
Nel 2022, gli immigrati che hanno ottenuto il riconoscimento sono stati 213.716, ovvero il 76% in più rispetto al 2021. Quasi doppiata la media di «naturalizzazioni» del continente. Non sembra che servano nuove leggi. Più cittadinanza per tutti e chi l’avrebbe detto. Nel 2022, il numero di stranieri che hanno conquistato la cittadinanza è aumentato del 76% a quota 213.716 e l’Italia ha quasi doppiato la media europea, arrivando a rappresentare più di un quinto di tutte le nuove ammissioni. Insomma, l’Italia è attualmente la nazione che riconosce più cittadinanze tra i 27 paesi d’Europa, come certifica uno studio della Fondazione Ismu Ets. Con tanti, tantissimi saluti alla retorica piagnona dell’Italia «Paese chiuso», che non accoglie i migranti, li fa morire in mare e li utilizza solo per lavorare in nero nei cantieri e nei campi di pomodori. E soprattutto, alla faccia dello ius soli come unica forma di integrazione.La Fondazione Ismu per lo studio della multietnicità è un ente non profit presieduto dal demografo Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat, e tra i suoi soci principali annovera la Fondazione Cariplo, la Regione Lombardia, la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi e la Fondazione San Carlo. Ieri ha diffuso un’analisi basata sugli ultimi dati Eurostat dalla quale emerge che nessuno in Europa ha concesso tanti certificati di cittadinanza come l’Italia. Nel 2022, i cittadini immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono stati 213.716, ovvero il 76% in più rispetto al 2021, quando ci si era fermati a 121.500 persone. Sempre nel 2022, è diventato italiano il 4,3% dei residenti stranieri, mentre la media Ue si fermava al 2,6%. In Europa, sempre nel 2022, 989.940 persone hanno ottenuto la cittadinanza del Paese in cui vivono, con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente. Al primo posto nell’aprire le porte c’è proprio l’Italia, che ha concesso il 22% delle nuove cittadinanze, seguita dalla Spagna (18% del totale Ue a 27) e dalla Germania (17%). Le maggiori diminuzioni sono state invece osservate nella Francia di Emmanuel Macron (-15.900), spesso sul pulpito a dare lezioni di accoglienza e integrazione. Se questi sono i dati che faranno più discutere politicamente, vista la nomea di cui gode l’Italia, ci sono altri numeri che soddisfano un po’ di curiosità assortite. Sempre nel 2022, il 40% delle naturalizzazioni totali ha riguardato tre nazionalità d’origine: Albania (38.000), Marocco (31.000) e Romania (16.000). Al quarto posto troviamo il Brasile (11.000 persone), seguito da India, Bangladesh e Pakistan, che in totale arrivano a 20.000 nuovi residenti. In termini relativi, rispetto al 2021 sono aumentati di più gli argentini, i brasiliani e i moldavi, accompagnati ovviamente dagli ucraini che sono più che raddoppiati. Se invece si estende lo sguardo all’Europa, i principali Paesi di provenienza dei neocittadini sono il Marocco (112.700), la Siria (90.400) e l’Albania (50.300). E sotto il profilo demografico, è interessante notare che la metà dei nuovi europei ha meno di 31 anni e il 26% sono bambini di età inferiore ai 15 anni. Anche l’Italia segue queste tendenze: nel 2022, il 26% di coloro che hanno ricevuto la cittadinanza aveva meno di 15 anni e si arriva al 37% se si comprendono anche i giovani tra i 15 e i 19 anni. Curiosa la provenienza dei bambini, che rappresentano il 44% dei pakistani, il 42% degli immigrati dal Bangladesh, il 41% degli egiziani e il 39% dei marocchini. Mentre solo cinque brasiliani su cento hanno meno di 14 anni. Per le regole italiane, la cittadinanza si conquista in due modi: per naturalizzazione o per matrimonio. È richiesto anche un determinato reddito che dimostri la capacità di mantenersi, ma in alcuni casi il requisito è meno stringente. In genere, bisogna avere almeno 10 anni di residenza legale continuativa, che diminuiscono in casi particolari come i rifugiati e i coniugi di cittadini italiani. Inoltre bisogna dimostrare una buona conoscenza della lingua italiana (c’è un piccolo esame da superare), non avere precedenti penali in Italia o nel Paese d’origine per reati gravi. Bisogna infine dimostrare il rispetto delle leggi italiane e dei valori democratici fondamentali.Regole non particolarmente stringenti, come si vede dai numeri analizzati da Fondazione Ismu, ma che al centrosinistra e a larga parte del mondo cattolico non bastano, tanto che continua la battaglia per il cosiddetto ius soli, o quel che ne resta. Ancora lo scorso 20 gennaio, il segretario del Pd, Emily Schlein, dall’alto dei suoi tre passaporti (italiano, statunitense e svizzero), statuiva: «Sulla riforma della cittadinanza, è vero, ci sono delle ferite aperte che abbiamo vissuto in questi anni. Siamo qui per riprendere quella battaglia una volta per tutte, senza timore sui dibattiti che altri vogliono suscitare nel Paese». Per la Schlein si tratta di una battaglia di civiltà, perché «chi nasce o cresce in Italia è italiano o italiana e nessuno può togliergli questo diritto. Io l’ho sempre chiamato ius soli, ragioniamo pure se bisogna cambiare nome. Per me, per noi, la forma più ampia e coraggiosa possibile è quella che il Pd deve sostenere». Anche l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, da due anni alla guida della Conferenza episcopale italiana, da almeno otto anni chiede lo ius soli e parla periodicamente di «ritardi vergognosi». Sarà, ma essere la nazione che concede più cittadinanze in tutta Europa non solo ribalta una certa narrazione sull’Italia «egoista», ma semmai pone il problema di un eccessivo tasso di sostituzione. Non si potrebbe almeno restare nella media?
Leone XIV (Ansa)
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