2021-04-25
I libici contro le Ong: «Noi subito in mare»
Dopo le accuse di Sos Méditerranée, che ha puntato il dito verso la Marina del Paese nordafricano per l'ultimo naufragio, Tripoli replica: «Siamo intervenuti malgrado il maltempo, salvando 106 persone. Gli attivisti vogliono metterci all'angolo».Mentre si addensano le nubi sulla possibilità che gli scafisti trafficanti di esseri umani, partiti con i due gommoni da Khoms nonostante le condizioni del mare avverse, avessero in mente di raggiungere un punto preciso, equidistante a circa 140 miglia da Lampedusa e da Malta e a 30 miglia dalla costa libica e non difficile da raggiungere per la Ocean Viking, dalla Marina libica arriva una dura replica alla campagna di accuse che la vulgata pro Ong ha mosso nelle ultime ore. Il portavoce della Marina libica, Massoud Abdelsamad, ha confermato che la Guardia costiera di Tripoli ha fatto tutto il possibile per salvare i migranti finiti in mare nella notte tra mercoledì e giovedì. Una tragedia nella quale sono morte 130 persone. Alarm Phone aveva segnalato tre imbarcazioni in pericolo per il mare grosso: un barchino, mai rintracciato, con a bordo, si presume, 40 persone, e due gommoni con 100 e 120 passeggeri a testa. Uno dei quali è stato soccorso dalla motovedetta della Guardia costiera di Tripoli, che ha riportato indietro 104 migranti vivi e i corpi senza vita di una donna e di un bambino. Abdelsamad ricostruisce quelle difficili ore: «Abbiamo ricevuto la chiamata di emergenza e abbiamo inviato un'imbarcazione da Khoms direttamente sulla posizione che abbiamo ricevuto da Mrcc Malta ed Mrcc Italia». Si tratta dei Centri di coordinamento del soccorso marittimo italiano e maltese. Una versione, quella ufficiale della Marina libica, che smentirebbe quella fornita da Alessandro Porro, direttore di Sos Méditerranée, al Corriere della Sera. Porro sostiene che nessuno, da Tripoli o da Roma, abbia coordinato i soccorsi. «Eravamo soli», ha affermato. I libici, invece, seguendo i protocolli, hanno messo in pratica le indicazioni degli Mrcc: «Ci siamo coordinati, abbiamo collaborato e abbiamo inviato un'imbarcazione», ha spiegato Abdelsamad. Il mare sembrava impazzito. «C'erano forti venti e onde alte», ricorda Abdelsamad, «che rendevano quasi impossibile l'operazione». Ma nonostante le difficoltà, rivendica il commodoro libico, «abbiamo tratto in salvo i 106 che erano su uno dei gommoni, recuperando due corpi senza vita e portando a terra i sopravvissuti, tra cui donne incinta». Dopo il primo recupero sono cominciate le ricerche del secondo gommone. E a questo punto le versioni del commodoro libico e quelle della Ong si scontrano di nuovo. Abdelsamad sostiene che, coordinandosi «con gli Mrcc di Italia e Malta» la Guardia costiera di Tripoli è «riuscita a far convergere sull'area tre navi mercantili per compiere ricerche». Lo storytelling di Porro, invece, è questo: «Per fortuna quando è arrivato il Mayday, che crediamo essere stato inviato da parte di un aereo, con le coordinate del target, tre navi commerciali hanno cambiato rotta e si sono unite al salvataggio. E così ci siamo auto organizzati. Abbiamo fatto quello che i marinai devono fare: soccorso in mare». Sprezzante con la Guardia costiera libica e incurante delle indicazioni fornite proprio dagli Mrcc, poi, ha ipotizzato che la tragedia si poteva evitare. «Con un coordinamento degli interventi, avevamo un mezzo prezioso per salvare vite umane che era il soccorso in mare. Ma di fatto, l'Europa l'ha smantellato lasciandolo ai libici, nonostante non siano in grado di gestire questo compito». Ed è arrivato a negare l'esistenza del soccorso di Tripoli: «Sappiamo da Alarm Phone che (la Guardia costiera libica ndr) ha risposto alle mail di non aver condotto alcun tipo di intervento a causa del maltempo». Abdelsamad non è d'accordo: «La mattina dopo, nonostante il vento forte e il mare grosso, abbiamo inviato di nuovo la nostra imbarcazione nell'area ma sfortunatamente non abbiamo trovato nulla e abbiamo dovuto interrompere le operazioni di ricerca». Un particolare, questo, confermato anche dall'autorità italiane. Dalla Ong, invece, sostengono di essere arrivati tardi sul punto indicato, perché la Ocean Viking si trovava a dieci ore di navigazione. Ma come ha svelato ieri La Verità, in base ai punti nave registrati dal transponder di bordo, la nave della Ong era salpata da Siracusa alle 12 di domenica 18 aprile puntando dritta verso Sud. Alle 10 del giorno dopo la nave si trovava già 60 miglia (110 chilometri) al largo delle coste libiche, sulla verticale del porto di Khoms. A quel punto, la pattugliatrice umanitaria di Sos Méditerranée aveva rallentato la corsa ed era ancora scesa a Sud: alle 9 della mattina di martedì 20 aprile era 30 miglia a nord di Khoms. Da quel momento, e per circa 24 ore, la Ocean Viking naviga a passo lento in quel tratto di mare: fa avanti e indietro, da Est a Ovest e da Ovest a Est. Quando i due gommoni dei trafficanti di uomini lasciano il porto di Khoms, alle 22 di martedì 20 aprile, le condizioni meteo sconsigliavano già la partenza. Ma non è difficile immaginare che in quel momento sappiano che l'Ocean Viking non è lontana: è a una cinquantina di miglia a Nord-Nordest. Agli scafisti non serve né un informatore, né un contatto con le Ong. Per conoscere il punto esatto in cui si trova ogni nave basta usare una semplice app gratuita. Qualcosa, però, deve essere andato storto. E alla fine è dovuta partire la motovedetta dalla Libia. L'unica a disposizione. «I due mezzi disponibili erano impegnati su tre casi: uno al confine con la Tunisia e due, compreso quello tragico, al largo di Khoms», ricorda Abdelsamad, che le filippiche delle Ong proprio non le accetta: «Non capisco perché vogliano metterci nell'angolo sostenendo che la Guardia costiera libica non si coordina con le altre istituzioni». Ma la campagna di Sos Méditerranée contro «Italia, Malta e Libia» è appena ricominciata. Con tanto di hashtag: #BastaMortiInMare.
Jose Mourinho (Getty Images)