serve dei nazisti ma non è nazista». Però poi diventano complicati da giustificare i libri degli attivisti radical sul Donbass come «culla della resistenza antifascista» (cioè quella dei filorussi contro i nazi ucraini).Quindi che si fa? Stiamo con i nazisti contro il sovietico Putin? Stiamo con il liberale europeista Zelensky contro il fascista Putin? Ma se gli ucraini sventolano la bandiera non saranno mica fascisti pure loro? E se un fascista sta con gli ucraini ha ragione o no? Nel dubbio, insultiamo un po’ Alessandro Orsini: se lo fa Massimo Gramellini lo possiamo fare anche noi, mica siamo come i fasciocomunistizaristi russi. Qui siamo nel mondo libero, e se critichi devi tacere!A dirla tutta, la faccenda sarebbe anche seria. Perché questa seduta psicoanalitica collettiva degli amici liberal provoca effetti devastanti sul racconto mediatico, sulle scelte del governo, sull’Italia. E se la smettessimo di sovrapporre i problemi della sinistra a quelli dell’Ucraina sarebbe meglio per tutti, ucraini compresi. Ma a quanto pare, per qualcuno, è più importante sentirsi della parte giusta che fare la cosa giusta.Quindi forza, compagni, non resta che fondare un «Fronte nazista per l’antifascismo» che prenda le armi per la pace e, con i camerati ucraini nazionalisti, si batta per la globalizzazione e le libertà Lgbt negate da quel nazista di Putin, così nazista da ricordare Stalin, e così stalinista da sembrare lo Zar. Un vero mostro: avrà pure i libri di Orsini in casa, c’è da scommetterci.
Beppe Sala (Getty Images)
(Ansa)
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