2022-10-12
Lindo Ferretti: «In un mondo di corpi mutanti la preghiera ci fa rimanere umani»
Giovanni Lindo Ferretti (Ansa)
Il musicista e scrittore: «La chirurgia estetica impazza, le persone coprono la pelle di tatuaggi, usiamo farmaci per qualsiasi cosa. In un mondo che cambia i suoi connotati continuamente, invocare Dio ci àncora a noi stessi».Giovanni Lindo Ferretti è un’apparizione sorridente in un chiostro della splendida Santa Marie delle Grazie a Milano. Si presenta con gli stivali da allevatore di cavalli - attività che non soltanto pratica, ma che gli si addice - e una maglietta con su stampate parole che hanno educato generazioni: «Produci, consuma, crepa». Parole che raccontano il circolo vizioso della modernità, un girotondo infernale che Giovanni Lindo ha trovato il modo di spezzare. Come? Con la preghiera. Una pratica che egli sembra aver imbevuto anche la sua lingua quotidiana: parlando scandisce le risposte come salmi, medita prima di esporsi, affascina al pari di una litania. Ci regala una conversazione molto diversa da quelle che si affrontano di solito. Un’intervista che andrà in onda integralmente questa sera durante 1984, il talk show di Byoblu (visibile sul canale 262 del digitale terrestre o in diretta Web). Ferretti, il suo nuovo libro si intitola Óra. Difendi, conserva, prega (Aliberti). Ma che cosa resta oggi da difendere e conservare? E soprattutto: come si può conservare?«Conservare e difendere diventa sempre più complicato e bisogna chiedersi ogni giorno cosa valga la pena conservare e difendere, perché il disastro in cui stiamo vivendo ha raggiunto livelli eccessivi e molto spesso cercare di difendere significa cercare di difendere l’indifendibile. Per cui ho preferito porgere attenzione sull’óra». Sulla preghiera. «Pregare… va fatto. È un imperativo assoluto. […] Siamo nel disastro della nostra civiltà ed è molto complicato operare. Credo che ognuno in cuor suo trovi nel suo piccolo ciò che va difeso e ciò che va conservato, ma farne un discorso generale valido per tutti è complesso. Siamo nel regno della solitudine e della frantumazione, anche, per cui diventa molto difficile».Siamo nel pieno di quella che qualcuno ha definito «guerra di civiltà». Da una parte l’Occidente che sembra avviato verso il disastro. Dall’altra la Russia, che - almeno a livello retorico o propagandistico - punta molto sulla conservazione e la difesa di «valori tradizionali». Lei conosce bene la Russia, come vive questa situazione? «Penso che questo sia appena cominciato. I due fronti sono occasionali. Lo scontro è solo cominciato e muterà profondamente anche nella composizione dei due fronti. È un accadere sul quale val la pena riflettere per capire appunto ciò che va conservato, ciò che va difeso e ciò che invece va lasciato andare. Purtroppo - nel nostro mondo e non in Russia - tutto è cominciato con degli assoluti: Putin è il male, Putin è il nazismo, Putin è Hitler. Putin è tante cose ma non è il male, non è il nazismo e non è Hitler. È Putin, e ha alle spalle la Russia, che non è la Germania nazista. È una situazione molto complessa».La complessità non va di moda, ultimamente. «Si è tolto il campo della ragione, si è tolto di mezzo quello che dovrebbe essere uno dei vanti della nostra civiltà: la libertà di pensiero e di parola. È stata cancellata. Se avessi un’immagine pubblica che mi obbliga a stare in televisione, oggi in tre giorni verrei trasformato in un cliché di stupidaggini. È quello che succede a tutti coloro che cercano di porre un argine, che cercano di conservare e difendere. Conservare e difendere presuppongono che sia ritenuto almeno legittimo quello che per noi fino a ieri era ritenuto sostanziale, cioè che vi sia la libertà di pensiero e di parola. Invece siamo entrati nel regno dell’assoluto. Siamo nello sfacelo. Per questo dico che ogni giorno, con molta attenzione, bisogna riflettere su che cosa vada difeso e che cosa invece combattuto. È un