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2021-02-05
Londra studia il mix di due vaccini. L’Italia sempre più vicina a Sputnik
Ansa
Nel Regno Unito si cercano volontari per il primo esperimento, a livello mondiale, che testerà l'efficacia della somministrazione di due vaccini diversi. A 820 persone, di età superiore ai 50 anni, verrà inoculata la prima dose con il farmaco Pfizer Biontech, o con quello di Astrazeneca, mentre il richiamo verrà fatto con un vaccino diverso, a intervalli di tempo differenti. Lo studio vuole verificare se la combinazione non modifica il livello di protezione dal Covid, ma ha pure l'ambizione di dimostrare che forse lo riesce a potenziare. I trial saranno gestiti dall'Università di Oxford e finanziati dalla task force del governo britannico sui vaccini. Lo studio si annuncia interessante anche perché, se i riscontri saranno positivi, il Regno Unito (così pure gli altri Paesi) non dovranno più dipendere dalle forniture delle singole case farmaceutiche. «Date le inevitabili sfide dell'immunizzazione di gran parte della popolazione contro il Covid-19 e i potenziali vincoli dell'offerta globale di vaccino, ci sono vantaggi a disporre di dati che potrebbero supportare un programma più flessibile», ha commentato Jonathan Van Tam, vice capo della Sanità inglese e responsabile dello studio. Ai volontari, che si stanno reclutando sul sito del National health service (Nhs), il sistema sanitario nazionale del Regno Unito, il vaccino sarà somministrato in maniera differente. Alcuni riceveranno due dosi dello stesso farmaco Pfizer Biontech, o Astrazeneca, altri avranno nella seconda somministrazione un vaccino diverso dal primo. Si testeranno anche intervalli distinti tra la prima e la seconda iniezione, alla ricerca di conferme dell'opportunità di modificare il calendario dei dosaggi. Per un gruppo di persone sarà dopo quattro settimane, secondo quando inizialmente raccomandato, mentre per altri avverrà dopo tre mesi come scelto dalle autorità britanniche per raggiungere più persone. Dopo la vaccinazione, nei volontari sarà monitorata la presenza di anticorpi anti Covid attraverso prelievi del sangue. «È possibile che, combinando i vaccini, la risposta immunitaria possa essere migliorata, fornendo livelli di anticorpi ancora più elevati e che durano più a lungo», ha infatti ipotizzato il professor Van Tam. Per Matthew Snape, ricercatore presso l'Università di Oxford, si potranno anche avere informazioni preziose «su come è possibile aumentare la protezione contro nuove varianti di virus». Il Regno Unito, il primo Paese occidentale a lanciare la campagna di vaccinazione, ha già vaccinato più di 10,5 milioni dei suoi 66 milioni di persone e mira a raggiungere 15 milioni entro metà febbraio, tra cui tutti gli over 70, gli operatori sanitari e i malati particolarmente fragili. Il sottosegretario inglese, Nadhim Zahawi, ha assicurato che una nuova combinazione di vaccini non sarà autorizzata «fino a quando i ricercatori e l'agenzia regolatrice del farmaco non saranno assolutamente certi che il metodo risulti sicuro ed efficace». Non è convinto che sia un percorso percorribile, anzi pensa che sia «aleatorio» il nostro presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, che su Sky Tg24 ha così commentato l'idea: «Dobbiamo restare all'evidenza dei dati disponibili. I dati si riferiscono a un uso costante, tra la prima e la seconda vaccinazione, dello stesso tipo di vaccino». Locatelli ha definito, invece, «interessanti» i dati sul vaccino russo Sputnik apparsi sulla rivista scientifica The Lancet. Secondo il presidente del Css «ci dobbiamo accostare a ogni vaccino con un atteggiamento che definirei laico, cioè valutare quello che è il profilo di sicurezza ed efficacia attraverso analisi rigorose», e poi «fare valutazioni sulle pubblicazioni scientifiche che verranno a essere prodotte». Il vaccino russo è stato caldeggiato dall'assessore al Welfare e vice presidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, che ha chiesto al commissario all'emergenza, Domenico Arcuri, di iniziare a utilizzarlo. «Non dobbiamo avere timori delle origini dei vaccini, quello che per noi è importante è il passaggio all'Ema (l'agenzia europea farmaco, ndr)», ha replicato il ministro della Salute, Roberto Speranza. «Abbiamo sollecitato l'Ue alla valutazione scientifica sul vaccino russo e di altri Paesi», ha aggiunto. Per il governatore del Piemonte, Alberto Cirio «qualora ci fosse la possibilità per le Regioni di acquistare i vaccini in modo autonomo, noi saremmo pronti. Qualsiasi tipo di vaccino che sia in grado di salvare vite, e sul vaccino russo ci sono studi che darebbero una validità al 91%, per noi va bene», ha dichiarato. Il Piemonte, «con le sue università e le sue eccellenze» avrebbe «percorsi privilegiati anche nell'approvvigionamento dei vaccini». Intanto sono 152 i «drive through», i punti predisposti per le somministrazioni in auto, che la Difesa ha già schierato qualora richiesto dalle Asl o dal ministero della Salute. Di questi, 27 sono in Lombardia, 20 nel Lazio e 16 in Campania, altrettanti nel Veneto e 15 in Emilia Romagna.
