
I giornaloni denunciano l'autoritarismo di Viktor Orbán e Andrzej Duda, ma tacciono sulle leggi salva corrotti e sugli attacchi alla magistratura dei socialdemocratici romeni, alleati del Pse e del vicepresidente della Commissione Ue.Discrimina gli omosessuali, perseguita George Soros, segrega i migranti. Del premier ungherese, Viktor Orbán, s'è detto di tutto. Come del presidente polacco, Andrzej Duda, che secondo i giornaloni vorrebbe sopprimere l'autonomia del potere giudiziario. Contro Budapest e Varsavia si è mossa pure l'Europa, attivando la cosiddetta «opzione nucleare», la procedura d'infrazione per chi viola i valori fondamentali dell'Ue. E il Ppe, dopo una lunga querelle con Fidesz, il movimento di Orbán, gli ha comminato una sospensione temporanea.Niente di tutto questo è successo alla Romania, guidata dal Partito socialdemocratico. Un alleato dei socialisti europei che, a ben guardare, si comporta molto peggio di Orbán e Duda. Sì, l'Europarlamento ha approvato una mozione per biasimare le norme salva corrotti che l'esecutivo romeno da due anni cerca di approvare. E la Commissione di Jean Claude Juncker ha più volte richiamato Bucarest. Ma non è stata attivata alcuna «opzione nucleare». Anzi, a gennaio la Romania ha inaugurato il suo semestre di presidenza del Consiglio Ue. E il Partito socialista europeo si tiene stretti i seggi dei compagni romeni, che per i sondaggi, nonostante i moti di piazza, potrebbero confermarsi prima compagine politica del Paese alle elezioni di maggio. Per l'olandese Frans Timmermans, candidato del Pse alla Commissione, il Psd è un alleato imbarazzante, ma necessario.E dire che le mascalzonate dei socialdemocratici romeni sono innumerevoli. A cominciare da quelle del loro dominus, Liviu Dragnea. Il presidente del partito, nel 2016, è stato condannato in via definitiva a due anni per frode elettorale. Nel 2014 era già stato accusato di abuso d'ufficio: avrebbe costretto il direttore di un ente pubblico a tenere a libro paga due dipendenti che non si presentavano in ufficio, ma lavoravano per una sezione del Psd. E adesso la Direzione nazionale anticorruzione lo ha messo sotto indagine per distrazione di fondi europei.Dragnea, d'altronde, vanta una lunga carriera di scandali: il più eclatante è quello del 2001, quando fece privatizzare una società di costruzioni stradali del suo distretto elettorale. Che è finita, guarda caso, al suo autista: un uomo di paglia? Quell'azienda ha poi ricevuto ben 170 milioni di euro di commesse dalle amministrazioni pubbliche.Tra i big del partito, l'ex premier Sorin Grindeanu merita una menzione speciale. È stato il suo esecutivo, nel 2017, a lanciare il primo decreto d'emergenza che proponeva di amnistiare i condannati fino a 5 anni e depenalizzare i reati di corruzione, se le somme intascate ammontavano a meno di 50.000 euro. Grindeanu provò pure a farsi bello con l'Ue, tirando fuori la scusa del sovraffollamento delle carceri. Peccato che a uscire dalla gattabuia sarebbero stati solo i politici. Le proteste di piazza costrinsero il governo a ritirare la riforma del codice penale, ma il progetto non è stato mai abbandonato. Lo ha ripreso l'attuale primo ministro, Viorica Dancila, che secondo molti commentatori è poco più che una pedina di Dragnea. Il suo esecutivo sta portando avanti una nuova gigantesca riforma del codice penale, con circa 300 emendamenti, che è addirittura peggiore di quella di Grindeanu. Innalzerebbe la soglia di tolleranza delle mazzette da 50 a 200.000 euro, in un Paese in cui il salario medio non supera gli 800 euro. E istituirebbe una Procura speciale per indagare sugli abusi dei magistrati, i quali rischierebbero fino a 7 anni di galera. Nel frattempo, il governo è riuscito a silurare il Procuratore capo della Direzione anticorruzione, Laura Kövesi. E adesso ne sta osteggiando la nomina alla Procura anticorruzione europea. Ma come? Non erano i reazionari Orbán e Duda quelli pronti a mettere il bavaglio ai giudici? Come se non bastasse, nell'agosto scorso, l'esecutivo ha fatto reprimere brutalmente una grande manifestazione di protesta a Bucarest. Ci sono stati oltre 400 feriti. Di nuovo: non erano i «fascisti» ungheresi e polacchi a soffocare le opposizioni?Tra i socialdemocratici romeni si trova di tutto. Anche Victor Ponta, primo ministro dal 2012 al 2015, poi fuoriuscito dal Psd per divergenze con il signore assoluto Dragnea. Nel 2016, è stato accertato che Ponta aveva plagiato la sua tesi di dottorato. Nel suo curriculum gonfiato, peraltro, aveva coinvolto pure l'Italia: s'era inventato una laurea magistrale a Catania, anche