2020-01-29
L’Italia paga tardi, la colpa è anche dell’Ue
La Corte di giustizia dell'Unione ci ha condannato per lo sforamento dei tempi nel saldare i debiti della Pubblica amministrazione Non devono superare i 60 giorni, arrivano anche a 700. Ma l'Europa ha bastonato le misure per arginare il fenomeno, come i minibot.Puntuale come un orologio svizzero, ieri è arrivata nei confronti dell'Italia la condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea sui ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione. Come illustrato nel comunicato diffuso a margine della pubblicazione della sentenza, i togati hanno constatato una violazione della direttiva promulgata nel 2011 per contrastare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: in qualità di Stato membro, il nostro Paese infatti «non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario». Un segreto di Pulcinella quello messo in luce dalla Corte, visto che il tema è dibattuto ormai da molti anni.Tutto ha avuto inizio quando sul tavolo dei giudici sono pervenute «una serie di denunce presentate da operatori economici e associazioni di operatori economici italiani», stanchi dei «tempi eccessivamente lunghi in cui sistematicamente le pubbliche amministrazioni italiane saldano le proprie fatture relative a transazioni commerciali con operatori privati». La Commissione europea ha deciso perciò di inviare, il 19 giugno 2014, una lettera di messa in mora all'Italia contestando l'inadempimento della norma europea sui pagamenti della Pa. Dopo diversi scambi, alla fine del 2016 Bruxelles ha valutato che il nostro Paese non fosse in linea con quanto previsto dalla direttiva, e a febbraio del 2017 ha intimato al governo di mettersi in regola entro due mesi. Due mesi dopo, l'Italia ha comunicato ufficialmente i tempi medi di pagamento delle pubbliche amministrazioni, pari a 51 giorni per l'anno 2016, con punte di 67 giorni per il Sistema sanitario nazionale. La Commissione, lamentando da parte del nostro Paese un «superamento continuo e sistematico» dei termini per saldare le fatture scaduto, ha perciò deciso di presentare a febbraio del 2018 un'istanza alla Corte di giustizia. L'intero botta e risposta, calendario alla mano, si è svolto sotto i governi Renzi e Gentiloni.Oggi il ricorso di Bruxelles è stato accolto e, oltre al danno anche la beffa, l'Italia è stata condannata anche al pagamento delle spese legali. Come prova dello sforamento delle tempistiche, la Commissione ha presentato i dati degli studi elaborati dalla Confartigianato (media di 99 giorni), dell'Assobiomedica (145 giorni) e dell'Associazione nazionale costruttori edili (156 giorni), ma anche casi limite con ritardi di oltre 700 giorni. L'Italia ha provato a difendersi, spiegando che negli ultimi anni l'entità delle dilazioni si è ridotta notevolmente, e allo stesso tempo contestando i dati presentati dagli avvocati di Bruxelles. Tutto inutile. È stata respinta anche l'argomentazione secondo la quale lo Stato non può essere ritenuto colpevole del ritardo a carico delle pubbliche amministrazioni in quanto, spiegano i giudici, è proprio sugli Stati membri che ricade «l'obbligo di assicurare l'effettivo rispetto dei termini di pagamento da esso previsti nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione».Che fare, dunque? La sentenza della Corte, oltre a riportare in superficie l'annoso problema dei debiti della Pa, ci ricorda che nel contratto di governo sottoscritto da Lega e M5s era prevista una misura concreta per arginare questo fenomeno. Stiamo parlando dei titoli di Stato di piccolo taglio ideati da Claudio Borghi, altrimenti noti come «minibot», da corrispondere ai creditori e spendibili nei confronti dello Stato per la fornitura di beni e servizi, o più semplicemente per vedersi riconosciuto un credito d'imposta. Una boccata di ossigeno, almeno secondo i promotori dell'iniziativa, in grado di dare un forte stimolo all'economia. Una volta emessi, infatti, questi titoli potrebbero essere scambiati anche tra privati, un po' come già avviene con i ticket restaurant.Curioso notare che le istituzioni europee oggi tanto solerti nel bastonarci per i ritardi accumulati negli anni sono le stesse che di fatto ci impediscono di adottare uno strumento simile. Quando l'idea dei titoli di piccoli taglio ha fatto irruzione nel dibattito politico la scorsa primavera, complice anche la minaccia di procedura di infrazione per debito eccessivo, si è scatenato il panico. Nel corso dell'Eurogruppo svoltosi lo scorso giugno, i partner europei pronunciarono un secco «no» alla proposta. L'allora governatore della Bce, Mario Draghi, pose il suo aut aut: «O sono valuta illegale oppure aumentano il debito». Oggi Matteo Salvini striglia il premier Giuseppe Conte: «Invece di passare il tempo a insultarmi, lavori (come la Lega gli ha chiesto per mesi) perché lo Stato paghi i miliardi di euro di debiti nei confronti di privati e imprese. Lo faccia in fretta, o si dimetta». Nel frattempo, la montagna da 53 miliardi di euro di debiti rimane sempre lì, in attesa che qualcuno si decida finalmente a scalarla.