2019-10-24
Lo sgarbo a Di Maio sull’Ilva dà il via alla fronda 5 stelle
Dopo l'emendamento su Taranto dell'ex ministro Barbara Lezzi, arriva il dossier sul portavoce di Laura Castelli. Vincenzo Spadafora si vede leader.Tutele per i rider. Roberto Gualtieri: «Ddl fiscale quasi pronto, siamo ai dettagli». Resta il bonus cultura ai diciottenni.Lo speciale contiene due articoli.Il M5s esplode, Luigi Di Maio ormai non controlla più neanche i suoi (ex) fedelissimi, mentre s'avanza una leadership ombra, quella di Vincenzo Spadafora. È lui, Spadafora, il più «democristiano» di tutti i grillini, a svolgere ormai il ruolo di segretario di fatto del movimento. È lui, Spadafora, a essersi autoincoronato capo del M5s, quando, lo scorso 24 agosto, fu a casa sua che Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si incontrarono per far muovere i primi passi alla maggioranza giallorossa. È sempre lui, Spadafora, stando a quanto riferiscono alla Verità diverse e autorevoli fonti parlamentari del M5s, a tramare per prendere, quando Di Maio sarà cotto a puntino, ufficialmente il posto di guida del M5s.Un M5s che, in queste ore, è letteralmente dilaniato da una guerra intestina che vede Giulia Grillo e Barbara Lezzi letteralmente scatenate nel disseminare mine lungo il già tortuoso sentiero del governo guidato da Giuseppe Conte. Certo, il malcontento delle due ex ministre deriva innanzitutto dal fatto di essere state fatte fuori al momento della formazione del governo giallorosso. Non si tratta di battaglie ideologiche, di divergenze politiche, ma di una sana e consapevole libidine di vendetta nei confronti di Di Maio; nulla di nuovo né di strano, la politica è spesso condizionata da sentimenti e rapporti umani, ma le donne hanno la capacità di vedere lontano, ed ecco che Barbara Lezzi, attraverso un post su Facebook, fa letteralmente a pezzi il futuro leader Spadafora, che aveva criticato Virginia Raggi: «Il ministro Spadafora», azzanna la Lezzi, «non parla per mio conto, anche se ha la presunzione di esprimere le opinioni del M5s. La nostra sindaca, vi ricordo sotto scorta, ha ereditato lo scempio che tutti gli altri partiti hanno commesso nel corso di decenni. Glielo dobbiamo ricordare al ministro Spadafora? Il capo politico dovrebbe mettere fine allo sproloquio di questo ministro che si allontana troppo da quanto gli compete. Oppure è diventato Spadafora», azzanna la Lezzi, «il capo politico e noi non siamo stati informati?». Domanda retorica, quella dell'ex ministro del Sud, che con un suo emendamento al decreto Salva imprese, approvato dalle commissioni Industria e Lavoro del Senato, ha messo in enorme difficoltà il governo facendo saltare il nuovo scudo penale per l'ex Ilva, voluto da Luigi Di Maio. Così, non appena tra pochi giorni il decreto legge, approvato ieri dal Senato con un voto di fiducia, sarà convertito, Arcelormittal si ritroverà scoperta sul piano legale, e potrebbe disimpegnarsi dall'operazione Ilva. Se non si correrà ai ripari, e anche in fretta, il colosso francoindiano potrebbe tirarsi fuori. Caos totale anche per l'elezione dei nuovi organismi dirigenti: mentre i senatori hanno nominato il loro capogruppo, Gianluca Perilli, che ha avuto la meglio sull'ex ministro Danilo Toninelli, per la scelta del successore di Francesco D'Uva, ex capogruppo alla Camera e ora questore di Montecitorio, non si intravedono spiragli. Si fronteggiano due cordate: la prima, meno lontana da Di Maio, fa capo a Francesco Silvestri; la seconda, distantissima dal ministro degli Esteri e capitanata dal duo Grillo-Lezzi, vede come leader Raffaele Trano. La scorsa settimana, al termine della votazione tra i deputati del M5s, nessuno dei due ha raggiunto il quorum necessario per l'elezione, e così il braccio di ferro prosegue. Attenzione, però: la vicenda è più complessa, e l'elezione del nuovo capogruppo è solo la punta dell'iceberg della guerra intestina che sta lacerando il M5s. L'elezione del nuovo direttivo del partito, infatti, stando a quanto risulta alla Verità, pure sarebbe paralizzata dal dualismo Silvestri-Trano, e nella «lista» di quest'ultimo, avversario acerrimo di Di Maio, figurerebbero, per cariche di rilievo, i nomi di due deputati: Fabio Berardini e Marco Rizzone.Due deputati che, proprio ieri, hanno messo in imbarazzo Laura Castelli, viceministro all'Economia e fedelissima di Di Maio. Ieri il sito Politico.eu ha rivelato di un emendamento (poi scartato) al Dl imprese presentato da alcuni senatori grillini che mirava