se l'ateneo siciliano sostiene di non averlo mai visto. Nel 2015, la Dna l'ha indagato per complicità in evasione fiscale, riciclaggio di denaro e conflitto d'interessi: aveva assegnato incarichi pubblici a un ex associato del suo studio legale. Ponta si è salvato perché il Parlamento ha negato l'autorizzazione a procedere. Quello stesso anno, tuttavia, è stata la piazza a costringerlo alle dimissioni. A scatenare l'indignazione popolare, il rogo di una discoteca di Bucarest, in cui sono morte 64 persone. I manifestanti accusavano il governo di una politica lassista sulla sicurezza e l'assegnazione delle licenze.Il Psd vanta anche il primo capo del governo condannato dagli anni della rivoluzione anticomunista. Si tratta di Adrian Nastase, premier tra il 2002 e il 2004, che nel 2012 si è beccato due anni per distrazione di denaro pubblico: l'aveva speso per una conferenza di raccolta fondi per la sua campagna elettorale. Soldi per racimolare altri soldi. Per Nastase sono arrivate anche altre due condanne: 4 anni per tangenti e 3 per estorsione.Nella galleria degli scandali non mancano ministri e deputati. Miron Mitrea, titolare dei Trasporti e senatore fino al 2012, ha preso una tangente di 300.000 euro per mantenere al suo posto una dirigente dell'ispettorato di Stato per le costruzioni. Dan-Coman Sova, senatore del Psd fino al 2008 ed ex ministro delle Infrastrutture, nel 2018 è stato condannato definitivamente a 3 anni e 100.000 euro di multa per traffico d'influenza: aveva convinto due dirigenti di un grosso impianto termoelettrico di Stato a firmare contratti con uno studio legale da lui indicato. Adrian Severin, ex eurodeputato socialdemocratico, è stato condannato nel 2016 a tre anni e mezzo. Nel 2011, un giornalista del Sunday Times lo aveva filmato mentre accettava una mazzetta da 100.000 euro in cambio della promessa di presentare alcuni emendamenti all'Europarlamento. Catalin Voicu, parlamentare del Psd fino al 2012, è stato condannato a 7 anni, pure lui per traffico d'influenza. Secondo l'accusa, aveva «costruito una rete criminale basata su tangenti, intimidazioni ed estorsioni». Invece Dan Nica, ex ministro delle Comunicazioni, si è salvato per un ritardo della Procura. L'ipotesi era che avesse fatto vendere alle scuole, a prezzi gonfiati, dei prodotti Microsoft attraverso un mediatore, Fujitsu Siemens. Si parlava di decine di milioni nascosti in conti offshore. Già nel 2012, un dirigente di Ericsson aveva testimoniato che Nica aveva accettato una tangente per far vincere un appalto alla società di telefonia.Tra i «galantuomini» figurano ovviamente i vertici del partito, come Constantin Nicolescu, vicepresidente del Psd dal 2008: condannato nel 2015 per aver distratto 900.000 euro di finanziamenti europei che servivano a ristrutturare le scuole; e condannato nel 2017 in primo grado per tangenti. O come Maria Neacsu, già segretario generale del partito, condannata a 6 mesi nel 2016 per aver assunto illegalmente sua figlia nel suo ufficio da parlamentare. O come Gheorge Medintu, ex vicepresidente del Psd nel distretto di Arad, nella parte occidentale della Romania. Condannato nel 2017 a 7 anni per un finanziamento illegale, è stato coinvolto persino nelle indagini per l'uccisione di un poliziotto e di un altro esponente socialdemocratico, Ovidiu Moldovan. E non parliamo dell'ex sindaco di Craiova, Lia Olguta Vasilescu, indagata per corruzione dal 2016. Ci sono due donazioni sospette, da 25.000 e 45.000 euro, ricevute da industriali della sua circoscrizione e un'altra, molto più cospicua, da 568.000 euro, che la Olguta avrebbe imposto di versare a una no profit a lei collegata ad alcuni imprenditori, che lavoravano per l'amministrazione di Craiova. Invece Robert Negoita, attuale capo del III municipio di Bucarest, lo scorso aprile è stato condannato per evasione fiscale: deve all'erario 51 milioni di euro. In breve, il Psd romeno, più che un partito, sembra la squadra di calcio di un penitenziario. Timmermans e i socialisti Ue, è vero, hanno agitato lo spauracchio di un allontanamento dal Pse. Ma la presa di distanze è formale: alla fine, voti e seggi fanno gola. Proprio approfittando delle frizioni con Bruxelles, Matteo Salvini, qualche settimana fa, ha scritto a Dragnea, proponendogli un'intesa elettorale alle europee. La Romania, infatti, senza che ciò suscitasse l'indignazione della stampa internazionale, ha sposato la linea dura sui migranti, proprio come i Paesi di Visegrád. Ma certi compagni di viaggio, forse, è meglio lasciarli a Timmermans.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






