2021-08-02
Giulio Sapelli: «L’Europa non finirà come la Grecia»
L’economista: «L’Italia non ce la farà mai a rispettare la road map delle riforme, tuttavia io resto ottimista Ho fiducia nelle pmi, nel turismo e nella ristorazione. L’importante è riattivare la macchina dei consumi»Professor Giulio Sapelli, economista, ricercatore associato e membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Eni Enrico Mattei, non può esimersi dal rispondere alla domanda più gettonata del momento: ha scaricato il green pass?«Da un po’ di tempo ormai, avendo ricevuto il vaccino quasi subito». Non mi dica che in Basilicata, dove si trova per partecipare al Festival letterario della Notte bianca del libro, gliel’hanno già chiesto. «Quando non lo chiedono, sono io a domandare loro di farlo. Quella del green pass è una logica che avremmo dovuto applicare da tantissimo tempo, appena si è scatenata la pandemia. Avremmo dovuto tracciare con molta più attenzione. Si ricorda Immuni?».Certo, l’app per il tracciamento dei contagi. Non ha avuto molta fortuna. «Credo non ci sia alcun pericolo a essere controllati, sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria ero favorevole a trasferire i miei dati, in tempo reale, a un organismo che avrebbe dovuto avere la cura di governare la pandemia: il Consiglio supremo di Difesa, un organo di rilevanza costituzionale, presieduto dal presidente della Repubblica».Da qualche giorno sull’uso del green pass si è aperto un dibattito piuttosto frizzante. Massimo Cacciari e Giorgio Agamben ne mettono in discussione l’uso politico. «Sulla questione preferiscono non esprimermi. Ho la massima stima per Cacciari e Agamben come filosofi, li rispetto. Credo tuttavia che la polemica sul green pass sia assurda».Abbiamo visto manifestazioni “No pass” in molte piazze d’Italia e nelle aule del Parlamento. Ritiene che alcune posizioni, soprattutto quelle meno allineate, vengano «sbrigativamente rifiutate», proprio per citare Agamben?«Mi preoccupa la possibilità che non si riesca ad acquisire il consenso di chi esprime alcune posizioni, specie sui vaccini. Penso che la repressione non sia la strada giusta, ci vuole la cultura, il linguaggio giusto per convincere chi è scettico. Bisogna avvicinare e convincere, non reprimere».Le parole del premier Draghi - «L’appello a non vaccinarsi è un invito a morire» - escono fuori dai binari che lei auspica?«Le parole restano tali, qui bisogna far seguire le azioni».Di che tipo?«Fossi nei panni di Mario Draghi, farei riunioni con i rappresentanti di queste famiglie, li riceverei. E altrettanto dovrebbe fare il presidente Mattarella, al Quirinale. Un ruolo di primo piano potrebbe ricoprirlo la Chiesa, con le sue strutture: Caritas e organizzazioni cattoliche sarebbero molto efficaci».Che cosa pensa delle aziende che chiedono la certificazione verde ai propri dipendenti per accedere ai luoghi di lavoro? «Se questa è l’intenzione, credo che l’iniziativa debba presupporre un accordo con i sindacati. Un tempo Confindustria non avrebbe mai preso una posizione simile senza prima aver consultato le organizzazioni sindacali. Anche l’associazione degli industriali è alle prese con una decadenza della classe dirigente, la stessa che affligge la politica».A proposito di classe politica, sulla giustizia i partiti hanno alzato il livello dello scontro. Siamo alla vigilia del semestre bianco, crede che le fibrillazioni siano destinate ad aumentare?«Spero che questo non accada».Sui temi più divisivi i partiti che compongono la maggioranza mostreranno tutte le contraddizioni di un governo di unità nazionale, non crede?«Oggi i partiti vivono una crisi organica, non ci sono più. Quelli che noi chiamiamo partiti sono dei gruppi governati da interessi sovranazionali, esterni. Per citare il filosofo Ortega y Gasset, “la politica oggi non è più la virtù dei migliori, ma la virtù dei peggiori”. Si sta realizzando quello che Marx spiega nel libro Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte: andiamo verso un neocesarismo, un bonapartismo che può avere i volti benefici e rassicuranti di Draghi o può avere i volti minacciosi dei populismi, tanto di destra che di sinistra». Qual è il suo giudizio sulla riforma «riformata» del processo penale, uno dei binari su cui corre la giustizia italiana del futuro?