2020-06-29
Andrea Crippa: «Ci vuole una (pacifica) rivoluzione»
Il vicesegretario federale: «Serve tanto coraggio, non si può andare avanti a sussidi, occorre ridurre le tasse. E ancora di più occorre ritrovare quella voglia di cambiamento degli imprenditori che hanno fatto l'Italia».A 34 anni appena compiuti, Andrea Crippa, deputato, è vicesegretario federale della Lega. Già leader dei giovani leghisti, è stato collaboratore di Matteo Salvini, è molto impegnato in un costante giro dei territori, e ha partecipato agli ultimi vertici nazionali con le altre forze di centrodestra. Lo abbiamo incontrato in un'ora di pausa a Roma, nel mezzo di un frenetico tour tra la Toscana e una serie di tappe nel Centro e nel Sud Italia. Quando è iniziata la sua militanza politica? «Il mio primo incontro fu direttamente con Matteo Salvini. Lui volantinava per un'iniziativa della Lega davanti al mio liceo a Seregno. Avevo 15 anni, ero già rappresentante di istituto, lui vide che molti ragazzi si fermavano a parlare con me, e mi disse se ero interessato a impegnarmi. E così mi avvicinai…».Tappa successiva? «Poche settimane dopo, andai a seguire a Milano in via Paolo Sarpi un'iniziativa della Lega sui temi della sicurezza. Prima che arrivassero gli altri oratori, mi feci avanti e chiesi a Salvini se potevo dire qualcosa anch'io. Insomma, mi buttai avanti».Poi consigliere comunale a Lissone. «Fui eletto a 24 anni. Nel frattempo ero già andato a completare gli studi e a lavorare a Londra. Di notte studiavo, e per il resto della giornata lavoravo per mantenermi».Nel 2014, la svolta: assistente di Salvini all'Europarlamento. «La vera occasione fu accompagnare Salvini nella campagna per le Europee 2014. Matteo era diventato segretario della Lega alla fine del 2013, e aveva ereditato un partito che alcuni sondaggi davano al 2,8%. In tanti, e forse anche qualcuno nella Lega, pensavano che la storia della Lega fosse all'ultimo capitolo». E invece stava iniziando una fase completamente nuova.«La campagna fu entusiasmante e faticosissima. Tutta in camper, dormendo tre ore a notte, e percorrendo l'Italia dalla Valle d'Aosta alla Sicilia. Il messaggio di Salvini era dirompente. Chiudemmo con il 6,2%, un risultato impensabile all'inizio».Avevate capito che c'era enorme spazio di crescita? «Avevamo capito che c'era spazio nel centrodestra per temi nuovi, per mettere in discussione alcuni paradigmi europei, per un posizionamento chiaramente a favore dell'interesse nazionale».E gli altri vi guardavano con aria di sufficienza?«Ci vedevano come dei pazzi. Gli addetti ai lavori erano convintissimi che non avremmo superato lo sbarramento del 4%...».A Bruxelles come andò? «Ci guardavano come alieni. Ci volle tempo per costituire un gruppo all'Europarlamento. Ma Salvini mi disse: “Il 6% è un punto di partenza, dobbiamo arrivare al 30%". Sembrava una cosa impossibile».Com'è Salvini come leader a cui fare da assistente? Non mi descriva un santo, mi raccomando…«Intanto prendemmo un piccolo appartamento di 40 metri quadrati. Molto spesso mi svegliava alle 4 o alle 5 di mattina per la rassegna stampa. Regolarmente, a parte i giorni di impegno parlamentare, si partiva da Bruxelles e si finiva la giornata - per dire - a Palermo. Ma non era un'eccezione: era la regola. Salvini è così: non ti dice quello che devi fare, lo devi capire da solo. Va a 300 all'ora, e tu devi cercare di andare a 302. Altrimenti non ti aspetta».Nel 2015 lei diventa leader dei giovani della Lega.«La missione era che non bastava più un movimento da Bolzano a Perugia, ma che bisognava andare in tutta Italia».Immagino che non fosse facilissimo presentarsi a Palermo con la sigla Giovani padani.«E infatti la chiamammo Lega giovani. Però capimmo che non c'erano più barriere. Il messaggio di Salvini arrivava fortissimo». Nella crescita tumultuosa della Lega, secondo lei cos'ha pesato di più in positivo? La flat tax? La critica all'Ue? La battaglia sull'immigrazione? «Tutte queste cose. Ma più di tutto il sogno. Il fatto di rivolgerci a cittadini che non volevano rassegnarsi, che erano in cerca di qualcosa di totalmente innovativo, che Salvini gli stava offrendo al momento giusto».E invece rispetto alle forme di comunicazione? Si è molto parlato di tre strumenti interconnessi: televisione-rete-territorio. «Sono stati fondamentali, specie negli anni in cui dovevamo crescere con un messaggio fortissimo e polarizzante: o bianco o nero. Adesso l'obiettivo non è più solo quello della crescita o della testimonianza, ma di governare il Paese. E, vale per i dirigenti attuali come per i giovani, le tre cose che ci sono richieste sono di essere competenti, coraggiosi, umili». Oggi la Lega vive una stagione da interpretare. È saldamente primo