processo che ciascuno deve affrontare in solitudine, io preferisco concentrarmi sulla preghiera, perché bisogna comunque pregare». Negli ultimi due anni sembra essersi definitivamente imposto un nuovo tipo di culto: la religione del corpo. L’imperativo è preservare a ogni costo il funzionamento del corpo, perché senza quello nulla ci resta. «Quando dico che siamo all’interno di un mutamento antropologico è perché vedo mutare i corpi intorno a me. L’abuso che noi facciamo della chirurgia estetica, questa diffusione del tatuaggio che copre la pelle, l’uso dei medicinali per qualsiasi necessità fisica… Tutto questo ha assunto dimensioni macroscopiche. Come anche la presenza ossessiva dell’aiuto psicologico e sociologico, quasi che gli uomini fossero essere incapaci e avessero costante bisogno di un tutor, di qualcosa che li sostenga perché non sono capaci di vivere sulle proprie gambe e con le proprie braccia. È tutto molto triste. Ma non ci sarebbe mutazione antropologica se non mutassero anche i corpi, e se ci si muove e ci si guarda intorno è facile rendersene conto».Una mutazione in positivo? «Non è una mutazione in positivo, è una mutazione. Sta evidentemente mutando qualcosa. Il massiccio utilizzo che abbiamo fatto della tecnologia - da ogni punto di vista, dalla comunicazione alla medicina - ha prodotto delle mutazioni che potremo verificare solo nel tempo. Adesso la mutazione è talmente rapida che si fa fatica persino a percepire il mutamento, che però è in atto, ed è profondo. Non riguarda solo la mente, ma anche il corpo in cui la psiche vive dalla nascita alla morte».Perché secondo lei in questo contesto è importante pregare? «La preghiera è l’unica cosa che ci permette oggi di professare la nostra umanità. Possono pregare anche gli assassini, i distruttori. La preghiera è ciò che fa sì che l’uomo rimanga uomo, non perché è buono e bravo, ma perché ha coscienza del mistero che sta intorno alla vita umana, ed è per questo che ho sentito la necessità di scrivere un piccolo libretto. Che nasce dall’osservazione del fatto che le persone a cui voglio bene non pregano, non insegnano a pregare ai bimbi, non pregano con i loro vecchi. La preghiera è scomparsa, e pensare che siamo una civiltà che si è costruita partendo dall’ora et labora. L’ora è scomparso, e noi la chiamiamo libertà».Tutto l’attuale sistema si basa su una promessa di libertà. «Io apprezzo molto la libertà e ci tengo molto. Se per esempio lo Stato in cui vivo decreta il coprifuoco mi innervosisco. Non sono una persona che non tiene alla libertà, ma mi sembra strano che l’unica valenza reale dell’essere liberi sia il fatto che non preghi più nessuno». Perché fa paura la preghiera secondo lei?«Fa paura perché è un affidarsi, un riconoscere che non sei tu l’origine e la dimensione del mondo. Noi ci affacciamo alla vita e non abbiamo chiare le regole d’ingaggio. E non sapendole facciamo finta di essere noi i padroni del mondo. Non abbiamo mai deciso di ritrovarci in questa dimensione fisica, in questa dimensione temporale, nella dimensione familiare. Noi non decidiamo niente. Accettare che questo è il punto di partenza. Ognuno di noi nel mistero della vita è una particella infinitesimale soggetta ad ogni turbinio di aria, la condizione umana ha dei limiti inderogabili».Pregare significa riconoscere i propri limiti?«Sì, pregare è accettarli. Non si prega perché si è santi, perché altrimenti non ci sarebbe bisogno di pregare. Santi qua non ce n’è. Si prega nella quotidianità, nella miseria del proprio quotidiano, della propria personalità, della propria incapacità di vivere una vita degna e piena. Non preghi perché sei più bravo o più buono, ma perché è una cosa che comunque va fatta: se la fai percepisci - qualsiasi sia la dimensione del tuo vivere, dalla più miserevole alla più eccelsa - che la preghiera ha il suo posto e inonda di bene qualsiasi situazione in cui ti trovi a praticarla».
Diego Fusaro (Imagoeconomica)