2024-06-19
«L’Idf sapeva i piani di Hamas ma non agì». Scontri e arresti nei cortei contro Bibi
Report choc: «L’esercito conosceva i progetti dei miliziani prima del 7 ottobre». Tensione Israele-Usa sull’invio di armi.Il massacro del 7 ottobre si sarebbe potuto evitare. L’allarme era stato lanciato, l'esercito israeliano sapeva del piano di Hamas di rapire 250 persone, ma lo avrebbero ignorato. Lo riportano fonti della sicurezza in un rapporto citato da Kan News. «Il documento era noto alla leadership dell’intelligence, almeno per quanto riguarda la divisione Gaza», ha spiegato una fonte. Il rapporto però - viene spiegato - non è stato preso in considerazione «a causa delle concezioni prevalenti all’interno dell’establishment della sicurezza e della possibile negligenza da parte di alti funzionari». Nessuna smentita, per ora, è arrivata dall’Idf. Intanto proseguono le proteste contro l’esecutivo Netanyahu. I manifestanti chiedono si faccia di più per la liberazione degli ostaggi e che si indicano elezioni anticipate. Decine di loro si sono radunati fuori dal cimitero di Tel Aviv per contestare il capo di governo in occasione di una cerimonia commemorativa per le vittime del caso Altalena. Benjamin Netanyahu continua a reagire accusando i manifestanti di essere una «minaccia». «Purtroppo esiste una minoranza che si fa sentire, a volte violenta, che è organizzata e finanziata con denaro in quantità inimmaginabili, ma non rappresenta il popolo. La maggioranza del popolo sta dietro i nostri soldati che vogliono riportare la vittoria sul nostro nemico». Nissim Vaturi, deputato del Likud e vice presidente della Knesset, si è spinto oltre: «Manifestanti antigoverno? Sono un braccio di Hamas». «Parole sciocche, istigatrici e pericolose da parte di un truffatore» ha replicato il movimento di protesta Forza Kaplan chiedendo agli altri deputati della Knesset di condannarle. Immediate le scuse di Vaturi che secondo quanto riporta il Times of Israel, ha dichiarato che, quando ha risentito le sue parole alla radio, è rimasto «inorridito». «Intendevo tutt'altro ed è quello che è venuto fuori. Mi dispiace per questo. Non credo affatto che sia appropriato paragonare qualcuno ad Hamas o alle sue attività». Guerra interna ma soprattutto esterna per Israele che con l’esercito, appoggiato dalle forze navali, sta continuando a operare nell’area di Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, dove «in vari scontri ravvicinati sono stati eliminati numerosi terroristi». Fanno sapere i portavoce militari che hanno aggiunto di aver trovato armi, tra cui AK-47 e granate durante le perquisizioni effettuate sull’area. Interrotte invece le attività al valico di Kerem Shalom a causa di intensi bombardamenti e scontri tra Hamas e Israele vicino al confine con Striscia di Gaza ed Egitto. Bloccato, in questo modo, l’ingresso di aiuti umanitari, mentre scorsa notte intensi bombardamenti nel centro di Gaza hanno ucciso almeno 17 persone che vivevano nel campo profughi di Nuseirat. A preoccupare però di più in questo momento è il fronte nord. «In una guerra totale, Hezbollah sarà distrutto e il Libano sarà duramente colpito», ha scritto il ministro degli Esteri Israel Katz commentando il video degli Hezbollah con immagini di un drone sul nord di Israele e sul porto di Haifa. «Nasrallah - ha spiegato - oggi si vanta di aver fotografato i porti di Haifa, gestiti da grandi compagnie internazionali provenienti dalla Cina e dall’India, e minaccia di danneggiarli. Siamo molto vicini al momento di decidere se cambiare le regole del gioco contro Hezbollah e il Libano. Israele pagherà un prezzo ma ristabiliremo la sicurezza per i residenti del nord». Il primo ministro libanese Najib Mikati ha ricevuto questo pomeriggio l’inviato presidenziale americano Amos Hochstein a Beirut, giunto lì per mediare una tregua tra Libano e Israele. Il primo ministro ha affermato che «il Libano non cerca un’escalation». Hochstein da Beirut è intervenuto anche sulle trattative con Hamas. «La proposta di Biden di porre fine alla guerra a Gaza deve essere approvata da Hamas. Un'opportunità per un cessate il fuoco alla frontiera». Eppure i rapporti tra Usa e Israele negli ultimi mesi non sono stati distesissimi. Ieri Netanyahu ha attaccato Washington sull’invio di armi: «È inconcepibile che negli ultimi mesi l’amministrazione abbia trattenuto armi e munizioni a Israele. Blinken mi ha assicurato che l’amministrazione sta lavorando giorno e notte per rimuovere questi colli di bottiglia. Spero proprio che sia così. Dovrebbe essere così». Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha risposto che Washington sta ancora esaminando l’invio di bombe a Israele per il timore che potrebbero essere utilizzate in aree densamente popolate.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)