2021-01-18
Marco Bonometti: «Basta con questo teatro dell’assurdo»
Il presidente di Confindustria Lombardia: «Le trattative con i “costruttori” sono una vera presa per i fondelli Chi ha detto che non si può votare? Anche un governo di scopo può andare bene, però finiamola con i sussidi»«Di una cosa abbiamo bisogno: di un governo vero. Che prenda decisioni concrete, che possa creare i presupposti della crescita. E che faccia presto. L’industria italiana pretende stabilità, ma qui siamo al teatro dell’assurdo». Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia: è la settimana decisiva per gli equilibri di governo, mentre un italiano su due non ha compreso i motivi di questa crisi. Anche lei è confuso? «Non sono confuso, sono amareggiato e deluso». Le trattative politiche di questi giorni suonano come un’offesa all’Italia che produce?«È una presa per i fondelli. Per il resto, era inevitabile che si arrivasse alla crisi, perché non abbiamo mai avuto un vero governo della situazione». Cioè?«Abbiamo assistito al teatro dell’assurdo, dai banchi a rotelle al bonus per i monopattini, dalla scarcerazione dei 41 bis alla paralisi del parlamento. Il Covid c’è stato per tutti, ma quello che abbiamo combinato in Italia non ha riscontro in Europa e nel mondo». I parlamentari che si preparano ad appoggiare un Conte-ter sono «costruttori» o «traditori»?«Se siamo arrivati a questo punto, è perché evidentemente abbiamo una classe politica irresponsabile. Basta uscire in strada per capire quali sono i bisogni delle persone: la politica da giorni non parla più né di lavoro né di impresa. Il Recovery plan doveva essere pronto a fine anno, mentre Francia e Germania hanno già progetti dettagliati. Non siamo capaci? Perlomeno copiamo dagli altri». Dunque i contenuti del Recovery plan non sono migliorati?«La cultura anti-impresa in Italia serpeggia ormai da troppo tempo. Anche chi ci governa non ha ancora ben chiaro il ruolo dell’industria. Nel progetto per il Recovery fund c’è ancora uno sbilanciamento nella programmazione delle risorse: solamente il 20 per cento a beneficio del sistema delle imprese private, mentre il resto riguarda progetti della Pubblica amministrazione. Quindi non vedo affatto piani “Marshall” per il futuro del Paese».Tornando agli scenari politici, pensa che sarebbe possibile portare avanti un governo con numeri risicati? «Si aprirebbe il sipario sul secondo atto del teatro dell’assurdo, all’insegna dell’improvvisazione, dei piccoli ricatti politici, del vivere alla giornata. Non è possibile continuare con questo teatrino della politica, che va avanti con annunci e pochi fatti».Si può andare al voto con una pandemia in corso, con le opportune prudenze? «Certo che sì, basta sapersi organizzare. In Olanda si vota a marzo». L’alternativa è mettere in piedi un governo di scopo, o di unità nazionale, che metta in sicurezza il Paese, con al vertice una personalità super partes: cosa ne pensa? «L’importante è avere un governo solido, che ridia fiducia ai cittadini e alle imprese. Penso che un governo di scopo sarebbe possibile». A quali condizioni?«Dev’essere formato da persone competenti, che possano lavorare nell’interesse del Paese, senza trappole a livello parlamentare per azzopparlo e riprendere il potere. E si dovrà restituire la parola agli elettori immediatamente dopo le necessarie operazioni di bonifica e riequilibrio. Poi sulle formule non posso dare consigli: l’industria italiana pretende stabilità, ma il compito di trovare la strada per arrivarci spetta alla politica». Il presidente di Confindustria Bonomi denuncia: il governo non ha mai consultato le imprese, anzi si è chiuso in sé stesso. «Esatto, non siamo stati ascoltati. Noi però abbiamo le idee chiare sul da farsi. Abbiamo comunicato al governo quali sono le priorità. Dunque abbiamo la coscienza a posto». Da ieri la sua regione è tornata ad essere zona rossa, e il presidente Attilio Fontana annuncia ricorso: «Una punizione per la Lombardia». Lei da che parte sta?