2022-03-12
L’Oms: «Eliminate i patogeni nei laboratori»
Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ansa)
Allarme dell’agenzia su «eventuali fuoriuscite» di virus e batteri dagli impianti biologici ucraini, la cui esistenza doveva essere una bufala degli aggressori. Invece ce ne sono 4.000, due trattano materiale ad altissimo rischio. E alcuni sono finanziati da Usa e Ue.«Invitiamo l’Ucraina a distruggere i patogeni pericolosi presenti nei laboratori di salute pubblica, al fine di prevenire eventuali fuoriuscite». L’allarme lanciato in queste ore dall’Organizzazione mondiale della sanità finisce col confermare un elemento che sta avendo molto peso nella crisi tra Russia e Ucraina e nei reciproci scambi di accuse: la presenza di laboratori di ricerca biologica sul territorio ucraino. Tali strutture (e tutto ciò che contengono), come è facile intuire, se venissero usate in maniera scorretta da una delle parti in campo o se divenissero bersaglio in un conflitto che si fa sempre più acceso, potrebbero causare non pochi problemi alla popolazione. La presenza in Ucraina di centri di ricerca sugli agenti patogeni non è certo una stranezza, molte nazioni ne possiedono più di uno. L’attenzione si pone però quando ognuna delle parti belligeranti mostra gli scenari che si potrebbero aprire via via che il conflitto degenera. L’Oms è entrata in ballo, con le sue richieste e le sue preoccupazioni, dopo le ammissioni di Victoria Nuland, sottosegretaria di Stato Usa per gli Affari politici, che ha ammesso quelle che fino a poco tempo fa sembravano semplici «voci di corridoio», fake news messe in giro dalla Russia per giustificare, eventualmente, uno scenario tipo quello iracheno. In quel caso, come si ricorderà, le armi chimiche mai trovate in mano a Saddam Hussein furono usate come giustificazione per l’intervento militare americano. «L’Ucraina ha centri di ricerca biologici, il che solleva preoccupazioni legate al fatto che le truppe e le forze russe possano voler assumere il controllo delle strutture», ha dichiarato Nuland, «per questo motivo stiamo lavorando con gli ucraini per capire come possano prevenire che i materiali di ricerca finiscano nelle mani dell’esercito russo, qualora questo si avvicini». Dunque, da un lato gli Usa parlano dell’esistenza di laboratori che potrebbero rappresentare un pericolo se finissero in mano russa, dall’altro era stata proprio la Russia a «denunciare» l’esistenza di tali centri. Il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, aveva infatti dichiarato - in risposta a un’accusa del premier britannico Boris Johnson, secondo il quale Vladimir Putin stava preparando un attacco batteriologico - che «il Pentagono ha utilizzato negli anni scorsi il territorio ucraino per sviluppare agenti patogeni per creare armi biologiche». In effetti, gli Usa hanno deciso (come risulta da atti risalenti al 2015) di sostenere, attraverso il Department of Defense’s biological threat reduction program, molteplici nazioni ex sovietiche, nell’ottica di «sviluppare un programma di analisi di patogeni e tossine utile a contrastare epidemie deliberate, accidentali o naturali». Scopi nobili che, però, in un contesto di guerra possono dare adito a più di un sospetto. Per fugare ogni dubbio e qualsiasi paura, l’Oms ha deciso dunque di prendere posizione, offrendosi di prestare opportuna assistenza nella fase di eliminazione degli agenti patogeni. Gli esperti di biosicurezza, infatti, ritengono prioritario prevenire il rischio della diffusione di malattie nell’eventualità in cui una delle strutture venisse danneggiata e, ovviamente, sono consapevoli che ciò dovrà avvenire secondo un’apposita procedura che possa evitare che, paradossalmente, la dispersione si verifichi proprio nella fase della distruzione programmata per evitarla. Come si diceva, in Ucraina sono presenti vari laboratori di microbiologia, all’incirca 4.000. Solo due, però, sono autorizzati a lavorare con patogeni del livello più pericoloso. La certezza di quali siano presenti nei laboratori ucraini non c’è, ma il livello più alto di pericolosità comprende agenti che presentano un elevato rischio di trasmissione di infezioni per via aerea, con agenti che causano malattie mortali in esseri umani e per i quali non sono disponibili vaccini o altri trattamenti. Altre strutture trattano agenti di livello inferiore ma non per questo privi di danni rilevanti per la salute umana. Alcuni di questi centri, oltre al sostegno degli Stati Uniti, hanno ricevuto quello della stessa Oms e dell’Unione europea. In nessuno, stando alle dichiarazioni, si fabbricherebbero deliberatamente armi batteriologiche, ma è proprio sulla natura dei laboratori che ora la Russia, appoggiata dall’alleato Cina, basa le sue invettive. Qualche giorno fa, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha ribadito che per le informazioni in suo possesso gli Stati Uniti gestiscono un centro per la fabbricazione di armi biologiche in Ucraina. L’ipotesi è stata seccamente smentita da Washington e Kiev. Zakharova comunque aveva affermato qualcosa di ancora più pesante: secondo la rappresentante di Mosca, diversi documenti portati alla luce dalle forze russe entrate in Ucraina mostrano «un tentativo di cancellare in emergenza prove di programmi biologici militari distruggendo campioni di laboratorio». A quanto da lei affermato fa da contraltare la posizione di Nuland: «Se si dovesse verificare un attacco con armi chimiche in Ucraina, non ho dubbi che provenga dai russi. È la classica tecnica dei russi di dare la colpa al nemico per ciò che invece stanno pianificando loro», è il parere del sottosegretario americano. In definitiva, la nuova frontiera dello scontro è quella delle armi chimiche e batteriologiche, col sospetto che lo spettro di virus e batteri possa andare a inquinare ulteriormente uno scenario che diventa ogni giorno più complesso.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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