Gli oltre 22.000 immobili confiscati alla criminalità potrebbero essere piazzati sul mercato, alle aste o dati alle forze dell'ordine. Ma le pressioni di Ong e lobby che gestiscono l'immenso patrimonio non lo permettono.
Gli oltre 22.000 immobili confiscati alla criminalità potrebbero essere piazzati sul mercato, alle aste o dati alle forze dell'ordine. Ma le pressioni di Ong e lobby che gestiscono l'immenso patrimonio non lo permettono.Avete presente che cosa è una finanziaria? Abbiamo avuto in passato quelle deboli (da 3-5 miliardi) e quelle da oltre 30 miliardi, con la conseguenza di tagli alle spese correnti e incremento delle tasse. Pochi sanno però che noi abbiamo l'equivalente di una media finanziaria in casa, «dormiente», non ancora utilizzata: un «tesoro» tenuto nascosto di almeno 30 miliardi di euro, forse di 50 miliardi, secondo qualche esperto. Spiegheremo fra poco le ragioni. In 25 anni sono stati confiscati ben 37.000 beni (soprattutto case, ville, terreni e aziende), oltre a 3.829 beni mobili registrati (auto, moto, barche, trattori, eccetera). Una notevole parte dei beni immobili (oltre 19.000) sono stati trasferiti all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Il valore degli immobili, dei terreni agricoli e delle aziende non è stato mai calcolato, tantomeno in base ai valori di mercato, per l'estrema dispersione territoriale, ma soprattutto per la volontà delle Ong (a cominciare da «Libera» di don Luigi Ciotti, che ha sempre svolto un ruolo di primo piano in questo campo) di tenere fermo il principio della «restituzione alla collettività dei beni sottratti ai cittadini dalla criminalità organizzata». Il presidente della «Fondazione Con il Sud» (che da anni si occupa di questi problemi) Carlo Borgomeo, ha precisato: «Non è possibile una stima del valore di questi beni perché le tipologie dei beni sono troppo diverse, per dimensione, ubicazione, stato di conservazione». In realtà nessuno ci ha mai provato, per la carenza di personale tecnico, per pigrizia o per altre ragioni, fra cui qualcuna forse inconfessabile. Quello della «restituzione» è sicuramente un principio sacrosanto di giustizia, che però è servito spesso anche come alibi per salvaguardare gli interessi delle lobby che, direttamente o per vie traverse, gestiscono un immenso patrimonio economico, fatto di immobili e aziende. I primi sono dislocati, non solo in Sicilia (6.490), in Campania (3.313) e in Calabria (1.876) ma anche in Emilia Romagna (644), Veneto (287), Puglia (1.094), Toscana (328), Abruzzo (232) e in misura minore, anche nelle altre Regioni. Le aziende si trovano in Sicilia (842), in Campania (632), nel Lazio (471) e in Calabria (288), ma anche nelle altre Regioni. Il sequestro dei beni ai mafiosi è stata una felice intuizione di Giovanni Falcone, diventata poi una legge, per iniziativa dei parlamentari Virginio Rognoni (Dc) e Pio La Torre (Pci), quest'ultimo assassinato dalla mafia, approvata il 27 marzo del 1996. Una iniziativa coraggiosa, che con gli anni si è rivelata sempre più efficace nella lotta alla criminalità organizzata. Un'idea questa che venne pubblicizzata anche da Carlo Alberto Dalla Chiesa. «A me interessa - affermò in una intervista- le lire rubate, estorte che architetti di chiara fama hanno trasformato in case moderne, alberghi e ristoranti à la page». Dopo qualche anno si diede vita all'agenzia Anbsc, per gestire la grande e crescente quantità di beni sequestrati. L'agenzia (non ente pubblico, come qualcuno teorizzava per timore che potesse diventare un altro «carrozzone») è stato diretto in questi anni sempre da prefetti, sotto il controllo del ministero degli Interni. L'attuale direttore è il prefetto Bruno Corda, che ha sostituito nell'agosto scorso il suo collega Bruno Frattasi (ora capo di gabinetto del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese). Ma l'idea dell'ente pubblico non è definitivamente tramontata. Anzi, negli ultimi tempi è stata nuovamente rilanciata. Lo stesso Borgomeo, che pure si è sempre distinto con proposte controcorrenti, ne condivide il modello. Ha detto a La Verità: «Io sono fra quelli che ritiene utile trasformare l'attuale agenzia (l'Anbsc) in ente pubblico economico, con un bilancio autonomo e con un proprio personale. Questo consentirebbe di poter disporre delle professionalità necessarie in materia immobiliare, finanziaria, industriale e agricole. All'ente dovrebbero confluire tutti i beni confiscati, comprese le risorse finanziarie che oggi finiscono al Fug» ( cioè il Fondo unico giudiziario ). Non è il solo manager a pensarla così: vi sono fondazioni, Ong, politici, imprenditori e altri operatori che si danno molto da fare perché il «piatto» è ricco, come si è visto, molto ricco, e molti vorrebbero partecipare alla «tavolata».Precisiamo che questo non è il caso di Carlo Borgomeo e della sua fondazione, che ha dato prova di impegnarsi attivamente in questo settore, nel corso di almeno due decenni, per valorizzare il patrimonio di beni sequestrati alle mafie. Pensiamo però che ogni sforzo dello Stato (compreso lo spreco di risorse economiche) si risolverebbe in una fatica di Sisifo, con scarsissimi vantaggi per l'occupazione e per la redditività delle imprese. Nella migliore delle ipotesi il nuovo ente pubblico diventerebbe una piccola Iri, sempre assistita dallo Stato e/o dalle Regioni, con oneri finanziari costanti ed elevati. Non resta che la soluzione, del resto indicata dalla stessa Anbsc (oltre che da diversi economisti). Infatti, nell'ultima relazione di bilancio dell'agenzia (2019) si afferma: «Nelle realtà imprenditoriali, nella stragrande maggioranza dei casi, si rende non sostenibile il “costo" del ritorno alla legalità delle attuali aziende». E ancora: «Si sono riscontrati, in taluni casi, criticità anche nell'attività gestoria pubblica, come il percorso di emersione e di rigenerazione per una percentuale altissima di aziende sia del tutto impercorribile, asservite al disegno criminale, nel senso che sono pienamente strumentali alle attività illecite delle consorterie mafiose e finiscono con l'essere delle loro proiezioni». In altre parole, le aziende sequestrate vanno semplicemente liquidate: vendute sul mercato, anche attraverso le aste pubbliche, anche per favorire «le aziende legali»; quelle decotte e irrecuperabili andrebbero chiuse senza ripensamenti. E tutte le risorse finanziarie ricavate dovrebbero essere trasferite allo Stato. Lo stesso discorso vale per i terreni e gli immobili confiscati, con pochissime eccezioni (trasferimenti alle forze dell'ordine o ad associazioni serie che abbiano finalità sociali, con un controllo accurato dei sindaci e dei prefetti). Ma chi troverà il coraggio di ricavare un tesoro sottraendolo a una fitta giungla di lobby, con potenti protettori politici?
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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