2022-03-02
Nella lista nera (per ora) sette banche russe
Trattative serrate degli ambasciatori dei 27 Paesi Ue: tra gli istituti estromessi dal sistema Swift non c’è Gazprombank. Spiraglio per le forniture di gas anche all’Italia. Visa e Mastercard interrompono i sistemi di pagamento. Eni cederà la quota in Blue Stream.Nella lista delle grandi banche russe che saranno estromesse dal sistema Swift, il più utilizzato per i pagamenti internazionali al di fuori dell’area euro, non compare Gazprombank. Ovvero l’istituto attraverso il quale vengono pagate anche dall’Italia le forniture di gas provenienti dalla Russia (l’Eni effettua poco meno di due terzi delle transazioni). Gli ambasciatori dei 27 Paesi membri della Ue sono nuovamente in riunione per discutere la lista delle banche russe che saranno sospese dallo Swift. Quando questo giornale è andato in stampa, mancava ancora un elenco ufficiale ma le banche in tutto dovrebbero essere sette e secondo il Wall Street Journal ci sarebbero Vtb Bank, Veb, Bank Rossiya e Bank Otkritie (che stava per essere acquistata da Unicredit a fine gennaio, operazione dai vertici dell’istituto italiano poi stoppata proprio per la crisi ucraina). Il colosso Sberbank non farebbe parte della lista che alcuni Stati, in particolare i Paesi Baltici e la Polonia, vorrebbero una più lunga. L’esclusione selettiva dal sistema - una scelta politica, non tecnica, e concordata con i partner del G7, ovvero Usa, Canada e Giappone - dovrebbe essere formalmente adottata per procedura scritta. La Cina potrebbe dare un aiuto alla Russia a sfuggire alla morsa delle sanzioni e del blocco finanziario imposti dall’Occidente ma al momento appare difficile che il suo sistema di messaggi delle transazioni Cips possa sostituire lo Swift dal quale sono state espulse le banche di Mosca. Analisti ed esperti sottolineano infatti come, sebbene in crescita, il sistema cinese Cips sia ancora poco diffuso nel mondo e per molti aspetti poggi sulla stessa infrastruttura Swift. Un appoggio alla Russia potrebbe, inoltre, far incorrere le banche di Pechino (molte a guida statale) in sanzioni secondarie da parte degli Usa e della Ue. Intanto, le società di carte di pagamento statunitensi Visa e Mastercard hanno bloccato diversi istituti finanziari russi dai loro circuiti e il governo britannico ha inserito il gigante del credito Sberbank nell’elenco delle sanzioni britanniche. Dopo aver preso di mira diverse istituzioni finanziarie la scorsa settimana e poi la Banca centrale russa presieduta da Elvira Nabiullina, Boris Johnson ha annunciato nuove misure e la chiusura dei suoi porti alle navi di Mosca. Nel frattempo, le Borse europee continuano a soffrire. Parigi ha perso il 3,9%, Francoforte il 3,8%, Londra l’1,7% ma la maglia nera è andata a Piazza Affari dove Ftse Mib finale ha lasciato sul terreno il 4,14% e si è assestato sui minimi di giornata. Pesanti ribassi per i titoli più esposti nella crisi ucraina, a cominciare dai bancari con Unicredit che ha perso il 6,9%, Intesa Sanpaolo -7,7%, Mediobanca -7,8 per cento. Contrastati anche i principali energetici con Enel a -6,4% mentre Eni ha segnato un +3,04 per cento. Pesante Stellantis (-6,93%%) nel giorno del piano strategico e Tim che, alla vigilia del cda convocato per approvare i conti del 2021 e il nuovo piano targato Labriola, ha ceduto il 9,05% sulle indiscrezioni di stampa relative a uno stop all’offerta di Kkr. In controtendenza si è confermata Leonardo che ha guadagnato un altro 1,45% sulle attese di un aumento della spesa relativa agli armamenti.Mentre resta ancora chiusa la Borsa di Mosca, a Wall Street tutti gli indici a metà seduta viaggiavano in rosso. Gli investitori attendono anche le parole del presidente Biden, che alle 21 (le 3 di stamattina) ha tenuto il suo primo discorso sullo stato dell’Unione. Nel frattempo, continua la corsa del petrolio: a Londra il brent ha guadagnato quasi il 5% superando i 105 dollari mentre a New York il Wti è salito di oltre il 10% a circa106 dollari al barile volando ai massimi dal luglio 2014. Si rompono, intanto, alleanze industriali consolidate da decenni sul fronte dell’energia. Ieri Eni ha annunciato che cederà la propria quota nella partecipazione congiunta con Gazprom nel gasdotto Blue Stream (che collega la Russia alla Turchia). Il colosso energetico inglese Bp ha deciso che uscirà dalla compagnia petrolifera Rosneft, vendendo la propria partecipazione di quasi il 20% con una perdita stimata fino a 25 miliardi di dollari. Anche il colosso Shell ha comunicato che intende uscire dalle joint venture con Gazprom e mettere fine al suo coinvolgimento nel progetto di gasdotto Nord Stream 2. Parallelamente, la major energetica norvegese Equinor ha deciso di sospendere i nuovi investimenti in Russia, dopo 30 anni di attività nel Paese, e di avviare il processo di uscita dalle sue joint venture nella regione. Resta da capire chi prenderà il loro posto nell’azionariato dei colossi russi (i cinesi) o se serviranno imponenti aumenti di capitale. Ieri a sostenere la portata delle sanzioni è stata anche TotalEnergies annunciando che non fornirà più capitali per nuovi progetti in Russia, dove è coinvolta nel campo del gas naturale liquefatto. Parliamo di attività che ammontano a circa 1,5 miliardi di dollari, ovvero il 5% del flusso di cassa complessivo del gruppo francese che è azionista al 19,4% del capitale del produttore di gas Novatek, detiene un 20% in Yamal, joint venture legata all’impianto di gas naturale liquefatto a Sabetta, e il 10% in Arctic Lng 2, megaprogetto installato nell’Artico e in servizio a partire dal 2023.