2023-08-24
La lobby del cibo sintetico preme sui Paesi del G20: «Niente soldi agli allevatori»
Il gruppo, che lega colossi come Blackrock ai produttori di carne artificiale finanziati da Bill Gates, chiede di dirottare i fondi sugli alimenti «ecologici». Fatti in laboratorio.Il dettaglio è stranoto: gli ecologisti sono fissati con le flatulenze delle vacche. Le emissioni intestinali, a sentire loro, configurano un’emergenza grave quasi quanto quella degli sbuffi dei motori a combustione e delle fabbriche a carbone. La novità è che, adesso, è più chiaro come mai questa «petomania» sia diventata un argomento politico e mediatico tanto cogente: essa gode di sponsor opulenti. I quali - c’era da aspettarselo - hanno qualche conflitto d’interessi. Guardate un po’ qual è l’ultima pensata del gruppo Fairr, la rete che unisce i colossi della finanza e i grandi produttori di alimenti in laboratorio: la lobby del cibo sintetico, che movimenta investimenti per un valore globale di quasi 7.000 miliardi di euro, sta facendo pressione sui Paesi del G20 affinché taglino i fondi agli allevatori e ai caseifici «inquinanti». Che poi sarebbero quelli tradizionali; quelli che, al netto degli avanzamenti tecnologici, esistono da quando l’essere umano è passato dal nomadismo dei cacciatori-raccoglitori alla sedentarietà; quelli che lavorano con gli animali veri e nei quali si munge latte dalle mammelle delle mucche.L’obiettivo ultimo dei paperoni è persuadere i governi a dirottare i finanziamenti verso le «proteine alternative a minor impatto», come ha illustrato la testata d’informazione britannica Edie, le cui pubblicazioni sono dedicate alle nuove frontiere della sostenibilità ambientale. Qualcuno potrebbe interpretarla come una mossa da Robin Hood al contrario: prendere ai poveri per dare ai ricchi. Macché. Chi teme che si rischi di perpetrare una grave ingiustizia sociale, tiri un bel sospiro di sollievo: con somma generosità, il network dei maggiorenti suggerisce che una parte della cifra sia devoluta ai lavoratori che perderebbero il posto. Parliamo di una somma che, secondo le stime, tra Europa e Stati Uniti, ammonterebbe a una quarantina di miliardi in sei anni. Non che le diavolerie di pura origine vegetale non siano state incoraggiate dalle casse pubbliche: di soldi ne hanno ricevuti pochi meno, all’incirca 38 miliardi e mezzo. È il resto della torta, insomma, che fa gola: il banchetto raddoppierebbe. E cesserebbe la grave sperequazione denunciata dai padroni del progresso in tavola: aver mantenuto bassi i prezzi di filetti, costate e formaggi, penalizzando le deliziose vivande preparate in provetta. Roba da leccarsi i baffi. Fairr, l’organizzazione che scalpita in vista del vertice dei 20 in India, previsto tra meno di un mese, è composta da una miriade di sigle che corrispondono ad altrettanti pozzi di denaro: Blackrock, Rockefeller asset management, Jp Morgan (nelle varianti wealth e asset management), Morgan Stanley investment management, Axa investment managers, Bnp asset management, Credit Suisse group Ag, Allianz (sezioni Gobal investors e Se), Amundi. Naturalmente, pullulano le aziende che si occupano di cibi sintetici, a cominciare da quelle foraggiate dal fondo Good startup. Tra cui spiccano le ditte che hanno ricevuto munifici, ancorché mai quantificati contributi dall’infaticabile Bill Gates, forse il testimonial più illustre degli pseudo-hamburger: Upside, Eat just e Impossible foods. Alcune compagnie impiegano surrogati vegetali, altre fabbricano le pietanze in vitro. Fatto sta che l’operazione appare sospetta: servirsi del potere economico dei giganti da milamiliardi, per convincere gli Stati a togliere i finanziamenti agli allevatori. E a darli alle industrie sulle quali hanno scommesso magnati e società d’investimento. Una rivoluzione pianificata a gloria e salute del pianeta e null’altro? Riesce difficile crederlo.Così, per completare il cortocircuito, segnaliamo che del consorzio Fairr fa parte pure il fondo pensioni del personale delle Nazioni Unite. Cosa c’è di male? Nulla, in teoria: qualsiasi investimento che valorizzi i depositi è coerente con la missione di un ente previdenziale. Solo che, l’anno scorso, l’Onu ha propiziato la ratifica di un trattato sulla biodiversità che prevede, entro il 2030, l’eliminazione dei sussidi alle attività che danneggiano la natura. E la Fao, branca delle Nazioni Unite, dovrebbe redigere una tabella di marcia sull’applicazione degli accordi di Parigi al settore della produzione di cibo, da sottoporre all’attenzione del Cop28 di Dubai, fra tre mesi. Indovinate chi, già dal Cop26 (2021), invoca la «riduzione delle emissioni globali di gas serra dall’agricoltura animale»? L’iniziativa Fairr. Singolare, no?Infine, suona un po’ beffardo che il depauperamento della filiera agroalimentare debba essere imposto non soltanto per il bene dell’ecosistema, ma anche, a detta dei capitalisti, nel nome della salute umana. Il cibo sintetico - benché proliferino le diciture tipo «carne coltivata» o «pollo coltivato» - di «coltivato» non ha niente di niente. Il processo produttivo di tali prelibatezze prevede, in sostanza, il prelievo di cellule staminali da trattare in bioreattori. Una materia prima instabile, i cui effetti a lungo termine, magari cancerogeni, sono ancora ignoti. Per carità: le scorpacciate di bistecche non sono salutari e il parmigiano va consumato in dosi modiche. Però, fino a prova contraria, è la dieta mediterranea, non la polpetta artificiale, a essere patrimonio dell’umanità. Patrimonio immateriale, eh. Per quello materiale, molto materiale, è dura mettersi a competere con Bill Gates.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)