2020-12-13
Lo scandalo dei prigionieri in Libia. Il governo dà la mancia ai familiari
Hanno comprato le lacrime di mogli e figli dei 18 pescatori di Mazara sequestrati da 104 giorni senza che sia stato fatto nulla per riportarli a casa. Il decreto Rilancio ha stanziato il «regalino»: 27.700 euro a rapito.Hanno comprato le lacrime, il loro valore è di 27.700 euro a famiglia. Hanno comprato le lacrime di mogli e figli dei 18 pescatori di Mazara del Vallo prigionieri dei libici da 104 giorni senza che il governo italiano sia riuscito a muovere un dito per riportarli a casa. Valutata l'impotenza degli Affari esteri guidati da Luigi Di Maio, Palazzo Chigi ha deciso di concedere la paghetta, di lenire il dolore con le banconote: 500.000 euro stanziati nel decreto Rilancio e approvati in commissione bilancio al Senato. Ufficialmente si tratta di «misure di sostegno ai familiari del personale imbarcato e di contributi all'impresa di pesca, nei casi di sequestro in alto mare da parte di forze straniere anche non regolari». Un castello lessicale con due dati positivi: il denaro che consentirà di tirare avanti a famiglie prostrate (otto italiane, sei tunisine, due filippine e due senegalesi) e la definizione del profilo giuridico di chi ha in mano i pescatori: rapitori di milizie irregolari. Quindi non interlocutori ufficiali. Come non lo sono gli uomini del maresciallo Khalifa Haftar che hanno preso in ostaggio a Bengasi, con la scusa di pesca irregolare in acque libiche, gli equipaggi dei pescherecci Medinea e Antartide. E lo hanno fatto il primo settembre, poche ore dopo la ripartenza per l'Italia dalla Libia proprio del ministro degli Esteri, Di Maio, che era andato a Tripoli per incontrare Fayez al Serraj, primo ministro del governo legittimo secondo l'Onu, quindi rivale assoluto di Haftar.I 18 pescatori sono carne da cannone, pedine di scambio, vittime dell'insipienza diplomatica di un paese che da interlocutore privilegiato della Libia (anche per merito dell'Eni) si è ridotto a sostenere un ruolo marginale anche agli occhi dei predoni. Incapaci di riportarli a casa, paghiamo il silenzio natalizio dei loro cari. Meglio che niente, ma poco più di niente. Una scelta poco dignitosa di chi ha la coda di paglia e da anni ha affidato a Bruxelles anche la politica estera. Poiché dei pescatori siciliani all'Europa importa meno di zero, ecco i risultati. Soldi in finanziaria e tutti tranquilli per Natale.I rapitori chiedono in cambio il rilascio di quattro scafisti libici arrestati a Catania nel 2015 e condannati a 30 anni di carcere come responsabili della strage di Ferragosto del 2015. Si tratta dell'annegamento di 49 migranti «tenuti nella stiva e lasciati morire in maniera spietata», come spiega il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. «Sprangarono il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati». Per i parenti dei condannati, in perenne sit-in sulla banchina di Bengasi, si tratterebbe solo di quattro giovani calciatori che volevano raggiungere la Germania per tentare l'avvenuta professionistica. Sempre Zuccaro: «Un'ipotesi ripugnante. Altro che calciatori, furono condannati non solo perché al comando dell'imbarcazione ma per omicidio». Così lo scambio sarebbe considerato un'enormità giuridica. Mentre da oltre tre mesi Di Maio prova a tranquillizzare i parenti degli equipaggi con frasi fatte («Stiamo coinvolgendo nel caso tutte le forze internazionali»), le famiglie cominciano ad alzare la voce per protestare contro «l'inefficienza del governo italiano». Rosa Ingargiola, madre di Pietro Marrone, comandante del Medinea: «La notte non si dorme, il giorno si piange, voglio rivedere mio figlio». Durissimo Leonardo Gancitano, l'armatore dell'Antartide: «Ci siamo resi conto che non quel pezzo di Libia hanno rapporti solo Turchia e Francia. Abbiamo pensato che forse sarebbe meglio rivolgerci a Emmanuel Macron invece che a Giuseppe Conte». Ieri alcuni famigliari hanno protestato con gli striscioni sotto la casa dei genitori del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, anch'egli di Mazara. «Sei un incompetente», gridava nel megafono Giuseppe Giacalone, padre di uno dei marinai. «Com'è possibile che i turchi erano a sette miglia da Tobruk e sono già stati liberati e i nostri a 40 miglia no? Il ministro degli Esteri deve riportarci a casa i nostri cari. Siamo disposti a proteste estreme, tasse non ne paghiamo più». «Incredulo» anche il sindaco di Mazara, Salvatore Quinci, che parla di «senso di smarrimento e di incredulità in questo momento».Monta la rabbia. La situazione è diventata ancora più grottesca (e la debolezza della nostra diplomazia ancora più allarmante) tre giorni fa quando proprio Haftar è stato costretto a liberare in tutta fretta sette marinai turchi e a far ripartire da Bengasi la nave Mabouka fermata al largo di Derna dopo una semplice minaccia di Recep Tayyip Erdogan: «Chi tocca i nostri interessi diventa un obiettivo legittimo per la nostra ritorsione». Un'esibizione muscolare che ha marcato una differenza: a Erdogan si ubbidisce senza fiatare, con Conte e Di Maio si gioca come il gatto con il topo.Imbrigliato nella politica dei due forni, il Pd fa teatro e melina. Surreale una lettera del segretario trapanese Domenico Venuti a Nicola Zingaretti: «La vicenda è una ferita aperta, c'è il rischio che il sequestro cada in un cono d'ombra, serve un intervento deciso e forte, appare irrinunciabile l'apertura di una discussione seria e franca». Mentre Erdogan libera i suoi con un pugno sul tavolo, i dem sdraiati sul divano cercano nuovi termini sul dizionario dei sinonimi. Quelli tradizionali li hanno usati invano per Giulio Regeni e Patrick Zaki. Finite le parole e in assenza di strategie d'azione, il governo prova a comprare il Natale di gente disperata con 27.700 euro a pescatore. «Voglio rivedere mio figlio», rimbomba alla Farnesina il grido di una madre. Se anche un solo famigliare rifiutasse quei soldi, il naufragio politico sarebbe completo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)