2018-11-09
L’industriale di sinistra alieno dalla realtà
Il presidente degli imprenditori italiani è un fumoso salernitano dalla retorica lenta e involuta. Al vertice di Viale dell'Astronomia grazie a Emma Marcegaglia e Matteo Renzi, ha appiattito Confindustria sul governo del Bullo. Quando ha tentato di svincolarsi, è stato massacrato. Se c'è qualcosa che tira, è l'industria. Per lei, l'Italia è la settima potenza economica mondiale. Ma chi la guida e la rappresenta, Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, è figura da settima potenza? Ottima persona sul piano personale, è per il resto un asino in mezzo ai suoni. Anziché una bella voce tonante, ascoltata con rispetto dai governi, Boccia ha una retorica lenta e involuta che ricorda il Ciriaco De Mita dei «ragionamendi». Se l'ex leader dc aveva la cadenza irpina, Boccia s'impantana nello strascicato di Salerno, città che gli ha dato i natali e l'inguaribile impronta. È una cornucopia di alate fumosità. Quando si insediò alla testa di Confindustria, marzo 2106, scandì: «Le piccole imprese devono diventare medie, le medie grandi, le grandi multinazionali» e tacque sul come. 2 anni e mezzo dopo, siamo ancora all'enunciazione. Un'altra frase tipica, «la nostalgia del futuro ci guiderà ogni giorno», è la sua prediletta perché ci inanella un grazioso aneddoto che ha per teatro la tipografia di famiglia, la Arti Grafiche Boccia, editrice, tra l'altro, di quotidiani. «Ho sempre anticipato: la sera», è il suo racconto standard, «sfilavo il giornale che usciva dalle rotative e lo divoravo. Il giorno dopo, avevo già letto ed ero pronto ad andare avanti». Capito che dritto? Per completare sulla sua oratoria, anche Boccia, come chiunque, usa delle interiezioni per guadagnare tempo. Voi e io diremmo «cioè», «per l'appunto», «praticamente», «insomma». L'intercalare di Boccia è invece «questo Paese», «questo Paese». Lo dice ogni 2 per 3, con ossessione patriottica. È l'indizio, mi sembra, della passione con cui il Nostro svolge il ruolo di supremo custode delle fortune industriali nazionali. La sua buona fede è indiscutibile. Il punto è se abbia o no il polso della situazione. A tratti, pare che sia su Scherzi a parte, tale è la distanza tra l'azione e la realtà che lo circonda. Ha rapporti schizoidi con la politica. A volerlo al vertice di Viale dell'Astronomia (sineddoche per Confindustria, che ha colà l'indirizzo) furono, Emma Marcegaglia e Luigi Abete, ex presidenti. Dietro, però, c'era la mano di Matteo Renzi, allora premier. Costui, col caratterino che lo affligge, aveva litigato con l'uscente, Giorgio Squinzi, tanto da disertare il galà annuale dell'Assemblea confindustriale. Era perciò imperativo ricucire con Renzi e col Pd. L'industrialotto campano pareva tagliato su misura. Si trascurò che, con la sua piccolo-media azienda, era un lillipuziano rispetto ad altri associati. Fece, invece, aggio il suo sinistrismo a prova di bomba. Un retaggio familiare come vedremo. Una volta eletto, Boccia appiattì la Confindustria sul governo Renzi. Appoggiò il referendum costituzionale e si tuffò nella campagna elettorale. Giocò anche la carta del terrore psicologico, attraverso la previsione del suo ufficio studi di una perdita di 4 punti di Pil (70 miliardi di euro) se il No avesse vinto il 4 dicembre 2016. Il No stravinse e, tutto al contrario, l'economia non subì scosse. La Confindustria fece grama figura e Boccia rimase in slip. Capì allora, appena 9 mesi dopo la sua elezione, che non sarebbe entrato nell'Albo d'oro dell'associazione. Di seguito, subì altre due onte. Di entrambe, è del tutto incolpevole ma macchiano il suo mandato: l'inchiesta sul Sole 24 Ore, quotidiano per due terzi di proprietà confindustriale, accusato di avere taroccato il numero di