2022-08-15
Pietrangelo Buttafuoco: «A Letta serve un consulente Netflix»
Pietrangelo Buttafuoco (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Lo scrittore: «Draghi, anti Draghi, Greta, Lgbt: il Pd deve farsi vidimare le agende da uno sceneggiatore. Renzi e Calenda? Avanspettacolo. Inutili le ansie di Ue e Usa sulla Meloni: la sua destra è da sempre pro Occidente».Capisci che Pietrangelo Buttafuoco è uno di noi quando ti accorgi che, nella torrida e anomala estate di campagna elettorale, più che a Carlo Calenda pensa a Il lupo e la luna: il suo romanzo, trasposto in pièce teatrale da Valentino Picone, dal 23 al 25 agosto, sarà in scena all’Orto botanico di Palermo. Buttafuoco, comprendiamo lo scarso trasporto per le vicende del terzo polo. A cosa attribuisce la sovrarappresentazione mediatica di Mr 2%?«È sempre una questione di agenda».Si deve piacere alla gente che piace?«Non potrò mai dimenticare che, molti anni fa, all’alba del trionfo elettorale della Lega Nord, sul Corriere della Sera campeggiava una paginata d’intervista a un altolocato avvocato residente in piazza Castello, uno dei protagonisti della Milano “illuminata” e borghese. Come se quello fosse il riferimento per capire la realtà».Invece vinsero i barbari?«Mi colpì che la maggior parte dei giornalisti non solo non aveva i contatti dei leghisti, ma non sapeva manco chi fossero. Comunque, quella di Calenda e Matteo Renzi è una storia bellissima di tipizzazione da avanspettacolo». Della serie…?«Mi ricordano Carlo Campanini e Walter Chiari, la mitica coppia del “vieni avanti cretino”, nella gag in cui il secondo ruba costantemente la scena al primo».Renzi ruberà la scena o affonderà una volta per tutte?«Renzi è uno che non ha solo letto Il principe; l’ha anche capito. E quindi si gioca le carte che ha a disposizione per trarne il massimo vantaggio, sapendo di aver ormai perso il treno del consenso plebiscitario e di aver probabilmente fatto male i calcoli, riguardo alla prospettiva di diventare l’erede di Silvio Berlusconi. Quello che Goffredo Bettini fa male, lui lo fa con maggiore efficacia».Come giudica le «traditrici» del Cav, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna?«Sono scese dal carro del vincitore e, quindi, un titolo di merito ti viene da considerarlo. Però sono cadute preda della sirena irresistibile della presentabilità sociale: se ti posizioni a sinistra, ti viene perdonato tutto». È la sindrome di Gianfranco Fini?«Quello fu uno scivolone più maldestro. C’era una trappola ben orchestrata, con raffinatissime volpi che lo infiocchettarono. Qui c’è un aspetto che oserei definire balzachiano».Cosa intende?«Entri nell’alta società, ti liberi di un fardello… Non si scordi che loro furono protagoniste di quella stagione orrenda in cui la sinistra perseverava nel vilipendio sui loro corpi femminili».Le rime oscene con il cognome Gelmini, i calendari della Carfagna…«E ora si ritagliano il ruolo di riserve della Repubblica. Lo stesso vale per Luigi Di Maio: è un meccanismo da star system».Berlusconi punta al Senato, da cui lo espulsero in virtù della legge Severino. E, anche se lui lo nega, forse accarezza persino il sogno della sua elezione diretta al Quirinale. Vive questo appuntamento elettorale come un’opportunità per il Paese, o come la chance per prendersi la rivincita definitiva?«Sono assolutamente convinto che lo viva come un divertimento. La sua qualità prima è di vendere. Da lui bisogna aspettarsi di tutto. Non è credibile quando fa quelle interviste che gli scrivono, quei discorsi che gli preparano… Quando esce al naturale è straordinario. Il migliore di tutti».Forza Italia a che destino va incontro?«Finirà con lui».E confluirà nella Lega? Magari, per bilanciare la forza di Fdi?«Mah… Comunque vada, quello è un elettorato che rimane uniforme. Corrisponde alla definizione dei “deplorevoli” che diede Hillary Clinton».Giorgia Meloni si è schermita in anticipo con l’Europa e gli Usa. È stata più furba di Matteo Salvini, che nel 2018 tentò lo scontro diretto?«Il fatto è che tra Fratelli d’Italia e Lega c’è una differenza di fondo. Il Carroccio nacque in un innesto antagonista, creato da due geni: uno era Umberto Bossi, che quanto a intuito politico non è secondo a Renzi; l’altro era Gianfranco Miglio, un uomo di elevatissima statura. E intorno a loro ci sono stati personaggi che hanno sempre avuto un ruolo di autentica alterità rispetto all’Unione europea e alla globalizzazione. Lo stesso Bossi fu uno dei primi a sorvegliare i destini delle comunità che si perdevano nella globalizzazione».Il pedigree della Meloni è diverso?