2019-05-23
L’ospedale di Verona spende i soldi negli spot per chi cambia sesso
L'azienda sanitaria ha comprato una pagina sul «Corriere della Sera» per parlare della disforia di genere: «In Italia 400.000 malati». Consigli sui trattamenti ormonali e le buone prassi da usare in corsia con i trans.In quattro anni sarebbe centuplicato in Italia il numero delle persone con disforia di genere? Sembra una follia, ma questo è quanto emerge da un'inserzione a pagamento sul Corriere della Sera, edizione di Verona, che domenica pubblicizzava «Il disturbo dell'identità di genere», scrivendo che nel nostro Paese «si stima siano oltre 400.000 le persone che presentano la Dig», acronimo utilizzato per indicare la «condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso», come spiega il portale Issalute dell'Istituto superiore di sanità. Nel 2015, il dottor Roberto Castello, la cui foto compare nello spazio pubblicitario pro cambio di sesso di pochi giorni fa, in un convegno sul tema affermava invece che in Italia le persone interessate sono «oltre 4.000». Dati riportati nel pieghevole e allora pubblicati dai giornali. Caspita, in 48 mesi quanti si sono scoperti né maschio né femmina ma fluidi, come oggi si ama dire? «C'è stato un disguido allora, erano e sono 400.000. Anzi, il numero esatto non è possibile conoscerlo», corregge il tiro l'endocrinologo, direttore della medicina generale presso l'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. Prendiamo atto, ma perché una struttura sanitaria pubblica oggi acquista una pagina su un quotidiano, per spiegare che cosa fare quando si rinnega il proprio sesso biologico? «Non lo chieda a me», risponde Castello, «mi occupo di queste problematiche, che non si possono definire patologie, ma la scelta di parlarne in una pagina pubblicitaria è dell'azienda».Spot gratis per gli lgbtLa triptorelina, il discusso farmaco che blocca lo sviluppo degli adolescenti permettendo loro di scegliere più avanti il sesso cui appartenere, è stata da poco introdotto nel Sistema sanitario nazionale ma non ci sembra motivo sufficiente per giustificare una pubblicità a favore della disforia di genere. Con tutte le eccellenze mediche riconosciute a livello internazionale che ci sono a Verona, è davvero triste che vengano spesi soldi per pubblicizzare proprio una nicchia. La scelta è evidentemente ideologica. L'inserzione sul Corriere della Sera si apriva con una notizia incoraggiante: «Verona festeggia i primi 50 anni di trapianti di rene». Splendido bilancio, peccato non averne fatto un articolo, perché confinarlo in uno spazio a pagamento? Peggio ancora l'utilizzo della restante pagina, sempre classificata come «informazione pubblicitaria». Per dare risalto alla disforia di genere, viene mescolato di tutto e di più. Viene spiegato che, per gli utenti, l'accesso a un'azienda ospedaliera pubblica come quella di Verona «è sempre successivo e conseguente al Sat Pink». Pensate sia un servizio interno alla struttura sanitaria? Niente affatto, è nato all'interno del Circolo Pink di Verona, associazione Arcigay creata nel 1985 «allo scopo di dar voce e risposta ai bisogni delle persone omosessuali di Verona, fino ad allora rimasti inascoltati». La nuova creatura Sat pink, nel 2011 avvertiva un'altra necessità, quella «di dare risposte ai tanti bisogni delle persone transessuali/transgender e gender variant di tutto il Veneto». L'informazione commerciale sul Corriere e pro gender proseguiva spiegando che i soggetti studiati sono pochi, perciò non si può «giungere a conclusioni certe rispetto alla suscettibilità e ai fattori di rischio per patologie cronico degenerative». E allora? Perché sbandierare lavori senza supporto scientifico? Imperterrito, il comunicato spiegava che occorre una campagna informativa, anzi: «È assolutamente necessario che il personale medico e sanitario sia formato e che, quindi, sappia esattamente in che cosa consiste un percorso di transizione». Non basta, si proponeva: «Sarebbe opportuno che fosse inserito nel percorso di studi accademici». Magari una specializzazione in disforia di genere, tanto attuale quanto redditizia perché i pazienti non mancano? Ma proseguiamo nella lettura dell'inserzione. Fra le «buone prassi» si raccomandava di non insistere nel chiedere «banalmente» il nome della persona trans (per carità, che oltraggio) e di «collocarla nei reparti che corrispondono al genere di appartenenza». Il concetto viene spiegato meglio: «Rivolgersi a lei al femminile se si tratta di una donna (trans da maschio a femmina, Mtf) oppure a lui al maschile se si tratta di un uomo (trans da femmina a maschio, Ftm)». In parole semplici, il maschio che si sente donna dovrebbe occupare il letto in corsia accanto alla ragazzina adolescente, l'aspirante uomo è giusto metterlo in un reparto maschile. Preoccupante il paragrafo sul trattamento ormonale sostitutivo (Tos), nel quale oltre a spiegare quello che accade, come «la riduzione delle caratteristiche somatiche tramite modificazione dei caratteri sessuali secondari», l'inibizione delle «manifestazioni del sesso biologico di appartenenza» attraverso l'assunzione di estrogeni (o di androgeni), si faceva presente che «quanto più lontano dalla pubertà il Tos ha inizio, tanto più moderati sono i suoi effetti». Un chiaro invito a iniziare presto i trattamenti ormonali, se un adolescente soffre di queste inquietudini, infatti il concetto viene meglio spiegato due righe più sotto: «L'efficacia varia in modo non lineare in base all'età di inizio del trattamento, con risultati più evidenti per chi inizia il Tos a 18 anni piuttosto che a 28».Non una parola sui rischi Che cosa dovrebbe pensare un giovane leggendo questa pubblicità di un'azienda ospedaliera, che appartiene al servizio sanitario nazionale? Che la raccomandazione ministeriale è di non perdere tempo a modificare il proprio organismo? Non una parola viene spesa sui rischi legati alla assunzione di androgeni, come ipertensione arteriosa e aumento del rischio cardiovascolare, insufficienza epatica, uretriti emorragiche. O di quelli legati all'assunzione di estrogeni, quali insufficienza venosa, con possibile comparsa di tromboflebiti, aumentata incidenza di formazioni di calcoli sia biliari che renali, insufficienza epatica, come si legge nelle linee guida sull'utilizzo di ormoni dell'associazione canadese Rainbow health Ontario, progettata per migliorare l'accesso ai servizi e promuovere la salute delle comunità Lgbt. Nell'inserzione, invece, si passava a parlare dei trattamenti chirurgici possibili nel nostro Paese per le persone trans e si concludeva ricordando che per «ottenere il cambio anagrafico» non è più necessario operarsi, «è sufficiente avere iniziato il percorso di transizione e aver trascorso un periodo adeguato di real life». Di vita vera, parola di azienda ospedaliera pubblica.