Israele immunizza anche i sedicenni
Da ieri tutti gli israeliani sopra i 16 anni possono ricevere il vaccino per il Covid-19. Prima, infatti, i vaccini erano disponibili soltanto per i gruppi a rischio e per chiunque avesse più di 35 anni. Il ministro della Salute Yuli Edelstein ha invitato gli over 16 a farsi vaccinare: «Approfittate dell'opportunità che quasi nessun Paese al mondo ha», ha scritto su Twitter.
I dati diffusi ieri dal ministero della Salute israeliano parlano di circa 3,3 milioni di persone che hanno ricevuto almeno la prima dose (cioè oltre un terzo della popolazione totale che ammonta a 9 milioni). Di questi, a 1,9 milioni è stata inoculata anche la seconda.
«Incredibilmente, mentre in alcuni Paesi le persone sono arrabbiate con i loro governi, quasi fino al punto di ribellarsi a volte, per non aver fornito i vaccini, qui (in Israele, ndr) giacciono nei depositi», ha detto non senza un pizzico d'orgoglio per i ritmi della campagna vaccinale il ministro Edelstein alla radio Galey Israel. Il suo vice, Yoav Kisch, ha spiegato che i bambini dai 12 ai 16 anni potrebbero essere vaccinati da aprile, in attesa del via libera normativo. Per comprendere anche gli under 12, invece, «ci vorrà almeno un altro anno», ha dichiarato all'emittente radiofonica FM 103.
Gli ultimi sviluppi nella campagna vaccinale israeliana hanno due motivazioni. La prima è sanitaria: il virus continua a circolare, nonostante le dosi somministrate e le tre settimane di duro lockdown, a causa delle varianti più contagiose. La seconda è politica: il 23 marzo prossimo il Paese tornerà alle urne e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha scommesso molto sulla campagna vaccinale. Il governo israeliano ha inoltre fatto un accordo con Pfizer che prevede la raccolta e l'invio all'azienda farmaceutica di informazioni sui pazienti vaccinati in cambio di una fornitura di dosi continua e anticipata, per la quale ha pagato un sovrapprezzo.
Ma l'ampliamento della popolazione vaccinabile non è l'unica notizia che arriva da Israele. Infatti, potremmo essere davanti a una svolta positiva sui dati che riguardano l'utilità dei vaccini anti Covid-19 dopo una singola dose. Infatti, secondo uno studio condotto proprio in Israele dopo settimane di somministrazione di massa su un campione di mezzo milione di persone, l'efficacia del vaccino Pfizer/BioNTech dopo tre settimane dalla prima dose si attesta al 90% del totale, il doppio di quanto stimato inizialmente. Lo studio, riporta il Guardian, «dimostra che una singola dose di vaccino è altamente protettiva, anche se possono essere necessari fino a 21 giorni per raggiungere questo obiettivo».
La ricerca non ancora sottoposta a peer review, quindi a verifica da parte di scienziati indipendenti, è stata svolta dai ricercatori dell'Università dell'East Anglia durante il programma di vaccinazioni di massa nel Paese. Nota non di poco conto: la ricerca è stata svolta nel Regno Unito, Paese che ha scommesso sull'iniziale strategia d'estensione dell'intervallo fra prima dose e richiamo.
Secondo le analisi del professor Paul Hunter e della dottoressa Julii Brainard una prima dose potrebbe già fornire una protezione adeguata. Tuttavia, gli esperti mettono in guardia anche su una controindicazione emersa nel comportamento dei vaccinati: a otto giorni dalla somministrazione della prima dose, il rischio di infezione sarebbe raddoppiato. Ciò potrebbe essere dovuto a una minore cautela da parte di chi ha ricevuto la vaccinazione. Lo studio sembra dunque contraddire quanto affermato solo il mese scorso dal professor Nachman Ash, responsabile del piano di vaccinazione in Israele, secondo cui una singola dose era apparsa «meno efficace di quanto si sperasse». Anche meno del 52% dichiarato da Pfizer.
