2021-02-13
Lo storico rosso sminuisce le foibe poi si lamenta perché lo attaccano
Eric Gobetti si è fatto fotografare vicino alle statue di Tito, offende la memoria degli italiani di Dalmazia e Istria, però quando viene insultato sui social network grida allo scandalo. E i giornali gli danno rettaGli psicoanalisti lo chiamano narcisismo. Ne sono preda coloro che si considerano vittime sempre e comunque, e che scaricano sugli altri le colpe dei propri errori. Del resto è molto difficile spiegare, senza ricorrere alla psicoanalisi, il grottesco dibattito sollevato nelle ultime ore attorno a Eric Gobetti, un signore che si definisce «studioso di fascismo, Seconda guerra mondiale, Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento». Su tutti i principali quotidiani online e sulla prima pagina della Stampa campeggiava ieri il suo grido di dolore. «In nome dei miei figli e del mestiere di storico», ha scritto Gobetti, «invoco la libertà di studiare e scrivere in tranquillità, senza l'incubo di una aggressione fascista». Che è successo allo studioso? Egli ha raccontato ai giornali di aver ricevuto centinaia di minacce tramite social network e di aver dovuto bloccare i commenti sul suo profilo Instagram. C'era chi gli augurava di bruciare all'inferno, chi gli prometteva pesanti ritorsioni. Le intimidazioni sarebbero arrivate in massa intorno al 10 febbraio, giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Ed eccoci al punto. Gobetti è l'autore di un libro intitolato E allora le foibe? appena pubblicato dall'editore Laterza. Le tesi contenute nel volume, a quanto pare, hanno fatto infuriare parecchi internauti e alcuni di loro hanno superato la misura arrivando a insultare e minacciare direttamente l'autore. Noi, ovviamente, ci auguriamo che nulla di male succeda a Gobetti. Anzi: speriamo con tutto il cuore che gli attacchi online cessino. La libertà di ricerca storica è sacrosanta, e vale per tutti, a prescindere dall'orientamento politico. Per quanto possano sembrarci irricevibili le tesi di uno studioso, egli deve avere il diritto di pubblicarle: saranno eventualmente altri studiosi a smentirlo o a smontarlo. In questa vicenda, tuttavia, ci sono alcuni aspetti che non si possono tacere. Gobetti non ha fatto esattamente ricerca storica. Ha pubblicato un pamphlet che mira a dimostrare come il dramma delle foibe e dell'esodo degli italiani di Istria e Dalmazia sia, per lo meno, sopravvalutato. Che sia addirittura una sorta di «psicosi collettiva». Se non nega, Gobetti senz'altro sminuisce. Egli scrive ad esempio che «le uccisioni commesse sul confine orientale nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945 non possono essere in alcun modo considerate un tentativo di genocidio e le vittime non sono individuate in quanto appartenenti a uno specifico popolo». Insomma, i partigiani di Tito non uccidevano gli italiani in quanto italiani. Li ammazzavano perché li consideravano complici del regime fascista violento e oppressivo. Se poi tra gli «oppressori» da giustiziare venivano annoverati anche funzionari pubblici, commercianti, proprietari terrieri, lavoratori delle poste, che volete farci? Sono cose che capitano. I titini, dice Gobetti, non erano certo «bestie assetate di sangue e accecate dall'odio, come vengono spesso rappresentati». Infatti, prosegue, uccisero pochissime donne, e ancora meno bambini (solo due o tre casi, «episodi isolati»). Gobetti ha da ridire anche su Norma Cossetto, ragazza ventenne torturata e gettata in una foiba. «Viene arrestata dai partigiani comunisti», dice l'autore, «non perché italiana, ma perché è una fascista convinta, figlia di un federale». Certo, tutto a posto allora. Pure sull'esodo dei giuliano dalmati lo studioso ci tiene ad abbassare i toni. Sostiene che non fu «il prodotto di un'espulsione formale». No, secondo Gobetti si trattò di una opportunità, poiché agli italiani fu data «la possibilità di scegliere legalmente l'espatrio».L'avvocato del diavolo potrebbe dire: sono ricostruzioni storiche, se non vi piacciono fatti vostri. Vero, ma c'è un problema. Gobetti fornisce elementi che ci fanno sospettare della sua imparzialità, qualità che egli rivendica quando assume la posa del ricercatore perseguitato per il suo lavoro. Ad esempio, sui social network si è fatto ritrarre con il pugno chiuso vicino a statute di Tito, ha esibito magliette inneggianti al regime comunista jugoslavo e alla sottomissione di Trieste. Voi che pensereste di un libro sull'Olocausto scritto da uno che fa foto spiritose indossando magliette con la svastica? C'è un altro punto. Gobetti non è un perseguitato. Il suo libro sullo foibe è pubblicato da un grande editore. Il Corriere della Sera gli ha concesso enorme spazio sul suo inserto culturale. Rai Storia lo ha reclutato come collaboratore. Gobetti va nelle scuole a fare lezione sulle foibe (è accaduto a Parma), può scrivere, parlare, avere recensioni e riconoscimenti. Dunque egli non è ostracizzato: gode di enorme visibilità a dispetto dal suo evidente sbilanciamento ideologico. A essere ostracizzati, invece, sono tutti coloro che scrivono di foibe (o di qualunque altro argomento) stando dalla parte sbagliata. Ricevono insulti, minacce, attacchi. Ogni volta che provano a incontrate gli studenti scattano polemiche feroci e tentativi di censura, spesso orchestrati dall'Anpi. E ogni volta i giornali blasonati tacciono. Nessuno si scandalizza. Nessuno piange per la libertà negata. Eric Gobetti chiede la libertà di ferire i famigliari delle vittime delle foibe, anzi sminuisce il loro ruolo di vittime. Un ruolo che egli rivendica per sé, gridando di essere minacciato e maltrattato da un gruppo di esaltati sul Web. Ci chiediamo se, nel parlare di Norma Cossetto e degli italiani uccisi o sradicati dalla propria terra, egli abbia utilizzato la stessa sensibilità che ritiene di meritare in quanto storico. Quando maneggia il dolore altrui, Gobetti non si fa troppi scrupoli. Al contrario liquida i traumi di intere comunità come «psicosi». Ai suoi traumi, però, è estremamente attento, pretende che siano presi in considerazione da tutti, e sanati. Ne ha il diritto, come no. E né lui né la sua famiglia devono ricevere minacce. Ma l'Italia sarebbe una nazione migliore se anche le vittime delle foibe potessero trovare pace. Se si smettesse di occultate la pulizia etnica comunista dietro i «crimini fascisti». Se chi riceve odio online è un martire, diteci: non è un martire chi è stato stuprato, torturato e gettato in un crepaccio perché italiano? Il sangue dei morti delle foibe è più rosso persino di Gobetti.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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