
La rivista «Le Scienze», espressione ufficiale dell'ortodossia progressista, prende finalmente atto che l'homo sapiens è diverso dagli altri animali. E che siamo i soli, sul pianeta, con capacità di pensare, apprendere, comunicare e controllare il nostro ambiente.«L'indecifrabilità della vita umana, dei destini dell'uomo, non potrà mai essere racchiusa in una formula»: così Erwin Chargaff, uno dei padri della moderna biologia molecolare, nel suo capolavoro intitolato Mistero impenetrabile, nel quale lo sguardo del grande scienziato lo porta a concludere che «ci sono misteri (la vita, l'anima, Dio… ndr) per riconoscere i quali è necessaria molta saggezza».Mi è venuta in mente questa proposizione acquistando l'ultimo numero della rivista Le Scienze, dedicato agli «Essere umani», e così sottotitolato: «Dal linguaggio alla coscienza, dalla tecnologia alla guerra, come un solo animale è riuscito a plasmare il pianeta».La rivista in questione è, nel campo scientifico, l'analogo di Repubblica nel campo politico: la voce del politicamente corretto, l'espressione ufficiale dell'ortodossia progressista. E allora, dirà il lettore, perché comperarla? Perché è sempre interessante vedere quanto si possa conoscere tanto, e capire pochissimo. O, in altre parole, quanto sia grande la distanza tra la scienza e la Sapienza, tra l'aver compreso alcuni frammenti della realtà e il rimanere del tutto esclusi da uno sguardo di insieme capace di riconoscere il fatto che la scienza sperimentale è un meccanismo magnifico di produzione non tanto di risposte, quanto di sempre nuove e più calibrate domande.Ebbene, l'ortodossia scientista vuole da circa due secoli che l'uomo sia un animale qualunque, sperduto in un piccolissimo e insignificante pianeta, la Terra, e che solo la religione e tutt'al più la filosofia abbiano potuto immaginare una particolare dignità per l'animale-uomo e per il pianeta che lo ospita.Mentre questo è l'assunto a priori, tutto però va in direzione contraria, dal momento che sono proprio le scoperte scientifiche a rendere sempre più ragionevole la visione non solo della Bibbia (l'uomo come vertice del creato, a «immagine e somiglianza di Dio», perché creatura capace di pensiero e volontà), ma anche dell'uomo comune, che senza particolari competenze, percepisce di essere qualcosa di diverso da una semplice scimmia evoluta o da un «numero uscito alla roulette».Vederlo scritto, tra le righe, obtorto collo, sulla rivista Le Scienze, fa dunque immenso piacere, e spinge a sperare che prima o poi anche l'ideologia scientista possa definitivamente tramontare.Il numero speciale di cui si è detto è introdotto dal direttore, Marco Cattaneo, il quale, per un riflesso condizionato più degno del cane di Ivan Pavlov che di uno scienziato, definisce l'uomo «un predatore di vertice, un mammifero di dimensioni vistose», salvo poi domandarsi: «che diavolo abbiamo di diverso dagli altri animali?». Gli articoli seguenti lo spiegano, per quanto in modo sibillino e infastidito.Kevin Laland, professore americano di biologia comportamentale ed evolutiva, comincia così il suo lungo pezzo: «Gran parte delle persone su questo pianeta crede allegramente, per lo più senza alcuna base scientifica, che gli esseri umani siano speciali, diversi dagli altri animali. È curioso notare come gli scienziati meglio qualificati per valutare questa affermazione sembrino spesso restii a riconoscere l'unicità di homo sapiens, forse per paura di rinforzare l'idea dell'eccezionalità dell'essere umano portata avanti nelle dottrine religiose».Fermiamoci un attimo, prima della frase decisiva: tutto sembra andare in una direzione, la solita! E invece anche il più ideologico dei preamboli può riservare la sorpresa. Infatti Laland prosegue riconoscendo, suo malgrado, la giustezza, dati scientifici alla mano, della visione «allegra» dell'uomo comune e delle religioni: «Eppure sono state raccolte grandi quantità di dati scientifici rigorosi, in campi che vanno dall'ecologia alla psicologia cognitiva, che affermano che quella umana è davvero una specie particolare».Ohibò! E non è finita: «l'essere umano si distingue davvero come un animale molto diverso dagli altri. Sembra che la nostra cultura ci separi dal resto della natura...».Siamo dinnanzi ad un vero commiato dal naturalismo, cioè dall'idea secondo cui l'uomo sarebbe il puro prodotto di un evoluzionismo assoluto.Questa la conclusione dell'articolo: «Il posto degli esseri umani nell'albero genealogico dell'evoluzione è fuori discussione, ma la nostra capacità di pensare, apprendere, comunicare e controllare il nostro ambiente fa di noi una specie davvero diversa da tutti gli altri animali».A seguire un articolo di Thomas Sudendorf, professore di psicologia in Australia. Anche qui la vecchia idea darwinista dell'uomo come differente, per quantità e non per qualità, dagli altri animali, non trova albergo. Così nelle prime righe: «È ovvio che il nostro predominio non nasce da doti fisiche: altri animali sono più forti, più veloci, hanno sensi più acuti. Dipende invece dalle nostre facoltà mentali», che ci rendono «così speciali… i soli, sul pianeta, ad avere queste capacità».Proseguendo nella lettura ci imbattiamo nel saggio di Susan Blackmore, psicologa inglese, intitolato: «L'enigma della coscienza umana». Già la parola «enigma» riporta al concetto di «mistero» da cui siamo partiti; quanto all'articolo, una lunga disquisizione serve solo a concludere quello che Eraclito aveva compreso molti secoli orsono, quando scriveva: «I confini dell'anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie, così profondo è il suo logos».Lo stesso dicasi per il linguaggio: lo spiega Christine Kenneally nell'articolo intitolato «Che cosa c'è di unico nel linguaggio umano?» Sì, il lettore ormai ha capito, siamo dinnanzi all'ennesima ammissione: esiste in noi un'altra «cosa straordinaria», il linguaggio umano, ben diverso da quello di tutti gli altri animali, per potenzialità e ricchezza; ed esiste, ancora una volta, la nostra ignoranza: «nessuno ha trovato il Santo Graal: un evento che definisca e spieghi il linguaggio», un evento che riporti il linguaggio umano all'interno di un meccanismo evolutivo automatico, che dal meno (i linguaggi statici e bloccati degli animali), generi il più (il linguaggio, capace di discorsi potenzialmente infiniti, dell'uomo).Con un balzo arriviamo alla conclusione: l'articolo di un astrofisico e astronomo americano, in cui si cerca di argomentare «perché siamo probabilmente l'unica vita intelligente della galassia» e perché il nostro pianeta, udite udite, pur assomigliando per certi aspetti a molti altri, è «speciale», ospita una «vita speciale» e una «specie speciale».Non rimane che concludere rimandando il lettore appassionato a due saggi: Penso dunque sono, del linguista e neuroscienziato italiano Andrea Moro (Adelphi, Milano, 2013), e Il cammino dell'uomo. Perché siamo diversi dagli altri animali (Garzanti, Milano, 2004), del più famoso antropologo vivente, Ian Tattersaal. Il lettore vi scoprirà, alla luce della moderna paleontologia, delle neuroscienze, della linguistica ecc., quanto possano essere più attuali e interessanti - per comprendere «un essere del tutto nuovo» come homo sapiens -, Socrate, Platone, Agostino e Tommaso, dei tanti che nel corso degli ultimi dei secoli hanno voluto ridurci a bestie selvagge, «predatori di vertice», refusi della natura, ordinari figli del caso o simili amenità.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






