2022-03-03
Licenziato dopo l’allarme sugli effetti avversi
Andreas Schöfbeck, ceo da 21 anni dell’assicurazione tedesca Bkk, aveva segnalato il rischio di una forte sottostima delle reazioni al vaccino. I dati dovevano essere analizzati tra pochi giorni dal manager davanti ai rappresentati del ministero. Ma la compagnia l’ha cacciato.L’hanno fatto fuori. Andreas Schöfbeck, il ceo di Bkk ProVita che ha avuto il coraggio di confutare i conteggi degli eventi avversi post vaccino anti Covid, raccolti in dodici mesi in Germania, è stato licenziato dalla sua stessa compagnia di assicurazione. Non gli sono serviti ben ventun anni di prestigioso incarico, ai massimi livelli aziendali, o gli attestati di «quarant’anni di leale servizio» nel settore pubblico conferiti nel 2020 dallo Stato bavarese dove la Bkk ha sede. Il consiglio d’amministrazione ha votato praticamente compatto, 13 sì rispetto a tre pareri contrari al suo siluramento, come riferisce Tim Röhn, capo servizio del quotidiano Welt. La pressione esercitata dal Paul Ehrlich Institut (Pei), l’Istituto federale per i vaccini e la biomedicina che fa capo al ministero della Salute tedesco, deve essere stata enorme. Destinatario della lettera in cui Schöfbeck faceva il punto di una situazione completamente diversa sul fronte reazioni post vaccinazione, il Pei ha mosso ogni pedina possibile per fargli terra bruciato intorno. Così due giorni fa, è stata la stessa Bkk ha darne notizia in uno scarno comunicato stampa, annunciando la decisione del cda di licenziare «con effetto immediato» il punto di riferimento per l’intero management, facendolo sostituire dal suo vice Walter Redl. La compagnia sapeva che la cacciata di Schöfbeck avrebbe avuto l’effetto di una bomba, infatti conclude le poche righe con una richiesta singolare: «Chiediamo la vostra comprensione per non commentare ulteriormente i diversi retroscena di questa decisione». Il Berliner Zeitung e Welt hanno scritto che la mossa è stata fatta prima dell’incontro di Schöfbeck con il Pei, fissato per martedì pomeriggio. In mattinata venne riunito con urgenza il consiglio di amministrazione della Bkk, che in un’ora ha dato il benservito al suo uomo di punta, responsabile della compagnia dal 1 gennaio 2001. Troppo precise e documentate erano state le obiezioni di Schöfbeck, al report pubblicato dal Paul Ehrlich Institut nel quale venivano conteggiate 244.576 segnalazioni di reazioni avverse in dodici mesi (dal 27 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021), dopo aver vaccinato 61,4 milioni di persone contro il Covid. «Secondo i nostri calcoli, consideriamo realistici fino ad oggi 400.000 visite dal medico da parte dei nostri assicurati a causa di complicazioni», dopo il vaccino, aveva invece dichiarato l’oggi ex ad di una compagnia pluripremiata, numero uno in Germania nell’attenzione alla promozione della salute e alla prevenzione con criteri di responsabilità in termini sociali, ambientali ed economici. Andreas Schöfbeck aveva fatto analizzare i dati di milioni di assicurati del gruppo, estrapolandoli dai codici anonimi di fatturazione di quasi undici milioni di pazienti di assicurazioni sanitaria che fanno capo alla compagnia. Aveva così scoperto che, in un periodo di sette mesi e mezzo, ben 216.695 assicurati su un campione 10,9 milioni aveva avuto bisogno di cure e di assistenza medica. In una lettera inviata a Paul Cichutek, presidente del Pei, precisava che il criterio di ricerca utilizzato considerava solo «i codici Icd validi per gli effetti collaterali della vaccinazione». Quindi una ricerca accurata, basata non su eventi che vengono scartati in sede di correlazione con il vaccino, ma su diagnosi che indicano reazioni avverse post anti Covid da tenere in considerazione. «La nostra analisi mostra che abbiamo a che fare con una chiara sottostima delle reazioni avverse», aveva dichiarato Schöfbeck, invitando il Pei a verificare con altre compagnie di assicurazione «i dati a loro disposizione», per sapere quanti cittadini hanno avuto bisogno di assistenza dopo aver offerto il braccio. «Proiettando questi numeri sulla popolazione totale, sarebbe tre milioni di tedeschi che hanno sofferto di reazioni», sosteneva infatti l’amministratore appena silurato. Il Pei aveva risposto in maniera molto evasiva, contestando come «generiche» le informazioni contenute nella lettera del Bkk, e che non era «specificato quanti dei casi siano lievi e quanti si riferiscono a reazioni gravi». Inoltre, affermava che non è chiaro «se effettivamente è stato stabilito un nesso causale con la vaccinazione». La verità è che l’affondo di Schöfbeck sulle incongruenze delle segnalazioni era stato enorme, aveva mostrato una grande falla della farmacovigilanza in Germania. E la compagnia dove lavorava «lo ha licenziato ancor prima che potesse parlare con il Pei della sua analisi dei dati sugli effetti collaterali della vaccinazione sottostimati», titola il Berliner Zeitung. Contro la lettera denuncia si era scagliato anche Dirk Heinrich, presidente del Virchowbund, l’associazione dei medici tedeschi, definendo dati sovrastimati quelli raccolti da Bkk solo «per farsi pubblicità nei confronti degli scettici al vaccino». Non deve essere proprio così, le segnalazioni hanno fatto centro perché come ha detto a Tagesspiegel Background la portavoce del Pei, Susanne Stöcker, l’Istituto federale per i vaccini «vuole chiedere il trasferimento dei dati a cui si riferisce Schöfbeck e una descrizione del metodo di valutazione selezionato». Difficile, però, credere che si proceda a un’operazione trasparenza, ora che è stato rimosso il responsabile dell’indagine interna sul vero numero delle complicanze post vaccinazione anti Covid, anche se la Stöcker ha spiegato che è iniziata la pianificazione di uno studio non interventistico, con il quale la sicurezza dei singoli vaccini Covid-19 approvati nell’Ue e quindi anche in Germania «dovrebbe essere esaminata in modo completo a lungo termine». Lo studio partirebbe adesso, dopo che le vaccinazioni in Europa sono iniziate nel dicembre 2020? In Italia, comunque, nemmeno ci pensano. L’Aifa si reputa soddisfatta delle 117.920 segnalazioni di eventi avversi, dei quali 19.055 classificati gravi, su quasi 49 milioni di italiani vaccinati nell’anno considerato. I cittadini con tre o quattro dosi in corpo, sono molto meno tranquilli.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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