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L'esperimento britannico testerà la combinazione dei farmaci Pfizer e Astrazeneca. Scettico Franco Locatelli (Css) che apre invece alla cura russa. La Difesa pronta a somministrare in 152 spazi mobili ora dedicati ai tamponi.In Israele oltre un terzo della popolazione ha già ricevuto il farmaco. I bimbi dai 12 anni forse da aprile. Rilevata l'efficacia già dalla prima dose di Pfizer sul 90% dei riceventi.Lo speciale contiene due articoli.Nel Regno Unito si cercano volontari per il primo esperimento, a livello mondiale, che testerà l'efficacia della somministrazione di due vaccini diversi. A 820 persone, di età superiore ai 50 anni, verrà inoculata la prima dose con il farmaco Pfizer Biontech, o con quello di Astrazeneca, mentre il richiamo verrà fatto con un vaccino diverso, a intervalli di tempo differenti. Lo studio vuole verificare se la combinazione non modifica il livello di protezione dal Covid, ma ha pure l'ambizione di dimostrare che forse lo riesce a potenziare. I trial saranno gestiti dall'Università di Oxford e finanziati dalla task force del governo britannico sui vaccini. Lo studio si annuncia interessante anche perché, se i riscontri saranno positivi, il Regno Unito (così pure gli altri Paesi) non dovranno più dipendere dalle forniture delle singole case farmaceutiche. «Date le inevitabili sfide dell'immunizzazione di gran parte della popolazione contro il Covid-19 e i potenziali vincoli dell'offerta globale di vaccino, ci sono vantaggi a disporre di dati che potrebbero supportare un programma più flessibile», ha commentato Jonathan Van Tam, vice capo della Sanità inglese e responsabile dello studio. Ai volontari, che si stanno reclutando sul sito del National health service (Nhs), il sistema sanitario nazionale del Regno Unito, il vaccino sarà somministrato in maniera differente. Alcuni riceveranno due dosi dello stesso farmaco Pfizer Biontech, o Astrazeneca, altri avranno nella seconda somministrazione un vaccino diverso dal primo. Si testeranno anche intervalli distinti tra la prima e la seconda iniezione, alla ricerca di conferme dell'opportunità di modificare il calendario dei dosaggi. Per un gruppo di persone sarà dopo quattro settimane, secondo quando inizialmente raccomandato, mentre per altri avverrà dopo tre mesi come scelto dalle autorità britanniche per raggiungere più persone. Dopo la vaccinazione, nei volontari sarà monitorata la presenza di anticorpi anti Covid attraverso prelievi del sangue. «È possibile che, combinando i vaccini, la risposta immunitaria possa essere migliorata, fornendo livelli di anticorpi ancora più elevati e che durano più a lungo», ha infatti ipotizzato il professor Van Tam. Per Matthew Snape, ricercatore presso l'Università di Oxford, si potranno anche avere informazioni preziose «su come è possibile aumentare la protezione contro nuove varianti di virus». Il Regno Unito, il primo Paese occidentale a lanciare la campagna di vaccinazione, ha già vaccinato più di 10,5 milioni dei suoi 66 milioni di persone e mira a raggiungere 15 milioni entro metà febbraio, tra cui tutti gli over 70, gli operatori sanitari e i malati particolarmente fragili. Il sottosegretario inglese, Nadhim Zahawi, ha assicurato che una nuova combinazione di vaccini non sarà autorizzata «fino a quando i ricercatori e l'agenzia regolatrice del farmaco non saranno assolutamente certi che il metodo risulti sicuro ed efficace». Non è convinto che sia un percorso percorribile, anzi pensa che sia «aleatorio» il nostro presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, che su Sky Tg24 ha così commentato l'idea: «Dobbiamo restare all'evidenza dei dati disponibili. I dati si riferiscono a un uso costante, tra la prima e la seconda vaccinazione, dello stesso tipo di vaccino». Locatelli ha definito, invece, «interessanti» i dati sul vaccino russo Sputnik apparsi sulla rivista scientifica The Lancet. Secondo il presidente del Css «ci dobbiamo accostare a ogni vaccino con un atteggiamento che definirei laico, cioè valutare quello che è il profilo di sicurezza ed efficacia attraverso analisi rigorose», e poi «fare valutazioni sulle pubblicazioni scientifiche che verranno a essere prodotte». Il vaccino russo è stato caldeggiato dall'assessore al Welfare e vice presidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, che ha chiesto al commissario all'emergenza, Domenico Arcuri, di iniziare a utilizzarlo. «Non dobbiamo avere timori delle origini dei vaccini, quello che per noi è importante è il passaggio all'Ema (l'agenzia europea farmaco, ndr)», ha replicato il ministro della Salute, Roberto Speranza. «Abbiamo sollecitato l'Ue alla valutazione scientifica sul vaccino russo e di altri Paesi», ha aggiunto. Per il governatore del Piemonte, Alberto Cirio «qualora ci fosse la possibilità per le Regioni di acquistare i vaccini in modo autonomo, noi saremmo pronti. Qualsiasi tipo di vaccino che sia in grado di salvare vite, e sul vaccino russo ci sono studi che darebbero una validità al 91%, per noi va bene», ha dichiarato. Il Piemonte, «con le sue università e le sue eccellenze» avrebbe «percorsi privilegiati anche nell'approvvigionamento dei vaccini». Intanto sono 152 i «drive through», i punti predisposti per le somministrazioni in auto, che la Difesa ha già schierato qualora richiesto dalle Asl o dal ministero della Salute. Di questi, 27 sono in Lombardia, 20 nel Lazio e 16 in Campania, altrettanti nel Veneto e 15 in Emilia Romagna.