2018-10-06
L’industria Me too ha puntato CR7
Il movimento più ipocrita e giustizialista del nostro tempo vuole annientare il più grande calciatore vivente. Al bomber bianconero potrebbe non bastare l'avvocato di Mike Tyson. Già molti Vip hanno dovuto soccombere. Dopo aver difeso Andre Agassi, Paris Hilton e Bruno Mars, si è messo al servizio del centravanti bianconero. Ci vorrebbe una rovesciata delle sue, a forbice, sotto l'incrocio dei pali, di quelle che cambiano il destino e zittiscono il circo. Ma neppure così Cristiano Ronaldo riuscirebbe - non a venirne fuori pulito - ma almeno a venirne fuori sereno. Quando a marcarti stretto non è Sergio Ramos o Milan Skriniar ma il Me too, non hai scampo. Prima arriva il vento della calunnia e poi lui, lo stopper purificatore delle coscienze, quello che si porta dietro tutti i pregiudizi del buonsenso comune, già concetto lievemente fetido di per sé. Entra a gamba tesa il #Metoo, con quel terrificante cancelletto d'acciaio ad annunciarne l'impatto, e semplicemente ti distrugge. Ha gli occhi della giustizia, la purezza dell'ingenuità, rappresenta il buonismo americano progressista che gente come Philip Roth, Truman Capote e Joyce Carol Oates non sono mai riusciti a scalfire. CR7 è messo male. Non perché sia colpevole, non perché davvero abbia invitato nel 2009 a Las Vegas la modella Kathryn Mayorga a spogliarsi per fare sesso, non perché abbia pagato il suo silenzio, non perché oggi lei lo accusi di violenza. È messo male perché nel frattempo il movimento più massimalista, pervasivo, ipocrita della nostra società è andato al potere. È accaduto esattamente un anno fa quando l'attrice Alyssa Milano ha lanciato l'hashtag durante lo scandalo Harvey Weinstein. Da allora il movimento condiziona i giudizi, trasforma arrampicatrici (o arrampicatori) in sistematiche vittime, spazza via gente scomoda e pervade di cultura giustizialista il mondo. In Italia conosciamo la pratica da molto più tempo. «Il sospetto è l'anticamera della verità», sosteneva il gesuita padre Ennio Pintacuda - che Bettino Craxi chiamava padre Barracuda - nella cupa stagione di quelli che Leonardo Sciascia definiva «i professionisti dell'antimafia». Garantismo zero, tutti dentro, invece di pensare in grande si pensa all'ingrosso. E i media? Tutti zitti perché cantare nel coro è più rassicurante.Individuato come simbolo delle deviazioni sportive dal tritacarne del Me too, CR7 ha dalla sua una credibilità internazionale, milioni di tifosi e una forza economica che gli ha permesso di ingaggiare David Chesnoff, l'avvocato numero uno delle star americane. Dopo aver difeso Andre Agassi, Paris Hilton, Bruno Mars e Mike Tyson, si è messo al servizio del centravanti bianconero. Tutto il resto è a suo sfavore. E mentre il club lo sostiene, il sistema economico che sempre sorregge una stella di prima fila comincia già a vacillare. È l'effetto immediato del Me too: terra bruciata intorno. Nike, che passa al calciatore 24 milioni di euro l'anno per tutta la vita, ha fatto uscire un comunicato allarmante. Nessuna difesa, ma la sottolineatura che l'azienda «è profondamente preoccupata da queste allarmanti accuse e continuerà a seguire da vicino la situazione». L'altro sponsor milionario, la società di videogiochi EA Sports, è andata oltre: ha già rimosso temporaneamente riferimenti al campione dai profili social, sostituendo avatar e copertine con il logo del gioco. Electronic Arts sta utilizzando il volto di Ronaldo su Fifa 19 e non ha alcuna intenzione di rischiare ricadute negative. Gelida la presa di posizione ufficiale: «La compagnia svolgerà tutte le valutazioni del caso per accertarsi che l'atleta di copertina del gioco segua i principi morali ed etici del publisher».Mentre anche Save the Children, che ha legato il suo marchio a CR7, sta pensando di scappare a gambe levate, si materializza il primo, concreto effetto sportivo: Ronaldo non compare fra i convocati dal commissario tecnico del Portogallo, Fernando Santos, per le due partite di ottobre contro Polonia e Scozia. Ufficialmente l'assenza è motivata dalla necessità del fuoriclasse (maniacale nella cura dei dettagli) di completare l'inserimento nel mondo juventino, ma è del tutto evidente che un certo low profile mentre imperversa la bufera possa far bene a tutti.Travolti dalla cultura del Me too, gli Stati Uniti sono entrati in una fase socialmente schizofrenica che potrebbe complicare molto la faccenda Ronaldo. Proprio ieri la nomina del giudice Brett Kavanaugh alla Corte suprema, operazione solitamente accompagnata da un disinteresse siderale dell'uomo della strada, è stata oggetto di dure critiche e di una manifestazione di indignados in servizio permanente per via delle accuse di presunte molestie sessuali risalenti a 36 anni fa. Appiccato il fuoco è molto difficile spegnerlo. A parte gli attori piallati dal disonore a prescindere (Kevin Spacey esempio numero uno), ne sanno qualcosa anche il ministro della Difesa britannico Michael Fallon, il vicepremier conservatore Damian Green, costretti alle dimissioni. E pure Asia Argento, passata da accusatrice ad accusata, perché il vento del sospetto è incontrollabile e può cambiare direzione in un attimo. Il primo ad assaggiare la strategia (che allora non aveva ancora un nome) fu Dominique Strauss Kahn, che da potenziale candidato socialista all'Eliseo (avrebbe fatto meglio di Francois Hollande anche in pigiama) si è ritrovato in manette per poi finire archiviato, ma screditato per l'eternità. Ora nel frullatore c'è CR7, contro il Me too non può nulla neppure il Var. Quella vecchia volpe di Florentino Perez lo sapeva di sicuro.