«Tutelare la salute dei cittadini è fondamentale, ma non è accettabile che a un anno dall’esplosione dell’epidemia non ci siano ancora regole chiare e certezza del metodo. Ancora non riusciamo a capire quand’è che una zona diventa rossa e quando invece no». Questo cosa comporta?«Questa confusione impedisce di programmare piani sanitari e di fare le scelte politiche giuste. Possibile che ancora non ci sia trasparenza sulle regole? Possibile che nessuno ci riesca a spiegare come vengono calcolati questi numeri?». La Regione Lombardia sostiene che i dati in base ai quali è stata decretata dal governo giallorosso la zona rossa sono superati. E non è stato tenuto conto di molti indicatori favorevoli. «Tutti i dati dovrebbero essere presi in considerazione, compresa la resilienza del sistema sanitario regionale. E attenzione: se non abbiamo certezze a livello sanitario, non le avremo neanche sul piano economico. Continuare a modificare le norme non aiuta a fare chiarezza». Questa nuova chiusura rischia di essere il colpo di grazia al sistema economico lombardo?«Rischia di compromettere irreversibilmente quella ripresa che faticosamente gli operatori economici stanno portando avanti. È importante che il governo e la regione si attivino con rapidità ed efficacia nell’aiutare i settori più colpiti da questa crisi, non a parole ma con fatti concreti».Come si può conciliare il diritto alla salute con il diritto alla libertà di circolazione e di fare impresa, ormai limitata da diversi mesi? «Se ci fosse organizzazione, programmazione, prevenzione e verifica, tutti i settori soffrirebbero meno. Determinante è stata la collaborazione della sanità privata con quella pubblica, che insieme hanno contribuito ad alleviare i disagi creati dall’emergenza».Dunque? «La limitazione della libertà di circolazione e del diritto di fare impresa hanno pieno diritto di cittadinanza quando si tratta di tutelare la salute. Ma sono limitazioni accettabili quando sono risolutive del problema, altrimenti non si tutela nulla: si distruggono le aziende, si attenta perfino a quella che è stata un punto di forza della società italiana, la famiglia. Non lo dico volentieri, ma basta guardare alla Cina. Chiusura rigidissima, ma oggi incrementano il Pil dell’8 per cento. Noi abbiamo cialtronato, ed oggi soffriamo senza prospettiva».Pensa davvero che vada rimosso il blocco dei licenziamenti? «Sì, perché si stanno sprecando risorse senza finalizzarle. Ovvio che per gli imprenditori licenziare rappresenta una sconfitta: ma il blocco non risolve il problema dell’occupazione, anzi lo peggiora». Perché?«Quando cesserà il blocco, i licenziamenti saranno una valanga, con crisi sociali rilevantissime. Anche la cassa integrazione Covid, con la proroga di altri tre mesi già in cantiere, costerà più di dieci miliardi». Quei fondi andrebbero spesi in altro modo? «Al posto dei sussidi, insisto nel chiedere un salario di formazione obbligatoria per disoccupati e cassaintegrati. Serve un centro di formazione per le politiche attive, come in Germania, con apporto pubblico e privato. Da una parte dobbiamo rendere competitive le imprese, dall’altra vogliamo salvare le professionalità su cui abbiamo investito tanto in questi anni, facendo crescere le competenze dei lavoratori».I ristori governativi hanno ridotto le sofferenze oppure no? «Per fare arrivare i soldi a chi ne ha bisogno occorrono 173 decreti attuativi. Rendiamoci conto. La burocrazia è il male peggiore: i ristoratori chiudono, e nessuno dà loro una mano. Se non sulla carta. Detto questo, l’assistenzialismo drena risorse senza costruire nulla, senza preparare un futuro. Di puro assistenzialismo non si può vivere, ne abbiamo lunga esperienza, e certo non possiamo pensare di creare occupazione con questi metodi».