2022-06-23
Londra islamizzata. La metropolitana è un girone infernale
Degrado e lassismo dei dipendenti sono lo specchio della città sporca, ideologica e «razzista al contrario» del sindaco Sadiq Khan.Lungo Piccadilly, il traffico è paralizzante: code di auto incolonnate, in un miscuglio di smog e caldo come a Calcutta. Da giorni, Londra è caotica e congestionata, tra un fiume di macchine, clacson a manetta e un’aria irrespirabile. Il motivo dietro alla terzomondizzazione di una metropoli nota per il suo senso civico è dieci metri sotto Piccadilly: alla stazione della metropolitana Green park un cartello avvisa che c’è uno sciopero dei mezzi pubblici. Senza la sua enorme e ramificata Tube, Londra piomba nel delirio: 8 milioni di persone che sono costrette a prendere l’auto per spostarsi.È da settimane che scioperi a singhiozzo paralizzano la città. Da mesi i disservizi sui mezzi pubblici di Londra sono in continuo aumento. Il lassismo dei controllori (a testa bassa, tutto il giorno, a spippolare sul cellulare nei loro gabbiotti) dilaga, ritardi e guasti sono sempre più frequenti. Alla stazione di South Kensington, uno dei posti più affollati di Londra per i turisti che vanno ai grandi musei, da più di un anno la metro non ferma perché devono cambiare una scala mobile. Era stata annunciata la riapertura nella primavera del 2022: siamo in estate e ancora nessuno sa quando sarà pronta. I disservizi, sulla metropolitana di Londra, un tempo vanto e orgoglio del Paese, sono ormai quotidiani: la Tfl, la potente società dei trasporti pubblici, sta diventando una Atac qualsiasi. Con una deriva «buonista»: i tunnel sono tutti tappezzati di presunte «pubblicità progresso» che inneggiano solo a gender, omosessualità e Blm (il movimento dei neri), in ossequio all’ideologia dominante. La più emblematica è una foto dove, per reclamizzare la carta prepagata della metro, due ragazze, ovviamente di colore perché i bianchi sono ormai dei «paria», e dichiaratamente lesbiche, si guardano con amore mentre indossano la mascherina. È un fastidiosissimo concentrato della cultura progressista: terrorismo sanitario (la mascherina, peraltro, non è più obbligatoria da un anno sui mezzi), inutile esaltazione del mondo Lgbt (la réclame è sulla tessera per viaggiare, mica sui gusti sessuali) e tutto l’armamentario radical chic. La Tube è lo specchio della Londra inclusiva, islamizzata, fintamente buonista e «razzista al contrario» del sindaco Sadiq Khan, il primo musulmano a guidare una metropoli in Europa: per i pendolari è un disastro, ma la propaganda va a gonfie vele. Nessuno lo vuole o può ammettere apertamente, ma c’è un nesso etnico-religioso: sui binari e nelle stazioni è ormai quasi impossibile trovare un dipendente britannico della Tfi. Sono tutti perlopiù immigrati africani o mediorientali, tutti musulmani. E, soprattutto, tutti accomunati da un astio, non detto ma palpabile, verso gli occidentali. E quando non è astio, è comunque una cupola mafiosetta: sempre a Green Park è comune vedere ragazzotti, anche loro immigrati, che saltano i tornelli senza pagare, con la compiacenza dei controllori. Sono tutti della stessa parrocchia. I medesimi controllori sono poi inflessibili con gli inglesi e gli «occidentali» in genere. La metro è solo uno dei flop: tutta la città è molto più sporca, degradata e peggiorata. Khan è il peggior sindaco che Londra abbia mai avuto e questo è un dato di fatto: ma è stato rieletto a furor di popolo l’anno scorso. La gente è corsa a rivotarlo in massa non perché abbia amministrato bene, ma solo perché islamico, ossia «uno di loro». L’esito finale della democrazia multi-religiosa e multi-etnica è la teocrazia, il voto in base al credo religioso. È pura demografia: a Londra, banalmente, i musulmani stanno diventando la maggioranza. E questo comporta un prezzo sociale forse troppo alto da pagare: i nuovi londinesi, che arrivano dal terzo mondo, non hanno lo stesso senso civico di un inglese medio o di uno svedese. Ma, soprattutto, sono degli integralisti religiosi. Fuori dalla Zona 1, Londra sta scivolando verso un Bronx dove nessuno parla inglese, dove dilagano chador e burqa, e dove un bianco occidentale è una rarità. Interi quartieri sono ormai delle enclavi musulmane, inavvicinabili per chiunque altro: Tower Hamlets, zona nemmeno periferica perché è a ridosso di Tower Bridge, ha il primato di quartiere dove i musulmani hanno superato gli occidentali. Al tribunale dei minori della zona è un inferno, dice chi ci lavora. Una passeggiata lungo Edgeware Road, grande arteria che parte da Marble Arch, è un teletrasporto al Cairo: Londra è scomparsa, sono rimasti gli edifici con lo stile architettonico vittoriano, per il resto è un suk mediorientale. Solo negozi islamici, i cartelli sono tutti in arabo, in strada non c’è più un occidentale, ma sono solo immigrati.Ma guai a raccontare queste cose, guai a rovinare la bolla di ipocrisia mediatica. Chi ci prova, viene massacrato: è il caso dell’imprenditore Maurizio Bragagni. Nei giorni scorsi, autorevoli media inglesi, tra cui il Times, lo hanno messo nel tritacarne. La Bbc, un tempo faro del giornalismo oggi ridotto a covo di ultras progressisti, ha attaccato il noto imprenditore italiano che vive e lavora in Uk, accusandolo di «islamofobia», epiteto che ormai, nel delirio suicida dell’Occidente, equivale al peggior crimine della storia. La sua colpa? Aver detto che intere zone di Londra sono in mano all’islam e che la sharia è ormai la «legge di fatto» in molti quartieri. Ossia aver semplicemente descritto la realtà. Peraltro, l’industriale italiano dà lavoro a tanti musulmani nella sua azienda inglese e per i suoi meriti professionali la regina lo ha anche nominato Obe, equivalente di Commendatore della Repubblica. È una persona che ha fatto del bene al Regno Unito, ma che ha osato dire che il re è nudo, ha avuto il coraggio di dire apertamente quello che è sotto gli occhi di tutti. La verità, a Londra, è morta sotto l’anti-fascismo del «politicamente corretto».