2022-05-20
Lo Stato dispensa altra morte. Approvato il suicidio di un tetraplegico
Nel riquadro, Fabio Ridolfi (Ansa-IStock)
Parere favorevole alla richiesta del malato: potrà farla finita. Succede proprio due giorni prima della marcia per la vita.«Gentile Stato, aiutami a morire». A distanza di appena 48 ore da questo suo appello pubblico, Fabio Ridolfi, 46 anni, di Fermignano (Pesaro Urbino), è stato accontentato con il via libera per accedere al suicidio assistito. Il semaforo verde è arrivato dal Cerm - acronimo che sta per Comitato etico regione Marche -, secondo cui l’uomo, immobilizzato da 18 anni a causa d’una tetraparesi dovuta alla rottura dell’arteria basilare, «rientra nei parametri stabiliti dalla Consulta nella sentenza Cappato-Dj Fabo per potere accedere all’aiuto medico alla morte».La vicenda, così come l’appello dell’uomo - composto attraverso un lettore oculare, dato che può muovere solo gli occhi -, sono stati divulgati dall’associazione Luca Coscioni, che fa presente come Ridolfi sia «il secondo italiano dopo “Mario” (un quarantatreenne paraplegico) ad avere ottenuto il via libera per l’aiuto al suicidio». Solo che tale assenso, a detta della sigla radicale, è stato in realtà comunicato con un ritardo inaccettabile. Il parere del Cerm risale infatti all’8 aprile, ma all’uomo è stato recapitato solamente nelle scorse ore. «È inaccettabile che lo Stato italiano, e nello specifico la Regione Marche», ha dichiarato Filomena Gallo, avvocato e segretario della Luca Coscioni, «abbia tenuto nel cassetto per 40 giorni un documento di tale rilevanza ed urgenza». La legale ha inoltre sollevato un altro aspetto: oltre che tardivo, il parere del Cerm sarebbe incompleto. Questo perché, secondo la Gallo, «nulla dice sulle modalità di attuazione e sul farmaco da usare affinché la volontà di Fabio possa finalmente essere rispettata». Appare pertanto doveroso, ha sottolineato la donna, che ora «il sistema sanitario delle Marche definisca le modalità del caso nella massima urgenza, senza che sia necessario nuovamente da parte di Fabio procedere per vie legali».Tutte queste lungaggini hanno il sapore di una «vicenda kafkiana» per Marco Cappato, secondo cui «è da notare come» l’appello dell’aspirante suicida marchigiano «sia stato accolto dal silenzio assoluto da parte dei capipartito e dei “protagonisti” del dibattito parlamentare, attualmente impantanato al Senato». «Eppure», ha aggiunto Cappato, «l’utilità di una legge sarebbe proprio quella di stabilire tempi certi per dare risposte ai malati». «Purtroppo il testo approvato alla Camera non fornisce alcuna garanzia nemmeno da questo punto di vista, e sarebbe dunque da discutere urgentemente e da integrare», ha infine concluso il leader radicale. Di tutt’altro tenore il commento sulla vicenda da parte del mondo pro life (che domani si radunerà a Roma nella manifestazione Scegliamo la vita). Secondo Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & famiglia onlus, questo «caso delle Marche è l’ennesima conseguenza di una sentenza scellerata della Corte costituzionale, che - nel 2019 - ha aperto le porte al suicidio assistito come via più “facile”, per di più con una forte e ingiustificata componente soggettiva, per risolvere il problema delle sofferenze delle persone malate, fragili o anziane». «Non entriamo nel merito del dramma del signor Ridolfi», ha altresì precisato Coghe, «ma questa ennesima decisione del comitato etico della Regione Marche è un drammatico campanello d’allarme per il Paese. Uno Stato civile non può uccidere, non può eliminare chi soffre trattandolo come uno scarto».In aggiunta a tutto ciò, c’è un aspetto da non sottovalutare: i casi di cui si sta parlando, quelli di Ridolfi, di «Mario» o altri, stanno avendo luogo in un contesto dove, per quanto la Consulta abbia fissato dei paletti per il suicidio assistito, una legge approvata dal Parlamento ancora manca. Ma c’è da augurarsi che vi si arrivi? L’esperienza internazionale dovrebbe suggerire prudenza dato che, ovunque sia stato riconosciuto il diritto di essere uccisi, si è poi vista non tanto una gestione più efficiente dei casi di suicidi, bensì una loro esplosione: e non solo, attenzione, di quelli assistiti. Secondo Theo Boer, bioeticista docente presso l’università di Groningen e già membro della Commissione sull’eutanasia in Olanda, se nel suo Paese i suicidi sono in netta ascesa - lo studioso ha rivelato un’impennata di quasi il 35% in 12 anni - è proprio in conseguenza del cupo clima sociale propiziato dall’eutanasia. David Albert Jones, cattedratico alla St. Mary’s University, in un articolo pubblicato sul Journal of Ethics in Mental Health, ha messo in luce come le leggi sulle morti on demand facciano aumentare anche i casi di persone che, non necessariamente malate, si tolgono la vita. Jones ha per esempio osservato come, dal 2010 al 2017, il tasso suicidario in Austria, Paese che non ammette suicidio assistito, sia diminuito mentre nella vicina Svizzera - dove Cappato portò Dj Fabo a morire nel febbraio proprio del 2017 - sia aumentato. Tutto questo per dire che, comunque la si pensi, sarebbe ingenuo pensare di ridurre certi fenomeni alle istanze di disabili gravissimi stanchi di vivere. Rispondere positivamente alle loro richieste potrebbe infatti aver conseguenze tutt’altro che felici per l’intero Paese.
Jose Mourinho (Getty Images)