a convertire l'Associazione italiana alberghi per la gioventù in ente pubblico. Il segretario nazionale della no profit è Carmelo Lentino, collaboratore del viceministro dell'Economia Castelli. E il deputato Berardini, parlando con l'Adnkronos, ha affondato i colpi sui mal di pancia di queste ore: «Vogliamo vederci chiaro su questa vicenda», ha detto. E Rizzone ha rincarato la dose: «Noi deputati della commissione competente», ha raccontato, «abbiamo sempre espresso dubbi e dato pareri negativi sull'argomento. Lentino è venuto anche da noi sei mesi fa a “sponsorizzare" la norma ma l'abbiamo fermato. Quindi chiediamo: Castelli era consapevole? Noi questa cosa la sapevamo da sei mesi, l'abbiamo segnalata anche all'allora capogruppo Francesco D'Uva. Se avessimo voluto colpire Castelli lo avremmo fatto durante la formazione del governo». «Polemica strumentale costruita ad arte», hanno ribattuto fonti vicine al viceministro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lo-sgarbo-a-di-maio-sullilva-da-il-via-alla-fronda-5-stelle-2641080670.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-decreto-salva-imprese-passa-con-168-si" data-post-id="2641080670" data-published-at="1757673541" data-use-pagination="False"> Il decreto Salva imprese passa con 168 sì Passa il decreto Salva imprese voluto da Stefano Patuanelli con la prima fiducia al Conte bis. Con 168 voti a favore e 110 contrari ha ottenuto così il via libera del Senato il maxi emendamento interamente sostitutivo del dl su rider e crisi aziendali, con le modifiche introdotte durante l'esame a Palazzo Madama. Durante la votazione i senatori di Fdi, che hanno votato contro (come Forza Italia e la Lega, che ha definito il decreto «sciatto dopo le promesse mancate del dannoso ministro del Lavoro Luigi Di Maio») hanno alzato cartelli in Aula con la scritta «Mai con il Pd - Mai con i 5 stelle». Il provvedimento, che dovrà diventare legge entro il 3 novembre, passa ora alla Camera. Il testo nell'ultima versione non presenta riferimenti all'ex Ilva. Anzi, è stato approvato l'emendamento M5s soppressivo dell'articolo 14 con lo scudo per i manager di Arcelormittal. Approvate invece misure per rafforzare le tutele per i rider, anche se i sindacati e i diretti interessati hanno fatto molte critiche alle norme. Per tutti sono previsti il superamento del cottimo, una paga agganciata ai contratti collettivi (salario minimo dopo 12 mesi) e tutele sanitarie e previdenziali (tre mesi dopo l'entrata in vigore). Previsto inoltre nel decreto il percorso per la stabilizzazione dei precari dell'Anpal, l'Agenzia per le politiche attive del lavoro. Viste anche le implicazioni del reddito di cittadinanza, si apre all'assunzione diretta dei tempi determinati, mentre per i collaboratori ci saranno concorsi interni riservati. In tutto si tratta di 654 persone. Saranno inoltre prorogate le graduatorie datate 2011-2015 per le selezioni pubbliche che ancora non avevano esaurito gli idonei. Il dl già prevedeva oltre 1.000 ingressi all'Inps a cui ora si aggiungeranno 150 nuovi ispettori del lavoro. È uscito invece dal testo l'articolo che avrebbe dovuto salvare la rete degli ostelli della gioventù dopo le polemiche che hanno travolto Laura Castelli e il suo portavoce: prevedeva la trasformazione dell'Associazione alberghi per la gioventù (Aig) in ente pubblico. Previste anche norme a favore dell'economia verde. Mentre in Senato si votava la fiducia, il governo era impegnato nella manovra è proprio sul ddl bilancio. Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri ha detto: «Siamo ai dettagli, il decreto fiscale è praticamente pronto e sulla legge di bilancio siamo alla fase di redazione, avendo ormai definito un quadro stabile dell'impianto della manovra». Non definiti i tempi: «Non vi so dare la data esatta», ha detto il ministro, «è un lavoro tecnico e intenso ma ormai la legge è chiusa e siamo molto soddisfatti». La manovra inoltre dovrebbe contenere il bonus cultura per i diciottenni con uno stanziamento di 160 milioni per il 2020. La misura era finanziata fino a fine anno e si è deciso di rinnovarla, ma i fondi caleranno di 80 milioni dai 240 stanziati per il 2019. Nonostante le risorse ridotte l'intenzione, spiegano fonti del Pd, sarebbe far rimanere a 500 euro la cifra riservata ai neo maggiorenni per spese culturali. Sarebbe possibile «grazie a risparmi e al fatto che non tutti i diciottenni hanno usato il bonus nel passato».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti