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2021-09-20
L’ombra di Haftar sulle elezioni libiche
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Khalifa Haftar (Ansa)
Mentre si avvicinano le elezioni in Libia del 24 dicembre, la situazione politica nel Paese non è priva di incognite.
Secondo quanto riferito da France24 lo scorso 17 settembre, si stanno infatti registrando delle controversie per quanto concerne la legge elettorale. Legge, la cui versione finale è stata ratificata, all'inizio del mese, dal presidente della Camera dei rappresentanti (con sede a Tobruk), Aguila Saleh, senza tuttavia passare per il voto dell'assemblea. Negli scorsi giorni, la norma era stata duramente contestata dall'Alto consiglio di Stato: un organo istituito nel dicembre del 2015, su richiesta delle Nazioni Unite. Nella fattispecie, il consiglio ha accusato il presidente della Camera dei rappresentanti di "ostacolare le imminenti elezioni emanando deliberatamente una legge viziata".
Ma non ci sono soltanto questioni di natura procedurale. I critici hanno infatti accusato Saleh di aver voluto favorire il generale Khalifa Haftar. In particolare, ha riferito France24, viene da costoro citata una clausola secondo cui "i funzionari militari possono partecipare alle elezioni presidenziali, a condizione che si ritirino dai loro ruoli tre mesi prima". "Qualsiasi cittadino, civile o militare, è considerato sospeso dal lavoro o dall'esercizio delle sue funzioni tre mesi prima della data delle elezioni, se non viene eletto torna al suo precedente lavoro", recita in tal senso il testo della legge. Del resto, non va neppure trascurato che l'Alto consiglio di Stato sia presieduto da Khalid al-Mishri: politico di origini turche, appartenente al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (uno schieramento legato alla Fratellanza musulmana e quindi ostile al maresciallo della Cirenaica).
La situazione si sta insomma facendo sempre più tesa. E non sono scenari rassicuranti quelli che si prospettano all'orizzonte. Basti pensare che l'analista Khaled Al-Montasir abbia riferito all'Afp che la mossa di Saleh rischi di far precipitare nuovamente il Paese in una guerra civile. "Il parlamento da solo non può approvare una legge sulle elezioni presidenziali, soprattutto perché ci sono ancora tensioni e controversie tra i vari partiti", ha dichiarato. "Saleh sta presentando a tutti un fatto compiuto", ha aggiunto, sempre all'Afp, un altro esperto libico, Jalel Harchaoui, il quale tuttavia ha affermato che le Nazioni Unite potrebbero alla fine riconoscere questa norma. Nazioni Unite che, per il momento, non hanno tuttavia espresso una posizione troppo chiara al riguardo.
Al contrario, France24 ha riferito che la Francia "ha accolto con favore la legge come valida", ricordando in tal senso la storica vicinanza di Parigi proprio al maresciallo della Cirenaica. Del resto, che qualcosa si stia muovendo nelle galassie che ruotano attorno ad Haftar è forse testimoniato anche dal fatto che, giovedì scorso, Abdel Fattah al-Sisi abbia reso noto, incontrando il premier libico Abdulhamid Dbeibah, il proprio sostegno al processo elettorale di dicembre. Tutto questo mentre, appena due giorni prima, il presidente egiziano aveva accolto al Cairo sia Haftar che Saleh, in un incontro svoltosi alla presenza del capo dell'intelligence egiziana, Abbas Kamel.
Vale la pena ricordare, a questo proposito, che al-Sisi sia stato – insieme all'Arabia Saudita – uno dei principali alleati del maresciallo della Cirenaica contro Fayez al Serraj. In tutto questo, non bisogna neppure trascurare che il nome dello stesso Haftar circoli già da tempo tra i papabili candidati presidenziali di dicembre (insieme a quello del figlio di Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, e a quello dell'ex ministro dell'Interno, Fathi Bashagha). Il punto è capire quali siano gli obiettivi concreti del presidente egiziano. Questa girandola di incontri mira a creare fitte reti di rapporti trasversali oppure al-Sisi sta sotterraneamente puntando già da adesso sulla candidatura di Haftar? Al momento, non è dato saperlo. Certo è che un eventuale ritorno sulla scena del generale potrebbe creare degli scossoni significativi. In primo luogo, un simile scenario rischia di mettere a repentaglio il tentativo di riavvicinamento, in corso da alcuni mesi, tra Egitto e Turchia. E' infatti improbabile che Recep Tayyip Erdogan – storico sostenitore della Fratellanza musulmana – veda di buon occhio una candidatura del maresciallo. Dall'altra parte, una eventuale discesa in campo di Haftar potrebbe spingere Parigi ad assumere nuovamente delle posizioni ambigue sul dossier libico.
