Domanda e prezzi su: congiuntura favorevole, ma la nostra offerta non sale. All’ex Ilva prorogato senza modifiche l’accordo 2020. Piombino è ferma dal 2014, Jindal non ha un piano industriale e parla di cessione. I sindacati: «Sorprende l’assenza della politica».
Domanda e prezzi su: congiuntura favorevole, ma la nostra offerta non sale. All’ex Ilva prorogato senza modifiche l’accordo 2020. Piombino è ferma dal 2014, Jindal non ha un piano industriale e parla di cessione. I sindacati: «Sorprende l’assenza della politica».L’export italiano di prodotti della siderurgia è cresciuto nell’ultimo anno del 51,7%, passando da 14,8 a 22,5 miliardi di euro. Una variazione positiva dovuta all’aumento delle vendite all’estero (+11,5%) ma, soprattutto, all’incremento dei prezzi (+36,5%). Nel 2020, si era registrato un calo del 18,6% in valore. A una congiuntura favorevole del mercato tra inflazione e aumento di richieste (cui non è estranea la contingenza della guerra in Ucraina), finora non è però corrisposto un adeguato picco della produzione, che solo nell’ultimo mese è tornata per la prima volta in positivo. Il saldo di aprile, come certificato da Federacciai, è di 2,155 milioni di tonnellate. Un valore che porta a 8,13 milioni di tonnellate l’output del primo quadrimestre, per una variazione ancora negativa sul 2021 per il 2,4%.Il problema principale riguarda ancora le due acciaierie più importanti del Paese: Ilva e Piombino, protagoniste nella giornata di ieri.In mattinata Invitalia e Arcelor Mittal, soci di Acciaierie d’Italia, hanno firmato una proroga di due anni dell’accordo di investimento siglato il 10 dicembre 2020 sotto la guida di Giuseppe Conte, dagli allora ministri Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri con Domenico Arcuri e l’azienda.La proroga si è resa necessaria considerato il mancato avveramento delle condizioni sospensive, ovvero il dissequestro dell’area a caldo per cui proprio ieri la Corte di appello di Taranto ha rigettato la richiesta. È stato confermato il piano di investimenti ambientali e industriali per circa 1,7 miliardi di euro fino al 2026, e l’assorbimento dei 10.700 lavoratori. La cosa importante è che, a differenza di quanto raccontato dai vari politici finora, non c’è nessuna modifica rispetto al piano industriale del 2020. Nonostante tutti i ministri del governo Draghi chiamati dai sindacati a convocare il tavolo lo hanno rinviato per due anni perché ogni volta dicevano di aspettare l’esito dell’ennesima sentenza per presentare un nuovo piano industriale, resta invece invariato quello voluto da Conte (con Pd e 5 stelle) nell’accordo del 4 marzo 2020: a regime 5,5 tonnellate annue da altoforno (con rifacimento Afo5) e 2,5 tonnellate da forno elettrico. Piano che però doveva partire prima entro il 2023, poi posticipato al 2025, e ora non si sa. E nel frattempo cassaintegrazione.Sempre ieri si è tenuto al Mise l’incontro per l’acciaieria di Piombino, ferma dal 2014 con lo spegnimento dell’altoforno. Oggi in mano a Jindal, la concorrente di Arcelor Mittal proprio nella gara per Ilva. Ancora oggi Michele Emiliano e Francesco Boccia dicono che era quella la società migliore che avrebbe dovuto prenderla, e accusano Carlo Calenda di aver fatto vincere Mittal. Ma mentre questi, nonostante tutto, da quando sono arrivati a Taranto hanno fatto partire e ormai quasi completato il piano ambientale, Jindal che avrebbe dovuto investire 4 miliardi in Ilva, in 4 anni anni a Piombino non è riuscita non solo a investire 500 milioni per il promesso forno elettrico, ma neppure a presentare un piano industriale. L’accordo di programma firmato nel 2018 con le istituzioni locali, che comprendeva totale occupazione, messa in sicurezza e riconversione industriale dell’area, non è mai stato rispettato. Né per le bonifiche, né per il rilancio industriale, tantomeno per l’occupazione. E di questo farebbero bene a prenderne atto i politici che come una nenia lo chiedono per Taranto.A Piombino l’acciaieria è ferma, con oltre 1200 lavoratori su 1700 in cassa integrazione. Gli ultimi due governi, prima con il viceministro pd Alessia Morani, poi con il viceministro M5s Alessandra Todde, avevano promesso, come a Taranto, l’ingresso salvifico di Invitalia. Dopo mesi per una due diligence, ieri Marco Carrai, vicepresidente e responsabile italiano di Jsw, ha annunciato che l’ingresso di Invitalia è saltato perchè l’agenzia guidata da Arcuri non voleva inserire nell’accordo la realizzazione del forno elettrico. Dopo aver incontrato mr. Jindal, Giancarlo Giorgetti ha promesso all’azienda una commessa decennale da 2,5 miliardi per le rotaie Rfi. Ma proprio mentre stava per firmare la scorsa settimana il presidente Sajjan Jindal ha dichiarato al Financial Times di voler vendere l’acciaieria italiana. A quel punto i sindacati sono insorti, chiedendo alle istituzioni di non firmare. «A Jindal non va affidata la commessa di Rfi», ha detto il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. «Noi dobbiamo avere un nuovo soggetto in grado di mettere in piedi un progetto industriale. Solo a quel punto si può avere il contratto con Rfi, altrimenti prendono la commessa e la vanno a fare in India».Nell’incontro ieri al Mise, come per Ilva al Lavoro, mancava il ministro. È questa la prima cosa che lamenta Lorenzo Fusco, segretario generale Uilm Piombino, presente al tavolo: «Non mi stupisce più l’assenza dell’azienda, ma quella della politica». Proprio in questi giorni la Uilm ha celebrato i congressi territoriali, e se a Piombino oltre allo stesso Carrai per Jsw e le aziende più importanti del territorio come Tenaris e Liberty, c’erano tutte le istituzioni dal presidente della Regione, Eugenio Giani, al sindaco di Piombino con quelli dei Comuni limitrofi, e parlamentari di tutte le forze politiche; al congresso territoriale di Taranto, nonostante la presenza del segretario generale Uil, Pierpaolo Bombardieri, e la campagna elettorale per le amministrative, non si è presentato nessun esponente politico. Non era mai successo nella storia di Taranto. È il segno di quanto la politica oggi si interessi di lavoro e industria. Visto l’inflazione, i picchi dei prezzi, le sanzioni alla Russia, avremmo però potuto sfruttare uno dei pochi elementi positivi. Tornare a essere big dell’acciaio.
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