copie vendute per farsi più florido; l'arresto per sospetta associazione per delinquere di Antonello Montante, sultano della Confindustria siciliana. Stordito e azzoppato, Vincenzo ha continuato come poteva. Si è vieppiù aggrappato a Renzi, finché c'è stato. Poi al successore, Paolo Gentiloni, che rappresentava comunque il Pd, sua stella polare. Ha ovviamente schierato la Confindustria con la sinistra per le elezioni del 4 marzo di quest'anno. Si è sbracciato contro populisti e sovranisti. Ha scomunicato Lega e 5 stelle, facendo mugugnare diversi industriali vicini a Matteo Salvini e perdendo simpatie nella sua associazione. Poi, come tutte le volte che si schiera, ha perso. Boccia, si sarà capito, non è Napoleone.Da quando è in vita il governo Conte, il Nostro è in preda al ballo di san Vito. Prima ha messo il broncio ai vincitori, incerto se sparare a pallettoni o dialogare, tenendo Confindustria a bagnomaria durante l'estate. In autunno, ha invece avuto un raptus decisionista. È andato a Breganze, nel vicentino, e di fronte a una platea di industriali del nord ha sciolto un inno a Salvini. «Di questo governo», ha turibolato, «crediamo fortemente nella Lega. Ho grandi aspettative». Una torsione a 180 gradi, che lo ha riconciliato con un bel po' di soci padani e che preludeva a una rappacificazione col nuovo governo. Accadde invece il prevedibile. La sera stessa, Carlo Calenda, l'ex ministro pd dell'Industria, twittò sarcastico: «La Confindustria è ufficialmente leghista». Aggiunse 3 righe minatorie in cui accusava Boccia di appoggiare un governo fautore di una «democrazia illiberale, con lo spread fuori controllo» e anti Ue. «Vergognoso», fu la chiusa. Seguirono nella notte una slavina di improperi dai 4 angoli del Pd, conclusi da un rantolo che non ricordo del segretario, Maurizio Martina. Due giorni dopo, coda tra le gambe, Vincenzino smentì di avere mai aperto ai populisti. Da allora è stabilmente all'opposizione ma col viso tristissimo dell'uomo che si è legato le mani da solo, concludendo con 17 mesi di anticipo il suo zoppicante mandato. Nato nel 1964, Boccia è da diversi anni amministratore delegato della bella tipografia che occupa 2,5 ettari nella zona industriale di Salerno, impiega 160 persone e fattura 40 milioni l'anno. L'azienda è piuttosto indebitata, nonostante migliorie che le hanno dato fama internazionale, con sedi a Parigi, Norimberga, in Danimarca e Libano. Stampa a 360 gradi. Dalle etichette Ferrarelle, alle figurine Panini, ai volantini più dozzinali. Per contro, riproduce le immagini ad altissima definizione delle più sofisticate riviste di design tedesche e i cataloghi della svedese Ikea. Fino a qualche anno fa e per circa un decennio, ha stampato l'edizione per Napoli e il Sud di Repubblica. Già sappiamo che il giovane Vincenzino, avido di futuro, ne leggeva la copia umida di rotativa per conoscere la sera ciò che i comuni mortali avrebbero saputo l'indomani. I giornali sono sempre stati la passione dei Boccia. Prima che il Nostro prendesse le redini, quando ancora faceva gavetta in Confindustria - come presidente dei Giovani imprenditori, poi della Piccola industria -, il babbo Orazio aveva fatto della tipografia un centro di riunione di scrittori e giornalisti. Orazio è il fondatore e il vero personaggio. Suo papà era scaricatore di porto e morì con Orazio piccino. Messo in un orfanatrofio imparò, mentre cadevano le bombe dell'ultima guerra, i rudimenti della tipografia. Fu sciuscià e comunistissimo. Quando poté, mise in piedi una stamperia sognando di tirare le copie locali dell'Unità. Il sogno rimase tale, riuscendogli solo di diventare un capitalista, con il figlio a capo degli industriali. Coi risultati che sappiamo.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)