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/londra-due-vaccini-litalia-sputnik-2650323534.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="israele-immunizza-anche-i-sedicenni" data-post-id="2650323534" data-published-at="1612498885" data-use-pagination="False"> Israele immunizza anche i sedicenni Da ieri tutti gli israeliani sopra i 16 anni possono ricevere il vaccino per il Covid-19. Prima, infatti, i vaccini erano disponibili soltanto per i gruppi a rischio e per chiunque avesse più di 35 anni. Il ministro della Salute Yuli Edelstein ha invitato gli over 16 a farsi vaccinare: «Approfittate dell'opportunità che quasi nessun Paese al mondo ha», ha scritto su Twitter. I dati diffusi ieri dal ministero della Salute israeliano parlano di circa 3,3 milioni di persone che hanno ricevuto almeno la prima dose (cioè oltre un terzo della popolazione totale che ammonta a 9 milioni). Di questi, a 1,9 milioni è stata inoculata anche la seconda. «Incredibilmente, mentre in alcuni Paesi le persone sono arrabbiate con i loro governi, quasi fino al punto di ribellarsi a volte, per non aver fornito i vaccini, qui (in Israele, ndr) giacciono nei depositi», ha detto non senza un pizzico d'orgoglio per i ritmi della campagna vaccinale il ministro Edelstein alla radio Galey Israel. Il suo vice, Yoav Kisch, ha spiegato che i bambini dai 12 ai 16 anni potrebbero essere vaccinati da aprile, in attesa del via libera normativo. Per comprendere anche gli under 12, invece, «ci vorrà almeno un altro anno», ha dichiarato all'emittente radiofonica FM 103. Gli ultimi sviluppi nella campagna vaccinale israeliana hanno due motivazioni. La prima è sanitaria: il virus continua a circolare, nonostante le dosi somministrate e le tre settimane di duro lockdown, a causa delle varianti più contagiose. La seconda è politica: il 23 marzo prossimo il Paese tornerà alle urne e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha scommesso molto sulla campagna vaccinale. Il governo israeliano ha inoltre fatto un accordo con Pfizer che prevede la raccolta e l'invio all'azienda farmaceutica di informazioni sui pazienti vaccinati in cambio di una fornitura di dosi continua e anticipata, per la quale ha pagato un sovrapprezzo. Ma l'ampliamento della popolazione vaccinabile non è l'unica notizia che arriva da Israele. Infatti, potremmo essere davanti a una svolta positiva sui dati che riguardano l'utilità dei vaccini anti Covid-19 dopo una singola dose. Infatti, secondo uno studio condotto proprio in Israele dopo settimane di somministrazione di massa su un campione di mezzo milione di persone, l'efficacia del vaccino Pfizer/BioNTech dopo tre settimane dalla prima dose si attesta al 90% del totale, il doppio di quanto stimato inizialmente. Lo studio, riporta il Guardian, «dimostra che una singola dose di vaccino è altamente protettiva, anche se possono essere necessari fino a 21 giorni per raggiungere questo obiettivo». La ricerca non ancora sottoposta a peer review, quindi a verifica da parte di scienziati indipendenti, è stata svolta dai ricercatori dell'Università dell'East Anglia durante il programma di vaccinazioni di massa nel Paese. Nota non di poco conto: la ricerca è stata svolta nel Regno Unito, Paese che ha scommesso sull'iniziale strategia d'estensione dell'intervallo fra prima dose e richiamo. Secondo le analisi del professor Paul Hunter e della dottoressa Julii Brainard una prima dose potrebbe già fornire una protezione adeguata. Tuttavia, gli esperti mettono in guardia anche su una controindicazione emersa nel comportamento dei vaccinati: a otto giorni dalla somministrazione della prima dose, il rischio di infezione sarebbe raddoppiato. Ciò potrebbe essere dovuto a una minore cautela da parte di chi ha ricevuto la vaccinazione. Lo studio sembra dunque contraddire quanto affermato solo il mese scorso dal professor Nachman Ash, responsabile del piano di vaccinazione in Israele, secondo cui una singola dose era apparsa «meno efficace di quanto si sperasse». Anche meno del 52% dichiarato da Pfizer.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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