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Mentre si avvicinano le elezioni in Libia del 24 dicembre, la situazione politica nel Paese non è priva di incognite. Secondo quanto riferito da France24 lo scorso 17 settembre, si stanno infatti registrando delle controversie per quanto concerne la legge elettorale. Legge, la cui versione finale è stata ratificata, all'inizio del mese, dal presidente della Camera dei rappresentanti (con sede a Tobruk), Aguila Saleh, senza tuttavia passare per il voto dell'assemblea. Negli scorsi giorni, la norma era stata duramente contestata dall'Alto consiglio di Stato: un organo istituito nel dicembre del 2015, su richiesta delle Nazioni Unite. Nella fattispecie, il consiglio ha accusato il presidente della Camera dei rappresentanti di "ostacolare le imminenti elezioni emanando deliberatamente una legge viziata". Ma non ci sono soltanto questioni di natura procedurale. I critici hanno infatti accusato Saleh di aver voluto favorire il generale Khalifa Haftar. In particolare, ha riferito France24, viene da costoro citata una clausola secondo cui "i funzionari militari possono partecipare alle elezioni presidenziali, a condizione che si ritirino dai loro ruoli tre mesi prima". "Qualsiasi cittadino, civile o militare, è considerato sospeso dal lavoro o dall'esercizio delle sue funzioni tre mesi prima della data delle elezioni, se non viene eletto torna al suo precedente lavoro", recita in tal senso il testo della legge. Del resto, non va neppure trascurato che l'Alto consiglio di Stato sia presieduto da Khalid al-Mishri: politico di origini turche, appartenente al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (uno schieramento legato alla Fratellanza musulmana e quindi ostile al maresciallo della Cirenaica). La situazione si sta insomma facendo sempre più tesa. E non sono scenari rassicuranti quelli che si prospettano all'orizzonte. Basti pensare che l'analista Khaled Al-Montasir abbia riferito all'Afp che la mossa di Saleh rischi di far precipitare nuovamente il Paese in una guerra civile. "Il parlamento da solo non può approvare una legge sulle elezioni presidenziali, soprattutto perché ci sono ancora tensioni e controversie tra i vari partiti", ha dichiarato. "Saleh sta presentando a tutti un fatto compiuto", ha aggiunto, sempre all'Afp, un altro esperto libico, Jalel Harchaoui, il quale tuttavia ha affermato che le Nazioni Unite potrebbero alla fine riconoscere questa norma. Nazioni Unite che, per il momento, non hanno tuttavia espresso una posizione troppo chiara al riguardo. Al contrario, France24 ha riferito che la Francia "ha accolto con favore la legge come valida", ricordando in tal senso la storica vicinanza di Parigi proprio al maresciallo della Cirenaica. Del resto, che qualcosa si stia muovendo nelle galassie che ruotano attorno ad Haftar è forse testimoniato anche dal fatto che, giovedì scorso, Abdel Fattah al-Sisi abbia reso noto, incontrando il premier libico Abdulhamid Dbeibah, il proprio sostegno al processo elettorale di dicembre. Tutto questo mentre, appena due giorni prima, il presidente egiziano aveva accolto al Cairo sia Haftar che Saleh, in un incontro svoltosi alla presenza del capo dell'intelligence egiziana, Abbas Kamel. Vale la pena ricordare, a questo proposito, che al-Sisi sia stato – insieme all'Arabia Saudita – uno dei principali alleati del maresciallo della Cirenaica contro Fayez al Serraj. In tutto questo, non bisogna neppure trascurare che il nome dello stesso Haftar circoli già da tempo tra i papabili candidati presidenziali di dicembre (insieme a quello del figlio di Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, e a quello dell'ex ministro dell'Interno, Fathi Bashagha). Il punto è capire quali siano gli obiettivi concreti del presidente egiziano. Questa girandola di incontri mira a creare fitte reti di rapporti trasversali oppure al-Sisi sta sotterraneamente puntando già da adesso sulla candidatura di Haftar? Al momento, non è dato saperlo. Certo è che un eventuale ritorno sulla scena del generale potrebbe creare degli scossoni significativi. In primo luogo, un simile scenario rischia di mettere a repentaglio il tentativo di riavvicinamento, in corso da alcuni mesi, tra Egitto e Turchia. E' infatti improbabile che Recep Tayyip Erdogan – storico sostenitore della Fratellanza musulmana – veda di buon occhio una candidatura del maresciallo. Dall'altra parte, una eventuale discesa in campo di Haftar potrebbe spingere Parigi ad assumere nuovamente delle posizioni ambigue sul dossier libico.
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.