partito, ma i sondaggi registrano un qualche arretramento. Vi fidate di quei dati? C'entra il lockdown e l'impossibilità di alimentare il circuito rete-territorio? «Naturalmente ha pesato l'assenza del rapporto fisico con le persone, essenziale per chi fa una “politica di contatto". E poi era naturale che nel momento più cupo della crisi sanitaria tanti cittadini cercassero un ancoraggio nel governo. Ora la situazione è profondamente cambiata, e si vede».C'è nei vostri confronti un fastidio quasi fisico del vecchio establishment mediatico e politico. Arrivano al punto di blandire le altre forze di centrodestra pur di descrivervi come i «cattivi» della situazione. Come la leggete questa cosa? È un segno di paura da parte loro, o anche voi dovete fare qualcosa per rompere l'accerchiamento? «Noi dobbiamo rassicurare. Salvini è il leader del centrodestra ed è naturale che debba svolgere anche una funzione di federatore rispetto a sensibilità diverse. Anche dentro la Lega vi sono, com'è giusto, figure e accenti diversi: indispensabili per parlare a tutta la società». È la questione europea quella che pesa? Gli eurolirici non vi perdonano la critica a questa Ue. Come spiega questo atteggiamento «religioso» di alcuni verso l'Ue? «Per loro l'Italia - come ha purtroppo fatto per anni - deve accettare qualunque imposizione in Ue. Altrimenti loro temono di non avere appoggio politico da Bruxelles. Noi crediamo che l'approccio vada ribaltato: stare in Ue ma portando avanti gli interessi italiani. Berlino fa gli interessi di Berlino, Parigi di Parigi. Anche Roma dovrebbe fare lo stesso».Lei gira in continuazione. Come va la vostra crescita al Centro-Sud? Riuscite a evitare che arrivino armi e bagagli portatori di pacchetti di voti pronti solo a collocarsi per un giro? «C'è un gran lavoro per filtrare gli ingressi. Per evidenti ragioni (al Sud siamo appena arrivati) lì non ci votano per un nostro buongoverno territoriale consolidato (quello che abbiamo al Nord), ma perché sperano nel cambiamento».Però alle regionali di settembre la coalizione di centrodestra, nonostante la diversa opinione di Salvini, ha voluto alcuni candidati che tutto sono tranne che di rinnovamento.«Non è un mistero che la Lega voleva candidature di rinnovamento. In una logica di federatore del centrodestra, Salvini ha accettato questa soluzione. Ma per la Lega come partito vale quello che dicevo: facce nuove e esigenza di caratterizzarci per il cambiamento. Guai se facessimo la brutta copia di quello che c'era prima e che ha deluso tanti elettori negli anni passati». Come sono i ragazzi e le ragazze che si avvicinano all'impegno politico? Che si può fare per evitare che i vecchi marpioni li usino e poi li buttino via?«Il mio ruolo di vicesegretario serve anche a questo. Vale per giovani e meno giovani: vogliamo valorizzare le persone di qualità, realizzando ciò che a suo tempo è stato fatto a Nord: creare classi dirigenti che possano lavorare bene per vent'anni, con una visione nuova».Secondo lei Conte e i suoi hanno capito che l'aria nel Paese è cambiata, e che l'autunno sarà difficilissimo?«Dovrebbero stare di più nelle piazze e nei mercati. Poi non è che non abbiano capito: è che non sono in grado di decidere, sono divisi su tutto, temono le elezioni perché sanno che le perderebbero».Diceva che serve una «visione» da proporre. Che intende? «Intanto, in politica internazionale, dove il nostro campo strategico è l'Occidente. Poi, sul piano economico: non si può andare avanti con la logica dei sussidi, ma occorre ridurre le tasse e dare risposte al mondo produttivo».Certo, il lockdown ha creato problemi enormi.«Non c'è dubbio. Ma devi comunque fare i conti con le situazioni che si creano. Un esempio: durante la quarantena, è triplicato il numero di italiani che hanno fatto acquisti online. Naturale che per molte piccole aziende non sia facile adeguarsi e organizzarsi per la vendita online. Una cosa importante da fare sarebbe accompagnarle in questo percorso».Insomma, il messaggio è: più coraggio e più cambiamento.«Pensi a quanti grandi italiani, in epoche diverse, hanno fatto la “rivoluzione". Non intendo quella con il fucile. Ma quella fatta con le idee, non limitandosi a conservare quello che c'era. E non penso solo ai giganti di secoli fa, a Leonardo. Penso a imprenditori del secolo scorso: Giulio Ferrari nella viticoltura, Enzo Ferrari per le auto, e poi Olivetti, e tanti altri. Serve quel coraggio e quella voglia di innovare».C'è ancora?«Ma certo. Va incoraggiata e sostenuta. Penso all'eccellente idea di Renzo Rosso di una “Innovation Valley". Il Nordest ha una concentrazione unica al mondo di aziende creatrici e innovatrici. Ed è solo un esempio di quello che si può fare per ripartire».