2025-04-17
Ma a Londra il woke combina ancora disastri
Il pronunciamento dei giudici inglesi non tragga in inganno: sotto il Big Ben le ideologie progressiste più spinte dominano la scena. E infatti il governo Starmer vuole andare fino in fondo con la norma che sanzionerebbe i discorsi «scorretti» nei pub.Il politicamente corretto è una bestia molto difficile da abbattere e la sua ultra decennale penetrazione nella società europea non è estirpabile in breve tempo, soprattutto quando il terreno da bonificare è quello del Regno Unito a guida laburista. Se da un lato la decisione della Corte suprema britannica sul significato della parola donna (può definirsi tale e essere tutelata di conseguenza chi lo è biologicamente) segna un’importante vittoria del buonsenso, dall’altro per la libertà di parola i tempi duri non sono affatto finiti. E la questione trans è di nuovo al centro della scena.È prevista per la fine del mese la seconda lettura alla Camera dei Lord inglese del disegno di legge presentato dai laburisti, in particolare dal vice primo ministro Angela Rayner, sui diritti del lavoro. Le nuove norme - lo abbiamo raccontato qualche tempo fa - riguardano anche il personale di servizio dei pub, e contengono una allucinante limitazione della libertà di pensiero: con la scusa di proteggere i lavoratori vengono poste le basi per un inquietante sistema di controllo e delazione che si estenderebbe anche alle normali chiacchiere tra amici davanti a una birra.Come ha ben riassunto il Daily Mail, «ai sensi della nuova carta dei diritti dei lavoratori del partito laburista, i pub potrebbero vietare ai clienti di parlare di argomenti come i diritti delle persone transgender se i proprietari ritengono che stiano molestando il personale. La proposta di legge, che dovrebbe entrare in vigore l’anno prossimo, impone ai datori di lavoro l’obbligo di impedire che i dipendenti siano molestati da terze parti, a partire dai clienti».Sin dal primo momento, questa proposta aveva suscitato la netta opposizione della Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (Ehrc), organismo pubblico istituito nel 2006 per combattere le discriminazioni, secondo cui la nuova legge «potrebbe limitare la libertà di espressione e applicarsi alle conversazioni ascoltate di sfuggita. Se il personale sente i clienti discutere di opinioni religiose, diritti delle persone transgender o diritti delle donne in modo “controverso", ai clienti potrebbe essere inflitto un divieto di accesso». Nonostante questi più che ragionevoli dubbi espressi ormai mesi fa, l’iter del disegno di legge è andato avanti e ora la discussione entra nel vivo.Negli ultimi giorni, sulla questione sono intervenute - manifestando decisa opposizione - anche personalità di spicco del mondo identitario e conservatore, a partire da Nigel Farage. Lord Young di Acton, membro della Camera dei Lord e co-fondatore della Free Speech Union, ha chiesto una robusta revisione dell’Employment Rights Bill e ha proposto una serie di emendamenti (che dovrebbero essere sostenuti da tutti i conservatori) al fine di evitare che i gestori di pub debbano trasformarsi in una sorta di «polizia delle battute». Uno di questi emendamenti prevede che «la definizione di molestia non possa includere conversazioni o discorsi che implichino l’espressione di un’opinione su una questione politica, morale, religiosa o sociale, a condizione che l’opinione non sia indecente o gravemente offensiva». In sostanza non c’è alcun bisogno che pub, ristoranti, altri tipi di locali pubblici o università «proteggano» i dipendenti dall’ascolto di conversazioni «potenzialmente offensive» su argomenti sensibili e allontanino i clienti per una parola di troppo.Secondo Lord Young è assurdo aspettarsi che i gestori dei locali «chiedano a ogni cliente di firmare una sorta di manleva ogni volta che entra in un pub o in un ristorante». Per altro, ha notato il politico conservatore, le nuove norme potrebbero riguardare anche gli impianti sportivi, il che significherebbe vietare ogni tipo di coro: «L’unico modo in cui le società calcistiche potrebbero conformarsi consisterebbe nell’imporre il silenzio assoluto durante le partite di calcio».La posizione di Lord Acton non ha nulla di estremo e di sicuro non mira a incentivare forme di discriminazione o razzismo. È, appunto, un tentativo di riportare un pizzico di lucidità all’interno di un dibattito surreale, e sarebbe facile immaginare di trovare su questo un largo consenso. Purtroppo, però, nulla è scontato in una nazione infettata dal wokismo estremo. E infatti una larghissima parte delle forze progressiste è assolutamente favorevole alla nuova Carta dei lavoratori e alle limitazioni che impone alle conversazioni private. Piccolo esempio: Paul Nowak, presidente del Trades Union Congress, cioè la confederazione dei sindacati britannici, si è espresso con convinzione a favore della norma liberticida e ha accusato Farage e i conservatori di volere soltanto proteggere «il loro diritto di essere offensivi». Il governo di sinistra, a quanto risulta, ha tutta l’intenzione di procedere tetragono: «Stiamo rafforzando le le tutele sul posto di lavoro per contrastare le molestie nei confronti dei dipendenti, ma i commenti offensivi non rientrano nella definizione di molestia», ha dichiarato un portavoce dell’esecutivo. Il concetto è stato ribadito dal sottosegretario laburista Lilian Greenwood, ma è piuttosto evidente che non vi sia granché da fidarsi. Se bisogna ricorrere alla Corte suprema per stabilire che cosa sia una donna, figuriamoci che cosa toccherà fare per capire che cosa si possa definire «molestia».
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)