
Emanuel Mazzilli ha accesso a informazioni e conoscenze riservate: possibile conflitto d'interessi.«Quella notte ero a San Francisco, a casa di un attivista del Movimento 5 stelle, Emanuel Mazzilli, che collabora per Rousseau. C'era il fuso orario con 7-8 ore, mio figlio non riusciva a dormire, gli feci il biberon, poi accesi il computer per vedere la diretta del giuramento del governo al Quirinale, dove, peraltro, non sono mai entrato, neanche da studente. Non mi hanno mai invitato. E nella diretta vidi tutti i miei colleghi: Danilo (Toninelli, ndr), Giulia Grillo, Luigi (Di Maio, ndr), Alfonso Bonafede, (Riccardo, ndr) Fraccaro. Insomma, tutti i colleghi con cui ho davvero condiviso la trincea politica. Non ve lo nego, in quel momento ho pensato di aver fatto una stupidaggine nell'aver deciso di non candidarmi. Ho sentito un forte rosicamento». È lo scorso 30 giugno quando l'ex deputato pentastellato Alessandro Di Battista racconta questo aneddoto al Caffeina festival di Viterbo. «In quel momento ho pensato che anche io avrei avuto la possibilità di entrare nel governo come ministro della Repubblica», aveva aggiunto Dibba raccontando come aveva vissuto il giorno del giuramento del governo gialloblù, il 1° giugno 2018. Oggi di quella dichiarazione incuriosisce non il rosicamento, non il fatto che la differenza tra l'orario di Roma e quello di San Francisco sia di 9 ore e non di 7-8 come sostiene Di Battista, bensì la strana coincidenza che l'ingegner Mazzilli sia colui che ha scritto il nuovo codice per il voto su Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio, lavorando come software engineer a Facebook, social network già al centro di diverse accuse di diffusione di fake news e di pregiudizio verso alcuni gruppi e partiti. «Facebook “embedda" suoi ingegneri nei partiti?», si è chiesto provocatoriamente rivelando la notizia su Twitter il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni, autore per Laterza di due volumi-inchiesta sulla nascita e le contraddizioni del Movimento 5 stelle, L'esecuzione e L'esperimento.Qual è il rapporto tra Mazzilli, già candidato nel 2018 nella circoscrizione estero per il Movimento 5 stelle, e Facebook? Sul suo profilo su LinkedIn, il social network dei professionisti, c'è scritto «senior software engineer at Facebook». Su Twitter, invece, «ex Facebook, ex Twitter». Ma nella presentazione del recente bootcamp di Facebook marketing datato 6 luglio 2019 si legge: «Da marzo 2015 ad oggi lavora in Facebook a Menlo Park». Come fa notare Iacoboni su Twitter, «è possibile che si sia dimesso da Facebook assai di recente, ma ancora a luglio insegnava a eventi di Facebook, come senior engineer di Facebook. È nei mesi precedenti che ha sviluppato il nuovo codice di Rousseau?». Se così fosse, essendo il Movimento 5 stelle un partito, si potrebbe configurare un grosso conflitto d'interessi visto l'accesso a informazioni e conoscenze riservate, fino alla struttura del network stesso.Ma, oltre al potenziale conflitto d'interessi, c'è anche un problema tecnico nelle parole con cui Mazzilli ha presentato, domenica alla festa di Napoli per i 10 anni del Movimento 5 stelle, la nuova piattaforma (completata in soli 10 mesi, ha detto Enrica Sabatini, socia dell'Associazione Rousseau, nonostante proprio l'ingegnere avesse preventivato 10 anni). Come ha spiegato su Twitter Stefano Zanero, professore associato del Politecnico di Milano, l'annuncio di «rilasciare open source il codice del voto» non ha molto senso: «Siccome non c'è modo per chi vota di accertarsi che il codice che gira sia lo stesso di cui è disponibile il sorgente, la disponibilità dello stesso non serve».
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
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