«La mediazione raggiunta non mi soddisfa. Qualsiasi riforma della giustizia non potrà prescindere da due cose: la separazione delle carriere e un aumento dei mezzi a disposizione degli organici». La riforma del sistema giudiziario arriva forse nel momento peggiore per le toghe, visto il caos in cui è finita la magistratura. «Dopo il “colpo di stato” degli anni ‘90, oggi la magistratura fa i conti con una serie di colpi di stato africani tra le Procure. Uno si alza, si impossessa di una jeep e “spara” contro un’altra Procura o contro un magistrato. La radice di tutto sta nella mancata, almeno per ora, riforma del Csm e nella scarsa determinazione che in questi anni ha avuto la figura istituzionale del presidente della Repubblica». Firmerà i referendum sulla giustizia proposti dalla Lega e dal Partito Radicale?«È dal 1984 che non voto e per principio sono contrario ai referendum. Quello sulla giustizia, tuttavia, è l’unico caso su cui sto avendo dei tentennamenti».A causa delle tensioni politiche, la riforma del fisco e quella della concorrenza sono destinate a slittare. Saremo in grado di rispettare la road map delle riforme che abbiamo proposto all’Europa?«Non ce la faremo mai, ma sono ottimista».Ottimista? «Consiglio di registrare le parole del Commissario europeo per il Bilancio, l’austriaco Johannes Hahn, per il quale “un modo si troverà, l’Europa intera non può fare la fine della Grecia”. Se anche un vecchio democratico cristiano austriaco dice queste cose, allora una quadra verrà trovata, non fasciamoci la testa».Il termine del 2026 è irrealistico?«A domanda precisa, Hahn ha fissato al 2058 la data in cui si renderà il debito. Calma e gesso».Gli italiani mostrano una certa preoccupazione per quel che succederà nei prossimi mesi. Secondo una rilevazione Ipsos, presentata da Conad e Fondazione De Gasperi, il 59% degli intervistati teme un aumento della disoccupazione e la perdita di posti di lavoro. «Come in tutti i periodi di deflazione, i consumatori non hanno fiducia nel futuro. Si deve spendere, si deve dire ai consumatori di spendere, di mettere in moto la macchina con i loro consumi. Seri e meditati, certamente, ma vanno fatti».Ha fiducia nel Paese? Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le stime della ripresa. «Ho fiducia nelle imprese manifatturiere, nelle piccole imprese e in quelle artigiane. Hanno resistito, sono resilienti, nonostante le mille fatiche che hanno dovuto sopportare. Il turismo e la ristorazione professionale reggono. La grande debolezza della piccola impresa, come insegnava l’economista Ricardo, è una tendenza al rendimento decrescente: i guadagni sono altalenanti e difficili, le spese fisse sono sostenute».Non si è fatto abbastanza per dare ossigeno agli imprenditori durante i mesi dell’emergenza?«I piccoli e medi imprenditori sono stati massacrati, non si è fatto nulla per abbassare le loro spese fisse. Per sostenerli serviva un piano di defiscalizzazione e la creazione di infrastrutture pubbliche per eliminare le diseconomie interne. Negli ultimi anni abbiamo distrutto il comparto infrastrutturale e la tragedia del ponte Morandi è la dimostrazione plastica di come il passaggio da un monopolio pubblico a uno privato sia stato tragico. C’è da riformare tutto».Come? «Certamente non fondando una nuova Iri. Ci vuole creatività e l’applicazione della politica del “not for profits” alle infrastrutture pubbliche. Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia, ci ha insegnato come gestire le infrastrutture: tutto quello che si guadagna finisce alla manutenzione e all’allargamento delle reti. Non nelle tasche degli azionisti».Unicredit ha rotto gli indugi e ha aperto il tavolo per rilevare Montepaschi. Che ne pensa di questa accelerazione?«Mi pare evidente dal momento che hanno nominato l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, presidente del Consiglio di amministrazione».Basterà?«Credo che l’unico modo per salvare il Monte dei Paschi sia farlo diventare una banca municipale e territoriale. Insomma, ritornare a una banca piccola e posseduta dall’ente locale. Altra via non c’è».Si apre un risiko bancario, come ipotizza qualcuno?«Siamo già in pieno risiko bancario, che va verso la consegna di gran parte del nostro sistema creditizio alle banche francesi. La riforma voluta da Matteo Renzi ha distrutto il nostro sistema creditizio. Dove possiamo, dobbiamo mantenere le banche locali; dove non possiamo, sono ben accette anche le banche non italiane, purché siano cooperative, creditizie e territoriali».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)