«È collocato nel solco della tradizione conservatrice, che in Italia ha riferimenti solidi, come Giuseppe Prezzolini: l’espressione prima del pragmatismo, un intellettuale capace di interpretare le chiavi della modernità in una prospettiva che era quella dell’Occidente e del confronto con gli Stati Uniti. La parola Occidente era utilizzata solo dai militanti di destra, in Italia. Un po’ come il tricolore: lo sventolavano loro, mentre gli altri italiani se ne accorgevano solo quando giocava la Nazionale».Dove vuole arrivare?«La lagna sull’ortodossia europeista e atlantista della Meloni è stravagante e pretestuosa. La sua destra è già legata a quella tradizione. In quel mondo è sempre stato preponderante il doppiopetto».Repubblica pretende che sparisca la fiamma dal simbolo di Fdi.«Segnalo un tweet di “La voce della fogna”, che mette a confronto con il pezzo sul simbolo di Fdi, in cui si parla esplicitamente di fascismo, con quello sul ragazzo di estrema destra indagato perché combatte con gli ucraini, che invece si sono ben guardati dal definire fascista. Posso dare un consiglio agli autorevoli editorialisti e commentatori di Repubblica?».Non so se la leggeranno, ma faccia pure.«Stiano attenti, perché sono partiti troppo in anticipo a spararsi le cartucce dell’antifascismo. La masculiata l’hanno fatta troppo presto. Sono caduti nella trappola del marziano a Roma. A un certo punto il lettore si stuferà e penserà: “Ma ancora con ’sta storia?”».Per la sinistra sarebbe uno smacco culturale, se il primo premier donna d’Italia fosse una donna di destra?«È risaputo che il femminile ha molto più aggio, autorità e presenza nelle società tradizionali, che nelle meravigliose chimere dell’alta borghesia. Le società tradizionali non hanno l’ansia e la preoccupazione di consentirsi dei premier donna». Dice?«Basti pensare al Pakistan, con Benazir Bhutto, o al Regno Unito, con Margaret Thatcher. È una cosa normale. È in America che, paradossalmente, è molto più complicato. La crosta altoborghese occidentalista ha più difficoltà, perché ha l’ansia d’inseguire un’idea di parità, a dispetto della stessa uguaglianza».Matteo Salvini ha perso il senso della strategia?«No. Io penso che, nel centrodestra, ognuno stia giocando il suo ruolo: il vantaggio della coalizione è che la scena è affollata, non solitaria. Ha presente il selfie dei leader del centrosinistra, quando c’era ancora Calenda in mezzo a loro?».E allora?«Davano l’impressione di aver compiuto uno sforzo: “Facciamoci ’sta foto, dai”. Invece, nel centrodestra, dove litigano per davvero, alla fine ognuno gioca un ruolo utile».Le garba il pulmino di Enrico Letta?«Quello elettrico? Eh, Letta ha il problema di far corrispondere il suo messaggio a una serie infinita di agende eterogenee: l’agenda Draghi, l’agenda Lgbt, l’agenda Greta…».E l’agenda anti Draghi, visto che s’è alleato con Nicola Fratoianni e ha candidato Susanna Camusso. «Il programma se lo deve far vidimare da un consulente di Netflix, altrimenti non funziona… In questa vicenda si scorge l’eterno duello tra la realtà e la sceneggiatura».Ovvero?«Il sentimento percepito, la sceneggiatura, è la meraviglia per un’età contemporanea in cui abbiamo il meglio di tutto: il meglio degli scrittori, dei cineasti, degli scienziati, persino dei virus e delle guerre. Ma la realtà, poi, se ne va per i fatti propri».Pd e 5 stelle torneranno insieme?«C’è un grosso equivoco: l’elettorato dei 5 stelle - noi meridionali lo sappiamo bene - è un elettorato di popolo. Non corrisponde affatto alle agende del Pd. È lo stesso problema di chi ha l’illusione che i voti in uscita da Fi saranno attratti dal terzo polo».Non accadrà?«Non hanno memoria della storia! I milioni e milioni di voti per Berlusconi erano voti di popolino. Erano i profughi dall’Albania che, quando arrivavano qui e incrociavano Mara Carfagna, la salutavano al grido di: “Italia uno!”. Erano le persone che ha raccontato meravigliosamente Franco Maresco nel suo Belluscone. Questi mancu sannu come so’ disegnati, Calenda e il terzo polo!».Ergo, gli elettori grillini delusi non voteranno il Pd?«Ma quando mai! Erano i gruppi parlamentari che, per autosopravvivenza, si erano aggregati alla sinistra. Ma chi li aveva votati era la gente normale».Pierluigi Lopalco, già assessore in Regione Puglia, si candida per Roberto Speranza. Matteo Bassetti sbraccia per fare il ministro con il centrodestra. Come volevasi dimostrare? L’eredità naturale della pandemia?«Non le so rispondere. Quando in tv sento parlare di virus, cambio canale».
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.