2018-12-15
L’Inps si occupi di lavoratori, non di ammortizzatori
L'ultima sulle pensioni è una tassa fatta a misura dei pensionati che sono scappati all'estero per colpa delle troppe tasse. La maggioranza vorrebbe farli ritornare promettendo loro un'imposta secca del 7 per cento, ma a patto che mettano radici al Sud. In pratica, a quelli che sono emigrati in Portogallo nella convinzione di aver trovato la nuova America, il governo assicurerebbe un rientro a stelle e strisce, ma solo se andranno a stabilirsi da Roma in giù. (...) (...) Le regioni attira-pensionati sarebbero Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Molise, Abruzzo e Puglia, cioè tutte quelle dove il Pil stenta a decollare e che dunque si vorrebbero rilanciare popolandole di anziani. L'emendamento, firmato dall'onorevole leghista Alberto Bagnai, però, non è l'unico a voler mettere mano alle questioni previdenziali. Perché riforma della riforma Fornero a parte, il cantiere per ristrutturare i trattamenti di quiescenza è sempre aperto. Sono anni che ogni governo aggiusta e quasi sempre peggiora la situazione, in genere allargando il buco dell'Inps. E ovviamente anche questa maggioranza non pare avere intenzione di astenersi.Come abbiamo detto, l'impegno maggiormente profuso riguarda la legge che condanna gli italiani a ritirarsi dal lavoro solo dopo il compimento del 67 anni. Da quando il governo Monti ha varato la norma, tutti gli esecutivi hanno promesso di modificarla, ma essendoci la totale contrarietà dell'Unione europea, nessuno in pratica lo ha fatto. Vedremo presto, cioè appena sarà chiusa la trattativa con l'Ue, se alla fine la famosa quota 100 (cioè 62 anni di età sommati ai 38 di contributi, requisito minimo per accedere alla pensione) resisterà. In attesa però di saperne di più sulle finestre di uscita dal lavoro, cioè se ci saranno oppure verranno rinviate, altre novità paiono in dirittura d'arrivo. Della tassa acchiappa pensionati, cioè una super flat tax, abbiamo già detto. Ma oltre a quella c'è l'imposta tartassa pensionati, che è composta di due parti, ovvero di una prima misura che riguarderebbe molti e un'altra che colpirebbe invece solo le pensioni cosiddette d'oro.La parte iniziale è quella che va sotto il nome di perequazione, ovvero la rivalutazione del trattamento. Non godendo di scatti o di aumenti per effetto dell'inflazione, i trattamenti erogati dall'Inps si assottigliano se non vengono adeguati. Ma se si ferma o si rallenta la rivalutazione si risparmiano molti soldi ed è ciò che in passato è stato fatto a carico di un certo numero di pensionati ed è un'idea che ora è accarezzata da qualcuno nell'area del governo del cambiamento. In pratica si tratterebbe di svalutare le pensioni, lentamente, ma inesorabilmente, tosando qualche milione di persone. La seconda parte è quella che riguarda invece le pensioni d'oro, cioè quelle che non siano da fame. Il governo intende sforbiciarle, ritenendole un ingiusto privilegio. In principio c'era l'idea di affettare quelle che non fossero sorrette da adeguati contributi, ossia si volevano colpire i pensionati a sbafo. Ma poi il piano è stato accantonato per lasciare spazio a un progetto di riduzione a prescindere. Che si siano versati o meno i contributi, che il trattamento previdenziale sia giustificato oppure no, Luigi Di Maio e compagni vorrebbero usare l'accetta, quasi che avere un assegno elevato in conseguenza di versamenti elevati sia comunque un'ingiustizia. È evidente che sia la mancata rivalutazione di pensioni pagate che il taglio di quelle onestamente cumulate, più che a un criterio di equità il progetto rispondano a un concetto di povertà. Tutti più poveri, nonostante qualcuno abbia lavorato sodo e qualcun altro no. Già, perché dietro gli sbandierati tagli si nasconde una realtà, ossia milioni di pensionati che incassano l'assegno Inps senza aver raggiunto mai un livello che consenta di godere della pensione. Sotto la voce spese per l'assistenza dell'Inps, montagne di miliardi. In totale sono oltre 8 milioni i trattamenti previdenziali classificati come prestazioni assistenziali. La metà di questi consistono in indennità di accompagnamento oppure in assegni per invalidità civile e assegni sociali. L'altra metà è fatta di integrazioni al minimo, importi aggiuntivi, maggiorazioni, etc etc.Insomma, sono pensioni che non dovrebbero neppure essere chiamate pensioni, ma sussidi, perché di questo si tratta. E dentro questa montagna di pensioni che non sono pensioni, ci sono anche quelle maturate da sindacalisti e politici, i quali nell'ora del riposo incassano come gli altri o forse di più, nonostante nessuno abbia mai versato i loro contributi, che infatti sono chiamati figurativi: figurano come pagati, ma non ci sono. Ora qualche leghista vorrebbe porre mano a tutto ciò. Il che sembra l'unica cosa sensata. Invece di inseguire i fantasmi e di punire i pensionati che hanno lavorato e si sono meritati la pensione, facciamo finalmente pulizia dentro l'Inps, facendo sparire gli assegni farlocchi e immeritati. Da Istituto nazionale pacchi e sòle rendiamolo finalmente l'ente previdenziale per gli italiani che lo hanno pagato e non per quelli che lo hanno frodato.