2019-01-26
L'Iran ammette: violato l'accordo sul nucleare. Crolla un altro pezzo della dottrina Mogherini
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Non soltanto la guerra commerciale con la Cina di Xi Jinping e il riconoscimento di Juan Guaidó quale presidente venezuelano al posto del caudillo Nicolás Maduro. Con l'avvento alla Casa Bianca di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno rivoluzionato la loro politica estera: si sono infatti ritirati dall'accordo nucleare con l'Iran per cui molto si spesero l'ex presidente Barack Obama, il suo segretario di Stato John Kelly e l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Federica Mogherini. Peccato che anche il capo dell'agenzia atomica iraniana abbia dichiarato in tv di aver rotto i patti.Washington accusa Teheran di aver mentito e violato l'accordo nucleare. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica non vuole ascoltare né gli Stati Uniti né tantomeno Israele. L'Unione europea sta per lanciare il suo veicolo per aggirare le sanzioni di Washington contro il regime di Teheran. Ma nel frattempo, in una recente intervista rilasciata alla tv iraniana, il capo dell'Agenzia atomica iraniana Ali Akbar Salehi, che fu negoziatore nucleare e ministero degli Esteri, ha ammesso che Teheran ha consapevolmente violato l'accordo nucleare.A provare quanto affermato da Washington e Gerusalemme, Salehi ammette che l'Iran non ha violato il Jcpoa dopo la decisione di Trump di recedere dall'accordo, bensì sin dalla firma a Vienna nel 2015. Di ciò Salehi, spiega lui stesso, ha informato unicamente l'ayatollah Ali Khamenei, visto il regime sapeva che «l'Occidente non avrebbe rispettato l'accordo». Salehi ha affermato poi che l'impianto di Ardakan per la produzione della yellowcake, cioè il materiale di base per alimentare le centrali atomiche, è operativo e che il regime è pronto ad arricchire l'uranio nelle centrifughe.Inoltre, ha raccontato il numero uno dell'agenzia, l'Iran non ha fatto quanto previsto dal Jcpoa sul reattore ad acqua pesante di Arak: avrebbe dovuto essere riempito di cemento per distruggere la calandra, in realtà Teheran ha acquistato tubi di ricambio. Poi ha mostrato al mondo foto modificate al computer del reattore pieno di cemento. Si tratta quindi di violazioni volontarie, prima cosa. E precedenti all'avvento di Trump alla Casa Bianca, seconda cosa.Stracciato l'accordo nucleare, negli ultimi giorni l'amministrazione di Washington, che in Cina, Venezuela e Iran vede il nuovo «asse del male», ha aumentato la pressione su Teheran. Il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato infatti l'imposizione di sanzioni contro le milizie appoggiate dall'Iran in Siria, e contro due compagnie aeree: Qashm Fars Air, con sede in Iran, e Flight Tral Llc, con sede in Armenia. Non è tutto. Tre diplomatici statunitensi in una recente riunione a Vienna presso l'ambasciata a stelle strisce avrebbero chiesto all'Agenzia internazionale per l'energia atomica nuove sanzioni e ispezioni più accurate nei siti iraniani, racconta Bloomberg. Ma i tre, impegnati a dimostrare quanto sostenuto dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton circa le menzogne raccontate dagli iraniani all'Agenzia, non hanno ricevuto rassicurazioni né impegni.E mentre l'Agenzia ignora gli appelli di Washington e di Gerusalemme nonostante le ammissioni di Teheran, l'Unione europea sta continuando a lavorare su un canale finanziario speciale per continuare a commerciare con l'Iran aggirando le sanzioni statunitensi. Secondo il Wall Street Journal, infatti, l'idea si basa su uno Special purpose vehicle (Spv) registrato in Francia ma guidato dai tedeschi che potrebbe essere annunciato già lunedì e ha già incassato il sostegno di Cina e Russia.Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha più volte definito l'Svp «una delle misure più controproduttive per la pace». Washington, esentando alcuni Paesi europei tra cui l'Italia dalla prima tranche di sanzioni contro Teheran, punta a isolare Parigi e Berlino. Ma il tempo e il mondo business giocano a favore degli Usa e contro il veicolo speciale voluto dalla Mogherini. Infatti, le big del petrolio tra cui la francese Total, l'italiana Eni, la tedesche Siemens e Daimler, oltre alla francese Peugeot, alla statunitense General Electric e persino la russa Lukoil ha già deciso di rinunciare ad accordi miliardario con Teheran dopo la stretta statunitense.