2019-03-12
L’offerta saudita per la Scala era già nota la sera della prima
Il sovrintendente Alexander Pereira informato dal 7 dicembre. La sua riconferma ora è a rischio. Negli ultimi giorni il direttore austriaco del teatro ha provato a scaricare la patata bollente anche su un esponente leghista, il consigliere della regione Max Ferrari, che ha subito smentito un coinvolgimento nell'operazione. Tra i due litiganti Giuseppe Sala e Attilio Fontana c'è un terzo che gode, cioè il sovrintendente alla Scala Alexander Pereira, convinto che nonostante le polemiche degli ultimi giorni sarà riconfermato nel 2020 quando scadrà il suo mandato. Eppure sul possibile finanziamento di 15 milioni da parte dell'Arabia Saudita e sulla possibile entrata nel consiglio di amministrazione di un membro della famiglia reale di Riad, la responsabilità sembra essere tutta di Pereira. Negli ultimi giorni il direttore austriaco del teatro ha provato a scaricare la patata bollente anche su un esponente leghista, il consigliere della regione Max Ferrari, che ha subito smentito un coinvolgimento nell'operazione. A quanto apprende La Verità, infatti, Pereira sapeva sin dalla prima della Scala dello scorso 7 dicembre dell'interesse degli arabi a investire sul teatro milanese. Ne avrebbe parlato sempre quella sera, senza particolari approfondimenti, sia con il sindaco Sala sia con il governatore lombardo Fontana. Del resto la presenza del principe Badr all'inizio della stagione scaligera aveva fatto pensare a un semplice accordo di collaborazione culturale, in particolare a una tappa del tour dell'Orchestra nella capitale saudita. Ma anche dentro lo stesso board del teatro c'è chi sospetta che i sauditi avessero già avuto all'epoca un via libera su un possibile finanziamento e una promessa di entrare nel consiglio di amministrazione. Perché Pereira non ne parlò subito? E perché del possibile finanziamento di Aramco (la società petrolifera saudita) non se ne è discusso subito convocando un cda? Per di più, 15 milioni di euro sembrano essere briciole se messi a confronto - per esempio - con l'investimento degli Emirati Arabi Uniti nel Louvre di Parigi. A fronte di un 1 miliardo di euro, Abu Dhabi non ha alcun ruolo nel board del museo anche perché i francesi non gliel'hanno permesso. Perché invece l'Italia, per così pochi «spiccioli», dovrebbe far entrare Riad tra i soci fondatori di un teatro tanto rappresentativo? Per di più il bilancio della Scala è solido. Gli unici dati negativi sono legati sempre alla gestione del sovrintendente Pereira che ha raccolto molto meno di quanto si pensasse dai soci privati (3,5 milioni di euro invece di 7) ma che soprattutto ha aumentato i costi del teatro che, stando aperto più giorni l'anno, ha anche difficoltà a riempirsi. Anche di questo chiederanno conto il 18 marzo i consiglieri di amministrazione, sebbene qualcuno avrebbe preferito convocare un consiglio straordinario in anticipo per chiedere le dimissioni di Pereira. Ieri Sala è tornato ad attaccare la Lega: «In questo momento è chiaro che i leghisti stanno diffondendo molte falsità su questa storia». Di più se ne saprà quando saranno diffusi i verbali del consiglio dell'11 febbraio, che a quanto pare non sono ancora stati visti e autorizzati dai consiglieri. Di certo sul teatro si sta consumando una battaglia politica, tra la Lega e lo stesso Sala, considerato anche a Roma uno dei possibili leader del prossimo centrosinistra contrapposto a Matteo Salvini. Ma forse i due litiganti dovrebbero pensare di più ai destini del teatro, per secoli un esempio nel mondo e ora invece - a detta degli esperti - troppo impegnato a scimmiottare altri modelli all'estero. E nel consiglio di amministrazione c'è chi inizia a spingere per un nuovo sovrintendente italiano, a meno che Pereira non riesca a superare la tempesta araba.