
Via libera del parlamento di Ankara alla missione delle truppe. Sembra prendere forma la pax russo-turca nell' inconsistenza dell'Europa. Che sui migranti potrebbe essere ricattata dal raìs, interessato anche agli asset strategici italiani come quelli dell'Eni.Venti di guerra nel Mediterraneo, proprio di fronte alle nostre coste. Ieri il Parlamento turco ha dato il via libera, con 325 voti favorevoli e 184 contrari, all'invio di truppe in Libia voluto dal presidente Recep Tayyip Erdogan per sostenere il governo di Tripoli guidato da Fayez al Serraj. Dopo il sì dell'Aula di Ankara, il Pd ha chiesto che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, riferisca in Parlamento, mentre l'onorevole Paolo Grimoldi della Lega ha chiesto la stessa cosa al premier Giuseppe Conte parlando di una «nuova Siria, davanti a casa nostra».Ma nelle ore del voto turco si registravano anche manovre navali al largo dell'Egitto, grande alleato del generale Khalifa Haftar che ha subito condannato il voto di Ankara. Inoltre, si sono intensificati i voli Cham Wings (compagnia siriana sotto sanzioni statunitensi) tra Damasco e Bengasi, roccaforte dell'uomo forte della Cirenaica. Secondo fonti libiche, a bordo di quei velivoli ci sarebbero i mercenari russi della Wagner, trasportati in Libia dalla Siria per combattere al fianco del generale Haftar.Ma quella che si sta combattendo in Libia è anche una guerra a colpi di propaganda. Ieri l'emittente 218 Tv, considerata vicina alle istanze della Cirenaica, riferiva che le forze del generale Haftar sarebbero arrivate alla periferia della zona residenziale di Abu Salim, a Sud di Tripoli. Sul fronte opposto le forze di Serraj hanno rivelato il ritiro dei mercenari della Wagner dalle prime linee del fronte a Tripoli. Soltanto i prossimi sviluppi sul campo e diplomatici potranno confermare o meno i due annunci. Ma quanto rivelato da Al Mujahie sembra andare nella direzione di quello che ieri segnalavamo su queste colonne: si avvicina una pax russo-turca per la Libia. Infatti, alcune ore prima del voto del Parlamento di Ankara, il vicepresidente turco Fuat Otkay aveva fatto sapere che il suo Paese avrebbe potuto ripensare l'invio di truppe nel caso in cui l'offensiva del generale Haftar si fosse arrestata. Da una parte registriamo questa apertura di Ankara, dall'altra segnaliamo come la Russia di Vladimir Putin sia l'unica potenza tra quelle schierate al fianco di Bengasi a essersi convinta che gli uomini della Cirenaica non riusciranno mai a conquistare Tripoli.Nonostante l'intervento delle ultime ore dell'ambasciatore statunitense in Libia Richard Norland in difesa del popolo libico e la telefonata tra il presidente Trump ed Erdogan dopo il voto al Parlamento turco, la pax russo-turca per la Libia sembra quindi prendere forma. Anche perché contro l'invio di truppe da parte di Ankara c'è una questione legale non di poco conto: sulla Libia vige, infatti, dal 2014 un embargo delle Nazioni Unite sulle armi. Ecco perché più che ai boots on the ground, la Turchia pensa a sostenere e addestrare gli uomini di Serraj.Il tutto - e non è la prima né temiamo sarà l'ultima volta che lo scriviamo - nella totale inconsistenza di Italia e Unione europea. Bocciata dalla Russia la proposta del premier italiano Giuseppe Conte di una no fly zone sulla Libia, ora arriva anche lo schiaffo diplomatico dall'altro fronte, quello di Serraj, capo di quello che è ancora il governo ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, Italia e Francia comprese. Il premier sembra intenzionato a non partecipare agli incontri della prossima settimana con la delegazione europea a Tripoli, riferiscono i media libici. Ad accogliere l'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, Josep Borrell, e i ministri degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, con i suoi omologhi di Francia, Germania e Regno Unito ci dovrebbe invece essere il ministro dell'Interno Fathi Bashagha, che ieri ha dichiarato «Haftar si arrenda o si suicidi».Non sembrano essere i migliori presupposti per la missione europea il cui intento sarebbe quello di evitare la soluzione militare e far sì che Serraj rinunci all'asse con Erdogan. Il quale, con gli stivali in Libia, potrebbe mettere le mani sugli interessi strategici italiani, a partire da quelli di Eni, ed europei ma anche sui flussi di migranti, ricattando l'Unione europea come già fa con le rotte balcaniche. Il che aumenterebbe il rischio di infiltrazioni terroristiche sui barconi.Va sottolineata un ultimo elemento, infine, per evidenziare la portata dell'asse Serraj-Erdogan. Il presidente turco ha voluto anticipare il voto sull'invio di truppe, precedentemente programmato per martedì prossimo, a ieri, nel giorno in cui Grecia, Cipro e Israele hanno firmato lo storico accordo sulla costruzione del gasdotto Eastmed ad Atene. Questa infrastruttura, sostenuta dagli Stati Uniti per rendere l'Europa meno dipendente dalla Russia, dovrebbe essere completata e attivata entro il 2025 per trasportare gas naturale da Israele (che diventa così esportatore di gas naturale) all'Italia attraverso Cipro e Grecia. Non si tratta soltanto di affari, è un vero e proprio sistema di integrazione e di cooperazione, nel quale sembra impegnata anche l'Italia, a giudicare dalla lettera inviata dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli in occasione della firma ad Atene. E pensare che in primavera fu il premier Giuseppe Conte a porre il veto, per ritorsione dopo la telenovela Tap, all'ultimo tratto del gasdotto, quello denominato Poseidon e che dovrebbe arrivare in Italia. L'Eastmed, joint venture paritetica tra la società greca Depa e l'italiana Edison (nelle mani francesi di Edf), resterebbe un'utopia senza l'Italia, la cui politica estera appare però senza direzione davanti all'avanzata del generale Haftar e alle mire turche nel Mediterraneo.
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